Quando d’inverno a Siena nevica

Luigi Oliveto

07/02/2012

Peccato per i disagi che provoca, perché la neve è davvero bella nell’incanto di quel silenzio in cui il mondo sembra finalmente sospeso e arreso a ripensare se stesso. Quando – giustappunto innevate – le differenze (dei luoghi, del cuore e della mente) paiono appianarsi: e non di forza, ma per candida insistenza, per suadente bisbiglio. Cosicché – scomparse per sortilegio pietre, tegole, mattoni – la città resta immobile, come una novizia eretta nel paramento immacolato della vestizione. Siena, poi, che ad ogni stagione sa mostrarsi città del prodigio e del non-tempo, quando nevica diventa ancor di più visione magica. Lo sosteneva pure Mario Luzi, scrivendo: “Tuttavia per i suoi trionfi la luce cerca a Siena piuttosto la neve, i candelotti di ghiaccio in cui è condensata, le stalagmiti pendenti dai cornicioni, dalle balaustre, dalle finestre, dai tetti nel controsole mattutino”. Il poeta annotava queste immagini ricordando la memorabile nevicata del 1929, quando peraltro si era già prossimi alla primavera. E la città divenne tutta bianca, “ornata di una cristalleria lucente, tutto il territorio intorno, innevato dalle campagne e dagli orti prossimi fino alle crete lontane di Castelnuovo Berardenga e di Asciano rifletteva quello splendore, abbagliava”. Luzi conclude che l’acqua sublimata in neve e questa in ghiaccio luminoso – ciò a causa di quel lontano incantesimo – continua a rimanere per me nel codice proprio di Siena”.


L’incantesimo non era sfuggito nemmeno a Romano Bilenchi, tanto da evidenziare: “La città era bella d’inverno quando la neve copriva i colli vicini e i monti lontani e si ammucchiava nel giardino pubblico, nelle piazzette inclinate, nella grande piazza a conchiglia”. Lo scrittore colligiano osserva la neve “isolare i palazzi di mattoni rossi, i palazzi di pietra grigia nati col mondo”, mentre “al tramonto il rosso avvampava, il grigio riluceva”. Confessa che d’inverno restava ore e ore “a guardare un antico palazzo che era stato di uomini feroci e guerrieri, di donne ardenti e traditrici, e che, cambiato il rosso tenero dell’estate in rubino scurissimo, sorgeva dall’ammasso di neve, incastonato fra gli altri palazzi della piazza larga e profonda”. E’ vero, Siena dentro la luce della neve svela un candore che, in condizioni normali, resta invece confinato nel bianco dei suoi rari marmi: nella Fonte Gaia, nello scheletrito sogno di una cattedrale incompiuta e, poco più in là – visto da lontano a sommità di strade e di case – sulla cupola del Duomo, quel tempio che, per caparbia fede, fu infine possibile innalzare a gloria di Maria Assunta regina del cielo, patrona della città e del suo Stato.

Chissà se, dalla collina dell’Osservanza, san Bernardino avrà potuto contemplare la civitas Virginis innevata. Piace pensare di sì. Magari fu proprio in quella circostanza che coniò certe immagini rivolte alla Madonna: “Più è candido (il corpo di Maria Vergine) che non è il latte e la nieve, le quali significano purità e nettezza di corpo e di mente”. E giusto dai campi che lungo le pendici dell’Osservanza declinano verso la città, qualche contadino dai tratti aguzzi come Bernardino, bruciati da sole e tramontana, avrà magari mormorato: “Sotto la neve pane e sotto l’acqua fame, anno di neve, anno di bene”. Di colle in colle, di tempo in tempo, l’antica città ha indubbiamente attraversato molti inverni. Quella stessa città che, vista da Poggio al Vento, a Federigo Tozzi “pareva un arco che non si potesse aprire di più”. Proprio da quell’altura lo scrittore immaginava nuvole trasformarsi in “un enorme nevicata a sguiscio, orizzontale: […] immensi fiocchi di neve; ma non traballavano e non deviavano”.

Insomma – come diceva giorni fa una nonnina ciarliera e tenace – Siena con la neve è uno spettacolo per cui bisognerebbe far pagare. Mettendoci del loro, apprezzavano lo spettacolo anche un ragazzo e una ragazza che, allegri, caracollavano verso via Camporegio finché non si sono fermati baciandosi con lena (in omaggio alla scena e alla loro passione). Facevano venire in mente la pagina dannunziana del “Piacere”, con la senese Maria Ferres e il tormentato amante Andrea, a cui “indugiavan nell’orecchio le vaghe e gentili parole che la senese aveva detto guardando insieme con lui attraverso i vetri cader la neve mite come il fior del pesco o il fior del melo in su gli alberi della Villa Aldobrandini già illusi da un presentimento di stagion novella”.

Ma se non vogliamo scomodare i torbidi amori narrati da D’Annunzio, vanno persino meglio quelli plebei che per le strade di Siena davano voce a tenere serenate (vere o immaginate sotto la neve) tali da cantare: “Fiocca le neve giù per la strada / è tutta bianca la mia contrada. / E mentre dormi io ardo d’amor, / fanciulla mia, dammi il tuo cuor”. Intenti più giocosi manifestava invece Folgore da San Gimignano ai suoi amici senesi della Brigata Spendereccia, allorché “di gennaio” suggeriva di “uscir di for’alcuna il giorno / gittando de la neve bella e bianca / a le donzelle che staran da torno; / e quando fosse la compagna stanca / a questa corte facciase ritorno / e si riposi la brigata franca”.
Tutto ciò e molto altro può evocare la neve a Siena se in un giorno d’inverno la città imbianca e velandosi di quella lucentezza si svela come nuova. Sempre che in cuor nostro non dimoi troppo precocemente, a causa di sparso e corrosivo sale, il candore della meraviglia.

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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista e scrittore. Luigi Oliveto ha pubblicato i saggi: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Il paesaggio senese nelle pagine della letteratura (2002), Siena d'Autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004). Suoi scritti sono compresi nei volumi collettanei: Musica senza schemi per una società nuova (1977), La poesia italiana negli anni Settanta (1980), Discorsi per il Tricolore (1999). Arricchiti con propri contributi critici, ha curato i libri: InCanti di Siena (1988), Di Siena, del Palio e d’altre storie. Biografia e bibliografia degli scritti di Arrigo Pecchioli (1988), Dina Ferri. Quaderno del nulla (1999), la silloge poetica di Arrigo Pecchioli L’amata mia di pietra (2002), Di Siena la canzone. Canti della tradizione popolare senese (2004). Insieme a Carlo Fini, è curatore del libro di Arrigo...

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