Alice Cappagli e la colf che legge i filosofi

Luigi Oliveto

07/03/2019

Bella idea, quella di Alice Cappagli, che nel romanzo “Niente caffè per Spinoza” si è inventata una storia dove una giovane donna, Maria Vittoria, dalla vita molto confusa e precaria (ha bisogno di guadagnare qualche soldo e il suo matrimonio sta in piedi “come una capannuccia fatta con gli stuzzicadenti”) trova lavoro presso un anziano professore di filosofia diventato cieco. La particolarità di quel lavoro non è tanto l’incombenza di tenere in ordine la casa e cucinare, ma essere pronta a leggere pagine di libri ogni qualvolta – e accade di continuo – il professore lo desideri. Così Maria Vittoria, mentre ha sul fuoco il tegame con le zucchine, deve anche vedersela con Pascal, Epitteto, Spinoza, Sant'Agostino, Epicuro. Scoprendo che la filosofia non è altra cosa dalla vita spicciola e quotidiana; anzi, fornisce idee giuste proprio per rimettere ordine nella vita. Non è dunque un caso che in quella casa zeppa di libri fino al soffitto, ci sia luce, aria, un via vai di persone che con il professore scambiano pensieri importanti. Lui non vede, ma davanti alla finestra indica e descrive il cielo, sa che i capelli di Maria Vittoria sono biondi, chiede che vengano letti stralci di libri dove sono riposte verità che spiegano la vita. A Maria Vittoria si rivela un mondo nuovo, si rende conto di come la sua esistenza assuma sempre più ordine e consapevolezza. Ora osserva la propria esistenza in modo ‘informato’, se ne riappropria con maggiore lucidità e persino ironia (divertente è la galleria di personaggi che le ruotano attorno). Riesce anche ad innamorarsi come una ragazzina. Insomma, è andata a mettere ordine nelle stanze di un vecchio professore ormai avviato alla fine, e – in una sorta di dissolvenza incrociata – si ritrova a riordinare se stessa verso una nuova vita. Potenza dei libri e della filosofia.
 
***
 
La porta si aprì con cautela e apparve un signore infagottato, ben dritto in piedi, con pochi ingovernabili capelli bianchi sulla cima del capo, di media statura. Indossava un paio di pantofole col pelo dentro. Per essere agosto niente male. Era senza occhiali, e gli occhi erano rivolti verso la finestra.
– Babbo, ti presento la signora Baroncini, – disse Elisa.
Io mi alzai mentre mi tendeva debolmente la mano senza staccare gli occhi dalla finestra.
– Quindi ho il piacere di darle il benvenuto. Lei è bionda?
Si può capire dall’odore, il colore dei capelli?
– In realtà non vedo se lei è bionda, ma credo che lo sia.
Gli strinsi la mano e la cosa lo fece finalmente sorridere.
– Bene, è bionda ed è positiva, – soggiunse. – E si chiama?
– Marvi.
Si rabbuiò.
– Be’, io non ci credo affatto, ha forse un nome composto?
– Mi chiamo Maria Vittoria, ma è lungo e mi chiamano Marvi.
– Quindi signorina sappia che non è la stessa cosa, se lei si chiama Maria Vittoria io la chiamerò Maria Vittoria. Il nome è una cosa importante, ci tengo molto, se non le dispiace.
Era estremamente delicato e signorile nei modi, nonostante l’ingombro dei vestiti e il tono lapidario. Tuttavia aveva l’aria di uno che è stato interrotto nel corso di un’attività.
– E ora che ho fatto la sua conoscenza la saluto, dovete parlare di cose che non mi riguardano. Ah, dimenticavo: lascio aperta questa porta sperando che non abbiate freddo.
Lui sparì, la porta sbatté dopo pochi secondi. C’erano comunque almeno una trentina di gradi. E a voler essere precisi le cose di cui si doveva parlare lo riguardavano eccome.
– Bene, – disse Elisa, – ora l’ha visto, è così, ha le sue fissazioni. D’altra parte ha ottant’anni appena compiuti. Ecco, quelle là sono le sue medicine.
Sulla credenza c’era una montagna di scatolette.
– L’unica pasticca che veramente conta è quella per il pancreas perché è stato operato di tumore tre anni fa.
Sgranai gli occhi.
– Secondo il medico di famiglia potrebbe avere al massimo ancora un anno di vita, – aggiunse senza scomporsi.
– Ma lui lo sa?
– Se si è accorto che lei era bionda, è probabile che sappia anche il giorno e l’ora –. Rise. A me pareva ci fosse poco da ridere.
Mi feci coraggio e chiesi: – Ma la questione della lettura di cui mi hanno detto?
– Guardi, se riesce a sbirciare nello studio ci arriverà da sola.
[…]
Lo studio del Professore invece era un vero spettacolo: la finestra occupava l’intera parete rivolta a ovest. La luce era accecante. Il resto era un brulicare di scaffali pieni di libri fino al soffitto. Su una vecchia scrivania stavano accatastati giornali che svolazzavano, e altri giornali misti alla posta erano sparsi per terra. Una fotografia, miracolosamente in piedi su una mensola, e talmente stinta dal sole che a malapena si potevano intravedere le figure: il Professore, con almeno vent’anni di meno, e una donna.
Poi sotto la mensola c’era una branda. Anche quella coperta di giornali.
– Ma bisogna leggere tutto? – chiesi sbigottita.
– No no, però tutti questi libri gli fanno compagnia. E secondo lui hanno un’anima, quindi sono indispensabili.
– Un’anima?
– Indubbiamente. Quasi tutto è stato letto, il problema è ricordare, o almeno ricordarne l’anima. A volte basta il titolo –. Se bastava leggere il titolo si poteva anche passare in rassegna la biblioteca in una settimana, pensai.
In un’altra camera c’era un letto matrimoniale e un caos di tipo diverso, addirittura vidi un violino sdraiato su un cuscino e musiche sparse. Riconobbi i jeans sdruciti buttati su una sedia: evidentemente facevano parte dell’assetto operativo.
In salotto, forse l’unica stanza vagamente in ordine, ritrovammo il Professore. La tapparella del balcone era abbassata, e lo sarebbe stata anche quella della finestra attigua allo studio, se lui non l’avesse alzata di poco per infilarci una mano sotto. Quando entrammo sobbalzò.
– Babbo, ma cosa stai combinando?
– Ho delle briciole in tasca.
– E perché le metti sul davanzale, per i passerotti? Arriveranno i piccioni.
– Io credo che i colombi abbiano fatto l’uovo nel vaso dei gerani, quindi dovranno covare e troveranno da mangiare –. Lo disse placidamente, con l’aria di riferirsi a un fatto ineluttabile.
– Ecco, vede, Marvi?
– Maria Vittoria, – precisò lui.
– Sei sicuro, babbo, che ci sono le uova? Come hai fatto, ti sei sporto?
Andammo alla finestra e alzammo un po’ di più la tapparella. I vasi erano pieni di un terriccio incolto da chissà quanti anni, e in uno c’erano effettivamente due piccole uova.
– Sono i colombi, io la mattina presto li sento, sembrano indaffarati.
Elisa sospirò, poi mi accompagnò alla porta. Nell’ingresso, lontano dalle orecchie di suo padre, concluse:
– Allora ha visto la situazione. Ci pensi, e mi sappia dire qualcosa in questi giorni per favore, così ci organizziamo per la regolare assunzione, il numero settimanale delle ore eccetera. Guai a non fare le cose per bene, a mio padre verrebbe un infarto.
Stavo dirigendomi verso le scale per scendere a piedi quando mi voltai a chiedere:
– Ma come si chiama di nome il Professore?
– Luciano.
– Luciano… – ripetei. Se i nomi sono importanti, avevo già imparato la prima cosa.
Anche se avevo cercato di non sudare, avevo sudato. Anzi per la precisione stavo sudando pure mentre tornavo a casa. Quando mi vide, il cane prese a scodinzolare eccitato. Brutto segno, doveva essere al limite. Sul tavolo trovai un foglietto lasciato da mia suocera: «Il prossimo anno l’acqua del giardino la pagate voi».
 
[da Niente caffè per Spinoza di Alice Cappagli, Einaudi, 2019]

 
Torna Indietro
Lascia un Commento

Scrivi un commento

Scrivi le tue impressioni e i commenti,
verranno pubblicati il prima possibile!

Ho letto l'informativa sulla privacy e acconsento al trattamento dei dati personali ai sensi dell'art. 13 D. lgs. 30 giugno 2003, n.196

Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista e scrittore. Luigi Oliveto ha pubblicato i saggi: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Il paesaggio senese nelle pagine della letteratura (2002), Siena d'Autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004). Suoi scritti sono compresi nei volumi collettanei: Musica senza schemi per una società nuova (1977), La poesia italiana negli anni Settanta (1980), Discorsi per il Tricolore (1999). Arricchiti con propri contributi critici, ha curato i libri: InCanti di Siena (1988), Di Siena, del Palio e d’altre storie. Biografia e bibliografia degli scritti di Arrigo Pecchioli (1988), Dina Ferri. Quaderno del nulla (1999), la silloge poetica di Arrigo Pecchioli L’amata mia di pietra (2002), Di Siena la canzone. Canti della tradizione popolare senese (2004). Insieme a Carlo Fini, è curatore del libro di Arrigo...

Vai all' Autore

Libri in Catalogo

NEWS

x

Continuando la navigazione o chiudendo questa finestra, accetti l'utilizzo dei cookies.

Questo sito o gli strumenti terzi qui utilizzati utilizzano cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Chiudendo questo banner o proseguendo la navigazione, acconsenti all’uso dei cookie.

Accetto Cookie Policy
X
x