Il Connettivismo, corrente letteraria dei nostri tempi. Giovanni Agnoloni: «Movimento aperto tra umanesimo e scienza»

Firenze il 26/06/2018 - di Serena Bedini
«Siamo i Custodi della Percezione, Guardiani degli Angeli Caduti in Fiamme dal Cielo, Lupi Siderali. Un gruppo di liberi sognatori indipendenti. Viviamo nel cyberspazio, siamo dappertutto. Non conosciamo frontiere». Così comincia il Manifesto del Connettivismo, chiaramente ispirato nella struttura a quello marinettiamo del Futurismo, ma con istanze proprie e diverse, volte a indagare desolati scenari urbani, città distrutte da scontri bellici, pianeti deserti e lontani, reperti dell’archeologia postindustriale. Ma che cos’è di preciso il Connettivismo? Da quali ideologie nasce? Lo abbiamo chiesto a Giovanni Agnoloni, autore toscano che afferisce ormai da tempo a questa corrente letteraria, insieme a un numero sempre in crescita di altri membri.

I connettivisti si autodefiniscono nel manifesto “rabdomanti cibernetici”, ma sulle pagine del sito, abbandonati i toni lirici, si presentano come «un collettivo di appassionati di generi letterari, attivi in vari ambiti e con varie mansioni (nella scrittura, nella critica, nell’arte)». Quando e perché è nato il Connettivismo e quali generi coinvolge?
«Il Connettivismo nasce nel 2004 dall’interazione in Rete dei suoi tre fondatori, Sandro Battisti, Giovanni De Matteo e Marco Milani. Varie esperienze su diversi blog ed e-zines convergono in un flusso di pensiero che si ispira all’immaginario cyberpunk, goth e di generi viciniori, fino a trovare una sintesi nel manifesto, stilato principalmente da De Matteo e concepito non come decalogo “vincolante”, ma come una serie di suggestioni poetiche che delineano un alone percettivo in cui qualunque artista (non solo in ambito letterario, ma anche musicale, grafico e architettonico) può spontaneamente riconoscersi. Si tratta dunque di un movimento aperto, e sia pur ben cosciente delle proprie caratteristiche, che attingono ora dall’immaginario futurista, ora da quello crepuscolare, ora da quello surrealista, ma sempre con il punto di fondo di coniugare in un’indagine coerente la sensibilità umanistica e quella scientifico-tecnologica. Peraltro, benché nato in orbita fantascientifica (e noir), il movimento si è molto evoluto nel corso degli anni, entrando di recente anche nel territorio della narrativa “non di genere”, il cosiddetto mainstream (cito, a questo proposito, l’antologia Nuove eterotopie, a cura di Battisti e De Matteo (ed. Delos Digital, 2017), col prezioso contributo di Bruce Sterling, teorico del Cyberpunk».

La costruzione di ponti tra la cultura scientifica e quella umanistica è l’obbiettivo dichiarato dei connettivisti. Quali caratteristiche deve avere un romanzo connettivista?
«Non è tanto l’avere una caratteristica specifica a connotare un’opera come connettivista, ma la capacità che dimostra – a livello di concetti, ma prima ancora di atmosfere e suggestioni poetiche – di suscitare una riflessione tanto su risvolti scientifico-tecnologici quanto sul Profondo della psiche umana. Questo può avvenire tramite storie ambientate in remote regioni del cosmo, come in molti racconti di Sandro Battisti, Giovanni De Matteo e Alex Tonelli, oppure mediante testi poetici che s’inoltrano negli abissi della natura umana (penso a quelli di Marco Moretti), o ancora con storie che si svolgono nel mondo terrestre, a stretto contatto con la problematicità dell’evoluzione tecnologica e della sua correlazione con la psiche, come avviene nei miei romanzi della serie distopica “della fine di internet” (Sentieri di notte, Partita di anime, La casa degli anonimi e L’ultimo angolo di mondo finito, NDR)».

Nel 2017 per Galaad Edizioni è uscito L’ultimo angolo di mondo finito, il tuo ultimo romanzo. Nelle prime pagine si legge: «Il clima era sempre più imprevedibile, internet in Europa non era stato ripristinato, e comunicare telefonicamente tra un continente e l’altro era ormai pressoché impossibile. A volte creava problemi perfino tra località vicine» (p. 14). Questa è dunque la contrainte in cui si instaura l’azione: un mondo improvvisamente privato di Internet.  Da cosa nasce questa tua idea e com’è stato immaginare la nostra società privata di uno dei mezzi principali di comunicazione?
«Nasce dall’osservazione infastidita dell’estrema diffusione dell’abuso di tecnologia, soprattutto sub specie smartphone, che sui mezzi pubblici italiani (ma non solo) hanno pressoché integralmente sostituito libri e, banalmente, sguardi e parole scambiati tra le persone. Il che mi ha portato a chiedermi: che farebbe tutta questa gente, se internet, per accidente, venisse a mancare? Certo, serviva un’(accurata) architettura narrativa a sostegno di questa idea, e per questo è stata necessaria una quadrilogia. La cosa per me più interessante è stata immaginare il confronto – per tanti versi impossibile – tra coloro che sono “rimasti sotto” il crollo di internet, in tanti casi diventando isterici e aggressivi, e quanti invece già prima erano stati capaci di portare avanti la propria vita servendosi utilmente della Rete, ma senza farsene soverchiare. Proprio questi ultimi, infatti, sono coloro che si trovano a dover svolgere delle problematiche “missioni”, nel quadro di questi eventi che si svolgono tra il 2025 e il 2029 (parlo dell’intera serie, mentre il 2029 è l’anno di ambientazione de L’ultimo angolo di mondo finito)».

Next è il bollettino della cultura connettivista, una rivista diretta da Sandro Battisti, che ha pubblicato diciannove numeri. Oggi la sua eredità è raccolta e ampliata dal sito http://www.next-station.org/, diretto da Giovanni De Matteo e Salvatore Proietti. Che tipo di contenuti si possono trovare al suo interno?
«Numerosi e assai vari, dai racconti ai saggi brevi (ve ne sono stati alcuni anche premiati al Premio Italia, come uno di Giovanni De Matteo sulla fantascienza degli ultimi trent’anni, ma ricordo anche la rubrica di critica letteraria “Ermetica ermeneutica” a cura di Alex Tonelli), dalla poesia alla grafica (ricordo un numero con illustrazioni di Francesco D’Isa), dall’architettura agli eventi connettivisti in programma in giro per l’Italia, e che in tanti casi hanno avuto per protagonisti i vari Premi Urania del movimento, ovvero Giovanni De Matteo, Sandro Battisti, Lukha B Kremo e Francesco Verso. Il sito che oggi è possibile consultare è forse più ristretto nella varietà di contenuti, rispetto alla rivista cartacea, ma approfondisce maggiormente i vari temi, con una particolare attenzione all’analisi critico-letteraria, grazie soprattutto alla penna (o meglio, alle tastiere) di De Matteo e Proietti».

Un tempo le correnti letterarie nascevano, si trasformavano, si fondevano, si scindevano; oggi al contrario è molto difficile sentir parlare di correnti letterarie e in questo senso il Connettivismo rappresenta un’eccezione. Perché, a tuo giudizio, gli scrittori attuali sembrano non avvertire più la necessità di far riferimento a una corrente?
«Per due motivi principali, ritengo: il fatto che, storicamente, i movimenti sono per lo più stati orientati a “ingabbiare” i loro membri entro regole piuttosto rigide (laddove il Connettivismo, al contrario, come già evidenziato, spicca per la sua apertura) e il fatto che la tecnologia e l’accesso diretto alla Rete oggi rende tutti più indipendenti, sì, ma anche più isolati. Il Connettivismo, a patto che uno scrittore, musicista, grafico o altro vi si riconosca spontaneamente, non vincola nessuno. In più, presenta il vantaggio che tra di noi c’è grande amicizia. E questo rappresenta di per sé un fatto non tanto comune, e perciò degno di nota, nel mondo letterario ma anche al di fuori».
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Serena Bedini

È nata a Firenze nel 1978; si è laureata con 110/110 e lode in Filologia Moderna nel 2005 presso l’Università degli Studi di Firenze. È scrittrice, giornalista, docente. Maggiori informazioni su di lei sono reperibili su www.serenabedini.it.   Vai alla scheda autore >

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