Nel mezzo del cammin da Bologna a Firenze, fino alla meta (22-24 ottobre)

Cristian Lamorte

25/10/2010

Venerdì 22 ottobre Firenzuola – San Piero a Sieve
La prima cosa che fai quando ti alzi la mattina è sempre quella di andare alla finestra per vedere quale sarà il meteo che ti accompagnerà nel cammino. Strana mattina, oggi. Il tuo sguardo non va oltre la siepe a pochi metri dalla finestra. E’ la nebbia oggi a far da padrona. Il suo fascino ti ammalia prima che tu ti renda conto che per il cammino può invece nascondere qualche insidia. Parti comunque fiducioso che quel magico velo non nasconda altro che il celeste del cielo anche per oggi. E mentre cammini e il velo ti accarezza il viso, salendo piano piano, quel celeste c’è davvero oltre quelle nuvole che lasciano ben presto solo rugiada sulle piante, sui prati e sulle ragnatele a testimonianza del loro passaggio. Quasi a volerti spiare e accompagnare per un tratto del cammino. Compagna gentile di viaggio la nebbia, silenziosa e docile nel cotonare i passi e i pensieri. Ormai però l’hai lasciata là in basso a proteggere Firenzuola mentre cammini verso il passo dell’Osteria Bruciata. Là sarà invece il velo del mistero ad avvolgere quel luogo anch’esso terra di viandanti e di leggenda secondo cui, in una malfamata osteria, di notte, i pellegrini venivano uccisi e cucinati come vivanda per i clienti del giorno successivo. Leggenda vuole che la malfamata osteria fosse stata bruciata perché diventata sede di malfattori. Inizia poi la discesa ripida fino a San Piero a Sieve su scenari davvero incantati, non da favole e leggende ma dalla realtà, in uno splendido spaccato di Mugello. Strana giornata, oggi. Sono le tue gambe a non rispondere al meglio a metà del cammino. Quando i brividi e la stanchezza si fanno sentire oltremisura sono forse i sintomi di febbre o dell’accumulo di chilometri. Fatto sta che, seppur a malincuore, decidi forse che per il proseguir del cammino è forse meglio abbandonare prati e boschi in cerca di un centro abitato dove trovare un mezzo che ti possa portare fino alla meta. Dopo un altro po’ di cammino ecco un pullman, anzi una corriera (termine affascinante in uso da queste parti tra la via emilia e il west), che ti porta fino a San Piero a Sieve. C’è qui la Locanda dei Viandanti (anche questo termine da un certo fascino rispetto a Bed and Breakfast) dove trovare una doccia calda e un posto accogliente sotto le coperte di un letto. Un po’ di riposo ti rimette in sesto e prima della cena ti rimane del tempo per scambiare due chiacchiere amichevoli con Franco e Monica, i proprietari della locanda dei viandanti. Gente cordiale e che condivide volentieri con te riflessioni, pensieri, esperienze delle persone che hanno visto passare. Monica è poi la bibliotecaria del paese. Ti sembra questo un buon pretesto per avviare discussioni su libri e autori, passioni che vi legano oltre il fascino della figura di un, in questo caso una, bibliotecaria. Bello, pensi, che l’accoglienza sia anche sinonimo della passione per la letteratura. Sarà poi la cena in una splendida trattoria del posto a rimetterti definitivamente in sesto prima di addormentarti con un po’ di amaro in bocca per quella metà di tappa lasciata incompiuta.

Sabato 23 ottobre San Piero a Sieve – Bivigliano
La crostata alla marmellata di fichi della signora Monica è il miglior inizio di giornata per ripartire lungo il cammino dimenticandosi brividi e gambe che cedono del giorno precedente. A far colazione con te, però, ci sono anche Alberto e la sua ragazza. Un buongiorno reciproco ben lontano da qualsiasi formalità è il modo più semplice per dare il via ad una giornata che vi avrebbe visto accanto anche nel cammino. Beh, Alberto e la sua ragazza oggi vanno a Fiesole. Non da soli, però. E chi insieme a loro? Enrico Brizzi e i ragazzi di Italica 150. Cosa? Non è possibile. In un lampo quel mondo così vasto di distese di boschi e prati che avevi visto nei giorni precedenti diventa piccolissimo. Enrico Brizzi è il tuo scrittore preferito ed è anche colpa sua se hai deciso di fare il cammino tra Bologna e Firenze quando te ne aveva parlato poche settimane prima durante un’intervista. Il caso è stupefacente. Tu non sei un fatalista o uno che crede nel destino, hai una visione ultraterrena addirittura dello zodiaco e leggi l’oroscopo come la settimana enigmistica. Saturno contro, Giove accondiscendente, Giunone simpatica e Nettuno un po’ incavolato. Sarà che stai facendo il sentiero degli dei ma se questo è il Caso forse devi cominciarlo a venerare. Se un viaggio è fatto di incontri questo con Enrico Brizzi e i ragazzi di Italica 150 è l’Incontro con la “I” maiuscola. Non t’importa più, e non ne hai neanche il tempo, di chiederti se il caso sia il nome nuovo di qualche roba da venerare o uno pseudonimo di qualche nuovo segno zodiacale. Una stretta di mano e li conosci tutti. Piacere Franz. Piacere Giorgio. Piacere Marcello. Piacere Serena…e via tutti gli altri. Siete in dieci quella mattina a partire. Ed Enrico Brizzi non è uno scrittore, lo scrittore, è semplicemente il tuo compagno di viaggio con cui chiacchierare di tutto tranne che di libri nonostante il suo, quello nuovo, fosse uscito nelle librerie proprio il giorno prima. Ma di tutto questo non te ne frega niente. C’è da muovere le gambe tutti insieme, ricordare i viaggi, parlare, ascoltare, pensare, ridere e sudare. Tutti insieme uniti dal caso per quanto ti riguarda e dalla forte passione per il cammino per quanto li riguarda. Viene anche da chiederti cosa c’entri te là in mezzo? Risposta che non avrai mai senza che questo ti possa recare alcun minimo rammarico dal momento che ci sei, là in mezzo, punto e basta. E allora in salita e a passo svelto perché i ragazzi di Italica 150 hanno la gamba sciolta dai loro lunghi tragitti. E allora in salita tra boschi e sentieri e prati e sassi fino al Monte Senario. Là c’è un convento che si apre nel grigio dei primi veri accenni d’autunno. L’ordine dei monaci che vive qui è quello dei “Servi di Maria” e dietro alle loro tonache nere c’è la profonda dedizione ad una vita secondo le regole di Sant’Agostino. Ora, non che tu abbia una gran cultura specie in ambito catechistico ma di Sant’Agostino ti piace una citazione in questa giornata un po’ celestiale, un po’ da viandante e un po’ letteraria : “Il mondo è un libro e quelli che non viaggiano ne leggono solo una pagina”. Voi non arrivate al momento migliore però. Speravate in un piatto da “pellegrini” ed un po’ di caldo ma i monaci stanno pregando e non possono ascoltarvi. Meglio allora cambiare programmi. Meglio rimettersi in marcia. Ma il tuo tragitto insieme a loro conta ancora pochi altri passi, fino ai piedi del convento. Le strade si dividono. Ed allora una nuova stretta di mano e un “buon cammino” con tutti. Una foto, stavolta sì, a suggellare il potere del Caso inquadrando te, il tuo scrittore preferito trasformatosi in compagno di viaggio e tutti gli altri ragazzi di Italica 150. Niente lunghi saluti e niente parole in più. Basta ancora una volta l’essenza di quel momento per potersi salutare al meglio lasciando subito spazio alla convinzione, per quale assurda pretesa poi, che le vostre strade possano nuovamente incrociarsi. Magari nuovamente sotto i migliori auspici delle stelle o del dio Caso. Il resto della tappa fino a Bivigliano e il resto della giornata la passi a pensare, inevitabilmente, a quanto ti è accaduto. E ti tornano alla mente alcune di quelle parole che Enrico Brizzi ti aveva detto un mese prima durante l’intervista. E’ come se quelle parole avessero preso forma e concretezza. Ti aveva detto: “Scrivere e camminare servono entrambe per mettere a fuoco le cose, sono due modi per apprezzare di più il mondo uscendone momentaneamente”.

Domenica 24 ottobre Bivigliano – Firenze
Oggi è l’ultima tappa. E’ l’ultima fatica. E’ il giorno del traguardo. Hai incontrato solo belle giornate e poco freddo. Oggi no, pioggia e temperature che si sono abbassate. Non può certo fermarti tutto questo, anzi, quasi quasi ringrazi non sai chi per averti regalato questo grigio solo oggi. Un ultimo saluto a Giulietta, locandiera dai lontani cliché goldoniani, probabilmente solo nel tuo cervello per il semplice fatto di esser vicini a Firenze, e poi subito in cammino perché brami dalla voglia di vedere la cupola del Brunelleschi dall’alto del colle di Fiesole. Ricordati però di un saluto. Ricordati del saluto che gli manda quella vecchietta gentile di cui non conosci il nome ma che all’alimentari di Piamaggio ti chiese: “Dove vai con questo zaino?”. “Fino a Firenze” rispondesti. “Che bella Firenze – gli s’illuminarono gli occhi a quella vecchina, dietro le lenti spesse degli occhiali – ti prego portami un saluto alla cupola del Brunelleschi”. “Certo”, rispondesti rassicurante e, fra te e te, ti chiedevi chissà quale ricordo o esperienza legasse quegli occhi a quella cupola. Il fatto certo è che ti saresti fatto ben volentieri portatore, inconsapevole, del valore di quel ricordo o di quella esperienza con l’unico dubbio di non essere in grado di poterne consegnare alla cupola la grandezza e l’essenza. Ognuno di noi, pensavi, conserva queste cose nel più profondo di noi stessi e anche un saluto o un ricordo sono troppo poca cosa per poterle rivivere, riassaporare, ritoccare con mano nel loro più profondo intimo. E nessun altro, nemmeno te, portatore di saluti, potevi capire il loro valore. Ma per quegli occhi era importante, si leggeva bene. Sotto la pioggia i pensieri diventano impermeabili e ti consentono di non considerare il fango che aggrava le condizioni delle scarpe, l’acqua che appesantisce zaino e vestiti, il freddo che intorpidisce le gambe. Sotto la pioggia i pensieri non hanno la facoltà di volare nell’etere, l’acqua te li riporta addosso e tu devi accoglierli, stringerli perché la stessa acqua gli ha tolto il dono dell’immaterialità. E’ per questo che possono sembrarti più fragili, sono più vicini a te nella loro debolezza terrena. Alla fine li prendi per mano, e lo fai con piacere perché ti facciano compagnia nel cammino. Alla fine fanno parte di te, non doveva esserci la pioggia a ricordartelo. Alla fine sono te stesso. In questo ciclico percorso di pensieri, tra solitudine e compagnia, c’è la reale condizione, forse, di chi viaggia da solo. Ecco come scorre via, nel medesimo ciclico percorso dei pensieri, il tragitto fino a Firenze. Oltre 20 chilometri tutti d’un fiato per arrivare in piazza del Duomo. E qui? Forse potresti farti prendere dall’emozione di aver concluso il cammino regalandoti, come da consuetudine, una foto che ritragga il traguardo. No, meglio di no. Nel frattempo anche la pioggia ha lasciato spazio al timido sole da pomeriggio autunnale. Meglio sederti per terra al cospetto del Duomo con una birra per salutare quella cupola e per stare, come non avevi mai fatto prima, a guardare. Si, perché c’è molto da guardare anche in mezzo a tutta quella gente che, lasciata a Bologna, ti sfila accanto senza accorgetene e senza accorgersene. Tu fermati a guardarla anche se loro non se ne accorgono. Tu fermati a guardarla ora come facevi con quei prati. C’è molto da scrutare in loro, in tutti quei turisti che muovono i passi nell’intento di accaparrarsi il click migliore della propria macchina fotografica. Quasi come se il Duomo di Firenze si dovesse guardare dall’obiettivo di una macchina fotografica per apprezzarne il fascino. C’è molto da scrutare nei vigili che passano, nelle persone in giacca e cravatta che corrono, negli impiegati con la borsa di pelle e nelle segretarie in camicia pudica. C’è molto da guardare in chi chiede le elemosina e in chi ha il permesso per passare di qui con le jaguar nero lucide. C’è molto da guardare nelle scarpe che ad altezza terra sembrano l’incubo dei piccioni. C’è molto da guardare nei rivenditori di stupidi souvenir e in chi cerca un po’ di euro per un ritratto. C’è molto da guardare nelle vetrine, anzi dietro le vetrine. C’è molto da guardare in quelle pietre e in quelle statue del Duomo che hanno avuto l’intelligenza di mettersi a guardare, loro lo hanno fatto, tutto questo. Di tutto questo forse ti eri dimenticato prima di partire. E non ti importa se gli altri passano veloci senza accorgersene, tu accorgitene, dici tra te e te. Ecco allora perdi un altro po’ di tempo a guardare tutto questo, per una volta fermo, non in cammino e nemmeno nella corsa frenetica quotidiana. A sedere, con una birra e una sigaretta. Con l’ipad. Te l’eri portato dietro per combattere con un po’ di musica la paura e i sintomi più difficili della solitudine. Non ne avevi mai avuti bisogno dopo esser sceso dal pullman per Bologna. Non ne avevi mai avuto bisogno quando eri da solo. Ora sì però, in mezzo a tutta quella gente. Che paradosso. Non importa, tu fermati a guardare la tua solitudine e quella degli altri mentre Ben Harper ti suona agli orecchi “Faithfully remain”: “...Then the truth just wastes away, in all we dare not say and in all we can’t explain. But i faithfully remain…”. (…allora la verità si butta via, in tutto quello che non osiamo dire e in tutto quello che non riusciamo a spiegare. Ma io fedelmente resto)…

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