La Manifattura Tabacchi di Lucca. Storia di una fabbrica di pubblica utilità

Lucca il 25/02/2021 - Redazione
In queste settimane molto si parla dell’immenso edificio della ex La Manifattura Tabacchi di Lucca ma poco si sa della storia del vecchio opificio. Tralerighe ha pubblicato per questo il libro “Storia del lavoro femminile. La manifattura tabacchi di Lucca, una fabbrica di pubblica utilità” di Simonetta Simonetti. Il saggio, sostenuto dalla Fondazione Banca del Monte di Lucca, fornisce agli studiosi e ai lettori un ampio e vasto terreno per conoscere l’intera vicenda. Dall’argomento della storia del tabacco, della sua diffusione e dell’uso, così come la “scoperta” lucchese, la fabbrica, il lavoro femminile che è declinato, in questo particolare opificio, dal mestiere artigiano e manuale delle sigaraie.

La storia - Centinaia di donne lucchesi che in una “fabbrica insalubre” costruiscono il futuro dei loro figli, che crescono nell’incunabolo, lo spazio che l’azienda ha creato per sostenere le madri e per non perdere l’esperienza delle donne sigaraie, difficili da sostituire. I grandi scioperi, la Prima guerra mondiale, il fascismo e la “resistenza” delle maestranze al saccheggio tedesco nel 1944, e poi ancora la pagina dedicata all’arrivo delle “polesi”, ovvero delle italiane costrette a lasciare Pola al momento della cessione delle terre istriane, dalmate e giuliane al regime slavo-comunista di Tito. Il saggio è occasione per ricostruire la storia delle leggi che hanno mutato il lavoro femminile. Inoltre, in un’ampia rassegna di memorie, le donne dell’opificio raccontano “il piccolo” della vita quotidiana, la “boccalona”, la “fruga”, il pareggio delle medaglie. Il rapporto tra Lucca e il tabacco iniziò ufficialmente, secondo Cesare Sardi, nel 1649, quando venne concesso l’appalto di smercio al milanese Silvestro Marselli. Marselli si impegnò a fornire per un triennio tabacco buono e mercantile e senza frode al prezzo di 15 bolognini la libbra il sodo e per 22 bolognini quello in polvere. L’uso del “tabaccare” diventò molto in voga e superò, per i lucchesi, l’uso del tabacco in foglia. I sigari di origine spagnola rimasero sconosciuti a Lucca per tutto il settecento. In città le qualità più popolari di tabacco erano il fratino e il fratone; qualità superiore era il “refino” mentre le donne della nobiltà apprezzavano di gran lunga “la polvere di Siviglia” o il “varinas” e una polvere olandese chiamata “pipì”. A Lucca un opificio tabacchi verrà istituito a inizio 1800. La macinazione del tabacco era effettuata in un mulino a S. Pietro a Vico di proprietà della famiglia Orsolini. La sede si trovava in via della Rosa 12. Tale realtà fu però soppressa nel 1808, e l’amministrazione dell’azienda venne incorporata a quella francese. In altre parole i lucchesi furono costretti a comprare il tabacco d’oltralpe. Poi la Restaurazione con il trasferimento in una parte della Cittadella con i primi appalti e contratti per la lavorazione e la fornitura. Nel 1861, con l’Unità d’Italia, a Lucca nacque ufficialmente la Regia Manifattura tabacchi. L’organico era composto da 13 ufficiali superiori, 165 tra ufficiali inferiori, e 500 sigaraie cottimanti. Le cottimanti erano per lo più molto giovani, ragazze, bambine di 11 anni qualificate come “fanciulle avventizie” fino ai 15 anni, da quella età ai 17 anni venivano inquadrate come “avventizie in ruolo”. La produzione annua era di circa 300 quintali di sigari, 139 di polveri, 65 di trinciato.

Nel primo decennio del ‘900 nello stabilimento lavoravano 111 operai e 1.400 donne con l’aiuto di 45 macchine operatrici. Tra gli anni Venti e Trenta in Manifattura lavoravano 3.000 persone che trasformavano circa duemila tonnellate di tabacco. Le strutture dell’intero sito manifatturiero vennero sottoposte a significativi restauri e a un ampliamento con la costruzione di un nuovo edificio affacciato su Piazzale Verdi. Superata la guerra la fabbrica, salvata dal proprio personale, riprese il lavoro. Integrate le donne sigaraie “polesi” giunte da Pola a seguito dell’Esodo, la fabbrica dovette fare i conti con la concorrente sigaretta. Grazie al cinematografo che mostrava divi e dive ripresi a fumare la sigaretta, questa entrò nel gusto degli italiani sostituendosi al sigaro. Così se nel 1901 in Italia il consumo di sigarette era solo al 5%, mentre i sigari coprivano il 40% del mercato dei tabacchi, nel 1957 il consumo di sigarette risultava salito all’84% del consumo totale di tabacchi, mentre il consumo di sigari e sigaretti era sceso vertiginosamente a meno del 4%. Poi la diffusione della peronospora tabacina una malattia della pianta di tabacco e la legge del 10 aprile 1962 che introdusse il divieto di propaganda pubblicitaria di prodotti da fumo. L’abbandono dei campi per le città fece poi crollare la produzione nazionale del tabacco e l’importazione ben presto coprì buona parte del mercato. Le manifatture entrarono in crisi e alla fine di un lungo salvataggio Lucca – tra le poche rimaste aperte – seppur ridimensionata tornò a produrre i sigari.
 
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