Auður Ólafsdóttir, se l’umanità resiste agli orrori del mondo

Luigi Oliveto

29/03/2018

Auður Ava Ólafsdóttir. Pronunciare il nome della scrittrice islandese non è del tutto agevole, ma leggere il suo ultimo romanzo, sì. Non a caso “Hotel Silence” è stato eletto libro dell’anno dai librai d’Islanda. Una delicata vicenda che ha a che fare con il senso della vita, e su come quel senso possa perdersi e ritrovarsi. Questo, infatti, accade a Jónas, un quasi cinquantenne, bravissimo ad aggiustare tutte le cose, ma non la propria vita ridotta a pezzi. Divorziato, con una figlia che credeva sua fino a quando la ex moglie gli ha rivelato che non era lui il padre, con una mamma ormai persa in una crescente demenza senile. E’ perso anche Jónas, in piena crisi di identità, poiché gli sono venuti a mancare tutti i punti di riferimento. A ritrovare qualcosa di sé non serve nemmeno rinvenire i diari di gioventù, dai quali emergono due suoi grandi interessi: i corpi celesti e i corpi femminili. Il ragazzo di allora risulta, oggi, essere a lui un perfetto sconosciuto; la sua vita un percorso da una menzogna all’altra. Decide dunque di farla finita, e grazie alle sue spiccate doti per il ‘fai da te’, studia il modo migliore per suicidarsi evitando agli altri – soprattutto alla figlia – la visione di scene shoccanti. Decide così di andare all’estero, in una località semidistrutta dalla guerra civile e ancora disseminata di mine antiuomo. Prende alloggio nel defilato Hotel Silence; ha con sé solo un cambio di vestiti e l’inseparabile cassetta degli attrezzi (il romanzo non manca di sottile ironia). I giorni all’Hotel Silence cominciano, però, a passare uno dopo l’altro, senza che Jónas attui il tragico piano. A ‘distrarlo’ dai propri intendimenti sono gli incontri che lui ha con le persone del posto segnate dal dramma della guerra, con le loro ferite, parole, silenzi; come nel caso dei due giovanissimi gestori dell’albergo, fratello e sorella (lei con un bambino) sopravvissuti alla distruzione.

Del romanzo di Auður Ólafsdóttir si è scritto “che è un segno di pace, una stretta di mano laica che ci riavvicina a quanto di umano dentro di noi resiste agli orrori del mondo”. E’ vero.
 
"Lo so che nudo sono ridicolo, ma comincio lo stesso a spogliarmi. Prima sfilo i pantaloni, poi le calze; sbottonandomi la camicia, rivelo il bianco scintillante della ninfea che spicca sulla carne rosea nella parte sinistra del torace, a una distanza di mezza lama di coltello dal muscolo che ti pompa fino a ottomila litri di sangue al giorno. Per ultime, tolgo le mutande. Il tutto si svolge in quest’ordine e in pochi attimi. Eccomi dunque sul parquet di fronte alla donna, sono come Dio mi ha fatto, solo con quarantanove anni e quattro giorni in più, non che i miei pensieri siano così orientati verso il Creatore, in questo preciso momento. Ci sono ancora tre assi del pavimento fra noi, in massiccio legno di quercia delle foreste qui intorno, che sono tappezzate di mine antiuomo, ogni tavola larga una trentina di centimetri più gli interstizi, e io tendo la mano, brancolo verso di lei come un cieco che va cercando il nesso fra le cose, prima mi avvicino alla superficie del corpo, la pelle, la luna le rischiara la schiena attraverso uno spiraglio fra le tende. Muove un passo verso di me, io faccio scricchiolare un’asse del pavimento. Anche lei tende la sua mano, le uniamo palmo contro mano, linea della vita contro linea della vita e un fiotto violento mi invade la carotide, le vene delle ginocchia e quelle delle braccia mi pulsano, sento il flusso del sangue spandersi tra un organo e l’altro.

Alle spalle del letto, la parete della stanza numero undici dell’Hotel Silence è rivestita di una tappezzeria dai motivi a foglie. Mi attraversa la mente un pensiero, che domani comincerò a carteggiare e lucidare il pavimento.

La pelle è l’organo più grande del corpo umano. In un adulto la pelle occupa una superficie di due metri quadri e pesa circa cinque chili. Per altri esseri viventi si parla piuttosto di manto, o di pelame. In antico islandese la parola “pelle” aveva anche il significato di carne."
 
[da Hotel Silence di Auður Ava Ólafsdóttir, traduzione di Stefano Rosatti, Einaudi, 2018]
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista e scrittore. Luigi Oliveto ha pubblicato i saggi: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Il paesaggio senese nelle pagine della letteratura (2002), Siena d'Autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004). Suoi scritti sono compresi nei volumi collettanei: Musica senza schemi per una società nuova (1977), La poesia italiana negli anni Settanta (1980), Discorsi per il Tricolore (1999). Arricchiti con propri contributi critici, ha curato i libri: InCanti di Siena (1988), Di Siena, del Palio e d’altre storie. Biografia e bibliografia degli scritti di Arrigo Pecchioli (1988), Dina Ferri. Quaderno del nulla (1999), la silloge poetica di Arrigo Pecchioli L’amata mia di pietra (2002), Di Siena la canzone. Canti della tradizione popolare senese (2004). Insieme a Carlo Fini, è curatore del libro di Arrigo...

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