“La cultura deve farci diventare partigiani dell’amore”. Intervista a Marco Palagi, editore in prima linea

Viareggio il 23/03/2022 - di Simona Bertocchi
La cultura non deve essere solo un concetto astratto, lontano dalle esigenze reali, chiuso in un suo altrove, la cultura deve in certi momenti diventare azione e concretezza, dare una forma e una forza ai valori che rappresenta nell’arte e tra le pagine di un libro. È il caso di Giovane Holden Edizioni, casa editrice di cui ho l’onore di essere un’autrice. Marco Palagi da artigiano della parola, uomo che vive tra i libri e scrittore lui stesso, editore attento ai contenuti, sempre in cerca di novità coinvolgenti e voci fuori dal coro, ha ben chiaro che tutta l’anima plasmata con la parola scritta, tutte le riflessioni e gli ideali che reggono i messaggi dei libri non possono sempre rimanere chiusi dentro la copertina, devono vivere per renderci più umani, per aiutarci ad affrontare le bruttezze del mondo e magari a sconfiggerle. La parola è un’arma che non uccide ma fa le rivoluzioni. Da anni Marco si adopera in battaglie umanitarie per portare aiuto ai dimenticati, per creare ponti e abbattere muri, per raccontare le storie dei libri ai bambini negli angoli più poveri e, pertanto dimenticati, in Africa come in Europa. Non poteva certo sottrarsi alla richiesta di aiuto così disperata dei profughi di questa assurda guerra che colpisce e divora senza risparmiare nessuno, neppure i bambini. Ho bisogno di conoscere e soprattutto di divulgare l’esperienza di Marco con qualche breve domanda e gli chiedo:
 
Cosa pensi che ognuno di noi possa fare per essere d’aiuto a questi nostri fratelli?
È possibile fare tantissime cose. Con Francesca Bertò – la mia compagna di avventura in queste missioni umanitarie – abbiamo attivato una raccolta fondi sin dall’inizio della guerra, per portare ristoro economico alle strutture gestite dalle suore che da anni sosteniamo e che adesso si trovano a dover gestire un’emergenza e delle spese fuori dal comune. Ma l’aiuto economico non è il solo importante. Come diciamo spesso, in un mondo fatto di click e condivisioni virtuali, la condivisione di ciò che sta succedendo - che magari arriva ai nostri contatti grazie alla nostra esperienza sul campo - e la consapevolezza che ci sono realtà ed esigenze che vanno oltre a ciò che vediamo in tv nei tg o nei programmi, è importante tanto quanto una donazione. Non lasciar sole queste anime in fuga significa anche questo, far sentire loro che ci siamo se ne hanno bisogno, che sappiamo cosa stanno vivendo sulla loro pelle anche se non lo comprendiamo appieno, che ci siamo o con l’aiuto economico o con generi alimentari o sul campo, ma ci siamo, per loro.
 
Quando, in quale momento hai sentito il bisogno di essere presente in prima fila davanti alle emergenze umanitarie?
Appena è scoppiata la guerra Francesca e io abbiamo deciso di partire. Subito. Le strutture delle suore che aiutiamo da anni sono state le prime, in Romania, ad accogliere i profughi. Pensate a un monastero che accoglie pellegrini nell’ordine di 10-20 a settimana ritrovarsi a dover accogliere 100-120 profughi al giorno, che rimangono in struttura 24/48 ore e poi si spostano nuovamente. C’era bisogno di un aiuto immediato. E non solo per aiutare a pulire le stanze, a trovare materassi e lenzuola, a comprare generi alimentari, ma anche a gestire il tutto, a render loro disponibili l’esperienza e i contatti che Francesca e io abbiamo maturato negli anni, persone meravigliose che abbiamo chiamato e hanno subito risposto alla nostra richiesta di aiuto. Conosciamo quella realtà da anni, se ci fossimo sottratti alla loro silenziosa richiesta di aiuto qualcun altro avrebbe risposto? Non lo sappiamo, forse sì, forse no, ma non era importante, siamo dovuti partire.
 
Quali sono le esperienze più toccanti che hai vissuto?
Sono stato a Sighet, Romania, lì sul confine, più di venti volte in cinque anni. Mi è capitato di piangere, di sentirmi stringere gola e stomaco di fronte alla situazione che alcuni bambini rumeni vivono ancora quotidianamente nel 2022. Ma vedere quelle persone scappare dalla guerra, bambini e mamme attraversare a piedi il confine con a malapena una valigia e un peluche in braccio, uomini adulti attraversare a piedi il fiume che divide i due paesi, verso la libertà, a piedi scalzi, poco vestiti, disposti a tutto per non abbandonare la famiglia… non ho mai pianto così tanto in così poco tempo in vita mia. Pianto per quello che vedevamo, ma anche pianto per l’estrema impotenza che ci attanagliava nonostante cercassimo di fare il possibile per aiutarli. Poi siamo riusciti a portare in Italia, al rientro, una mamma con la propria figlia adolescente e una ragazza. Quest’ultima l’ho accompagnata a Torino, dove per fortuna aveva una zia e una cugina, mamma e figlia sono andate a Trento, in una struttura che abbiamo trovato disponibile ad ospitarli. Sentire le loro storie, la paura nella loro voce e il loro viaggio per 1000 km prima di raggiungere il confine… sono quei racconti che rimangono impressi più di quel libro preferito che hai letto tante volte.
 
Credi che il mondo della cultura possa fare qualcosa di concreto davanti a queste sciagure?
Credo che la cultura debba sempre metterci la propria voce. Si fa un così tanto uso di parole nei libri, nelle trasmissioni che parlano di arte o spettacolo, ma poche volte, troppe poche, ci sono persone che hanno voglia di alzare la voce. Una voce alta non per imporre le proprie parole o idee, ma in una società pregna spesso di superficialità, di egoismo, di poca empatia, la voce del mondo della cultura sarebbe fondamentale in questi momenti: per sensibilizzare, per arrivare a più persone possibili, per aiutare in modo concreto. Penso ad artisti famosi che sui social – che ormai sembrano siano l’unica realtà che conta – possano esporsi, chiedere aiuti umanitari, appoggiare qualche ONG attiva sul campo, quanto rumore farebbero? Quanto aiuto porterebbero? Negli Stati Uniti tanti attori e scrittori famosi o meno lo stanno facendo e la gente risponde. Gli artisti hanno una sensibilità particolare e delle parole che possono arrivare al cuore di milioni di persone, perché stanno zitti, perché non si espongono contro lo scempio di questa guerra? Perché – come mi piace dire ultimamente – non ci facciamo tutti partigiani dell’amore?
 
Vuoi darci i contatti e qualche informazione per aderire a questi viaggi umanitari e in quale modo?
Al momento gli aiuti umanitari materiali – cibo, prodotti igienici ecc. – stanno arrivando in modo continuativo da ONG e associazioni di tutta Europa. Per fortuna la risposta c’è stata in questo senso e in modo massivo. Per quanto riguarda Francesca e io e il nostro lavoro sul campo, presso le strutture delle suore, c’è ancora bisogno – e ce ne sarà ancora per un bel po’ – di raccogliere donazioni da destinare appunto a loro, in modo che possano pagare bollette di luce, metano, acqua, pulizie ecc… che si aggirano intorno alle migliaia di euro al mese e da sole non riescono a sostenere queste spese. Per chiunque abbia voglia di aiutarci può seguire le nostre attività sui nostri social – Facebook e Instagram – dove diamo aggiornamenti continui sulla situazione e diamo resoconto delle spese che andiamo ad effettuare. Altrimenti c’è la mia mail marcopalagi81@gmail.com Ripartiremo il prossimo 31 marzo, c’è bisogno di tutto l’aiuto possibile. Grazie.
 
Vorrei chiudere con una situazione che hai vissuto che porti un po' di speranza.
Riguarda i bambini. Dobbiamo tutelarli il più possibile, farli sentire al sicuro con le loro mamme e protetti sebbene lontani da casa, dagli amici, dalla propria scuola e famiglia, lontani dal loro luogo sicuro. Quando li vediamo arrivare presso le strutture delle suore sono spaventati, è quasi sempre notte, si tengono stretti alla mamma, non si fanno avvicinare, piangono, si disperano… ma poi, per fortuna, a volte il mattino dopo, fatta colazione, hanno voglia di riappropriarsi della loro innocenza e si mettono a disegnare e colorare, come se fossero a casa, come se la guerra non avesse già segnato in modo indelebile le loro giovani vite.
 
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Simona Bertocchi

Simona Bertocchi, nata a Torino, toscana di adozione, vive attualmente a Montignoso, provincia di Massa Carrara. Lavora nel settore del turismo da oltre vent'anni, ma l’altro mestiere è scrivere. Delle sue due terre ha preso l’elegante rigore sabaudo e la creatività istintiva toscana. Al momento ha 7 libri editi tra romanzi, raccolta di racconti e silloge di poesie, ma... Vai alla scheda autore >

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