10 autori per 10 temi. L’identità toscana attraverso le opere letterarie

Siena il 01/04/2022 - Redazione
Prosegue l’iniziativa di Toscanalibri "10 autori per 10 temi – Come una biblioteca dell'identità toscana", finalizzata a ricavare una ‘summa’ dei segni distintivi della ‘toscanità’, così come, nel tempo, è stata plasmata da molteplici fattori. Abbiamo chiesto a dieci autori di attingere ai nostri scaffali per suggerire alcuni libri riconducibili a dieci temi connotanti le peculiarità della Toscana. Oggi tocca a Massimiliano Bellavista che propone alcuni volumi attraverso cui conoscere e approfondire aspetti di quel ‘carattere’ regionale che è andato formandosi attraverso la letteratura e il racconto che questa fa della Toscana stessa.
 
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Cosa è la Toscana letteraria? Quando si parla di Toscana gli aspetti e le sfaccettature di un territorio, letterariamente parlando, così vasto sono praticamente infiniti. Ma forse ci sono anche dei dimenticati da leggere o rileggere, che per la loro genialità e il loro talento letterario ci dicono qualcosa di particolare e singolare sulla nostra Regione. Questione di punti di vista.

Cominciamo da Guglielmo Petroni. Ci sono scrittori che hanno conosciuto forme di oblio molto strane e subdole, le quali a momenti illusori di fama hanno saputo alternare fasi di sommersione sempre più profonda e dolorosa. Guglielmo Petroni è uno di questi. Trai venti e trent’anni è conosciutissimo, saldamente inserito all'interno del circolo fiorentino delle Giubbe Rosse, celebrato da Montale e Vittorini come scrittore di assoluto rilievo. Poi la Seconda Guerra Mondiale. E in seguito alcune scelte di campo espressive e di carattere letterario che lo relegano di colpo tra gli autori di secondo piano. Nel 1974, tuttavia, vince il Premio Strega con “La morte del fiume”. Nel volume, davvero straordinario, si ritrovano temi molto attuali, cioè il riferirsi a questioni ambientali allora in anticipo sui tempi e oggi assai sentite. Argomenti come l’inquinamento, il continuo stupro delle vie d’acqua cittadine, i centri storici delle nostre città toscane, belli ma fragili, le periferie che si sono innestate senza criterio in questo corpo generando continue e sempre peggiori crisi di rigetto, che ancora adesso non si ha gli anticorpi per gestire. Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, /di quante tu ne possa sognare nella tua filosofia, dice Amleto per ribadire all’amico la sua lacunosa conoscenza del mondo. Quei versi alla fine del libro, quasi con la stessa cadenza, sembrano proprio voler riecheggiare tutto ciò se Petroni fa dire a un suo personaggio: T’assicuro Stefano, ci sono più legami tra le cose, sia pur quelle banali, domestiche e di tutti i giorni e quelle che riguardano il cielo e la terra, di quanti non ce ne siano tra il grano e il pane.

Proseguiamo con Emma Perodi. Le “Novelle della nonna” sono opera di Emma Perodi (1850 – 1918) scrittrice e traduttrice, nata a Cerreto Guidi (Firenze) a cui è dedicato il Parco letterario “Emma Perodi e le Foreste Casentinesi”. L’opera ruota attorno ad una novellatrice, la «vecchia nonna Regina», che dipana le sue storie accanto al fuoco o nell’aia del podere di Farneta («piccolo borgo sulla via di Camaldoli»). Quarantacinque novelle e una Toscana misteriosa, gotica e complessa dove però non viene mai meno il legame con la concretezza della vita e l’emozione della memoria.  I racconti sono organizzati in quattro parti, corrispondenti ai cicli stagionali del lavoro contadino. Una sorta di lunario in forma di fiaba, dunque, ma anche la storia di una famiglia. Ora, le fiabe sono quella cosa che si presta per sua natura a infiniti rifacimenti e contaminazioni. Un tentativo assai felice, è proposto dal volume “La valle dei racconti. In Casentino con Emma Perodi”, curato da Paolo Ciampi, che offre la riscrittura di alcune novelle e contiene inoltre delle pagine dedicate al Parco e a tutti i Comuni del Casentino, con i riferimenti alle Novelle stesse.
 
Mario Tobino con “Le libere donne di Magliano” tocca probabilmente il suo apice letterario. È la Toscana della follia e del delirio, a pochi chilometri da Lucca, dove il colle di Santa Maria delle Grazie accoglie, anzi accoglieva, un manicomio. Dato che il paese più vicino è Magliano, «venire da Magliano» per la gente del luogo significa portare il marchio della pazzia e Magliano era sinonimo di pazzo. E l’autore, che visse quarant’anni nel manicomio di Maggiano (nella finzione letteraria trasformato in Magliano) ci rende tutto il peso di questo marchio descrivendo una galleria di ritratti memorabili, di vite sospese e sofferenti, dove il paesaggio Toscano, con la sua bellezza armoniosa e ordinata, fa da contraltare al disordine violento del manicomio (La pianura di Lucca sfavilla le messi dal prorompere della primavera fino all’autunno; riposa in una profonda ellissi circondata da monti che si stagliano limpidi in cielo. La pianura lucchese d’estate è un muovere-ondeggiare di verde ridente, un conversare spiritoso con ogni frutto e gemma e la vista varia e danza e si perde e si rinfranca e per nulla i monti che lontanamente circondano ostacolano quella letizia. Allo stesso tempo, però, la natura intorno al tetro edificio scandisce la vita di tutti e anche il ritmo del manifestarsi della follia e influisce sottilmente sui suoi ospiti, coi suoi cambi di stagione e il procedere inesorabile del tempo.  Tobino è uno scrittore che merita di essere letto apprezzato in tutto il suo valore. Amava molto la sua città, in modo spesso controverso, ma sempre intenso e inequivocabile, apprezzandone la bellezza austera, espressione di una discrezione severa e intimamente forte. Un rapporto che culmina, negli ultimi anni della vita di Mario Tobino in un amore più aperto e finalmente dichiarato - "Lucca, lo sai che io ti amo" - e che il libro “La Lucca di Mario Tobino”, con l'ausilio delle immagini bianco nero provenienti dall'Archivio fotografico del Comune di Lucca, riesce a dischiudere in tutta la sua complessa intensità.
 
Che dire di originale su Federigo Tozzi? Forse che se ne parla troppo e lo si legge troppo poco. E allora conviene tacere e leggere. E se si parla di Toscana non si può non considerarlo. Quella del volume “Il podere” è una Toscana contadina, cupa, dura, alla Verga, per certi versi spietata che però non fa solo da scenario ma si contrappone ai protagonisti della storia (Guardò il podere, giù lungo la Tressa; e dov’era già buio. E gli parve che la morte fosse lì; che poteva venire fino a lui, come il vento che faceva cigolare i cipressi) opponendo alla morte la forza della sua natura unica e del suo prorompente risveglio primaverile, restando indifferente, forte della sua fiera bellezza, a tutte le bassezze umane.  E chi ha scritto che “Il podere” sta a metà tra Verga e Svevo, non ha sbagliato, perché in questo libro accanto al paesaggio toscano anche il ‘paesaggio psicologico’ dei personaggi è assai interessante e degno di nota. Cominciamo a riscoprire Tozzi e la sua Toscana partendo da qui.

E proprio di Tozzi, spronato a più riprese da Indro Montanelli, si occupò Paolo Cesarini. Nato a Siena il 21 settembre 1911, giornalista, narratore e saggista, amico di Mino Maccari e Romano Bilenchi. Durante la guerra Paolo Cesarini rimase mutilato ad una gamba e fu decorato con medaglia d’argento al valor militare. Nel 1959, in seguito alla morte del padre, abbandonò l’attività giornalistica e ritornò a Siena come titolare del negozio di famiglia. Per avvicinarsi a questo autore di articoli e racconti bellissimi di vita toscana e senese, come “La ragazza in verde”, scrittore al contempo fine, elegante ed essenziale, merita una lettura, prodromo di possibili altre, il volume di Francesco DonzelliniLe passioni, il disincanto. Le passioni, il disincanto Profilo e scritti di Paolo Cesarini”.  Il profilo biografico e la selezione di testi consentono di ripercorrere la vita di questo tormentato toscano, e al contempo di capire anche qualcosa in più della vita e della storia della nostra Regione in anni così difficili e cruciali.
 
 

 
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