Il senese che raccontò l’anima del Palio in Rai. Il ricordo di Emilio Ravel

Siena il 15/02/2018 - di Roberto Barzanti
Emilio RavelRaveggi all’anagrafe – è stato una presenza costitutiva della televisione pubblica. Da caporedattore di “Tv7” dette la misura del suo gusto per un giornalismo raccontato con estro narrativo, ma senza clamore, senza toni forti. “Senese della Selva” lo dicevano e lui stava contento al gioco, ma era nato  (incidentalmente) a Roma e gli anni più intenso della sua formazione li ha passati a Firenze. Il gentiluomo Ravel coltivava l’inclinazione toscana al bozzetto arguto e all’aneddoto fulminante, e ricercava nei retroscena la verità nascosta e sorprendente degli avvenimenti. Si divertiva a chiamare alla ribalta quanto stava nell’ombra, il marginale che aveva il sapore dell’inedito. Il suo amore per lo spettacolo non aveva nulla a che vedere con la spettacolarizzazione vociante e scandalistica poi dilagata. Elegante e rispettoso, Emilio sapeva tagliare da maestro interviste e inchieste. Basterà citare, tra le tante sue memorabili trasmissioni, “Odeon”, il cui sottotitolo era una dichiarazione di poetica: “tutto quanto fa spettacolo”. Ma non è questa la sede per ripercorrere una carriera lunga e densa di successi. Era entrato, ventenne, in Rai, nel 1953, e appena poteva dava spazio ai paesaggi preferiti e alle usanze antiche. Per il Palio provava un’attrazione smisurata. Dal 1994 fino al 2012 ne fu il cantore ufficiale, anche se ne aveva già fatto oggetto di preziose indagini. Si ostinava a portare in evidenza ciò che stava dietro e dava vigore alla rapida contesa e alla splendida festa. Sicché nelle sue telecronache inseriva filmati – microdocumentari girati con affettuoso scrupolo – con interviste, luoghi, autori, temi, che lo legavano alla vita segreta e calda della città. In una delle prime trasmissioni lo spiegò come un’antiolimpiade dominata dalla Fortuna, intrattenendo sui machiavellismi e i trucchi che insaporivano la celebrazione. Era la sua, un’antropologia alla buona, offerta su un piatto d’argento, essenziale e rigorosa. Le abitudini e i ritmi delle Società di Contrada lo affascinavano quanto i colpi di scena nel Campo. Le rivalità accanite quando il cordiale ritrovarsi insieme: uniti perché divisi. Emilio Ravel indossava spontaneamente, con cortesia anglosassone, i panni del regista esigente. Nulla lasciava al caso. Ci ha regalato anche libri che si sfoglieranno con piacere e sembrerà di ascoltare la sua voce pacata e sommessa. “Il diavolo a Firenze” (1987) sintetizzò la sua nostalgica predilezione per le atmosfere ovattate e ambigue di una volta. Si cimentò da cronista con la storia. “Il tumulto dei Ciompi” (1978) lo costruì come un reportage diaristico. E immaginò un discorso di Francesco D’Agnolo detto Barbicone, il mitico capo della rivolta senese che si scatenò nel Bruco nel 1371 annunciando quella più famosa dei Ciompi. Gli prestò per ironica provocazione un lessico aspro e attuale: «Perché dobbiamo essere comandati, disciplinati e anche giudicati dall’Arte della Lana che è l’organizzazione dei nostri stessi padroni?». Una rivolta che fece sobbalzare i nobili increduli: spettatori d’improvviso svegliati dal sonno.

 
Articolo pubblicato sul “Corriere Fiorentino” del 14 febbraio 2018 (con correzioni)
 
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Roberto Barzanti

è un politico italiano. È stato parlamentare europeo dal 1984 al 1994, dal 1992 ha ricoperto la carica di vicepresidente del Parlamento europeo. Dal 1969 al '74 è stato sindaco di Siena. Dal 2012 è presidente della Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena. Ha pubblicato "I confini del visibile" (Milano, 1994) sulle politiche comunitarie in tema di cinema... Vai alla scheda autore >

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