Come si diventa leghisti. Il viaggio a Pisa di David Allegranti

Roberto Barzanti

02/04/2019

Ha scelto Pisa come case study e s’è tuffato dentro la città, ha girato per i dintorni, ha intervistato notabili e cittadini, studenti e bottegai per ricavarne un racconto pieno di insegnamenti. La domanda che David Allegranti aveva in testa è buona anche per altri centri toscani, ma la conquista da parte della Lega del governo di Pisa ha avuto qualcosa di eccezionale. Ha posto, e pone, interrogativi alla Toscana tutta. Come si può in un breve volger d’anni passare da un’amministrazione di centrosinistra che pur non aveva combinato disastri evidenti ad un trionfo leghista così netto e smaccato? Nelle elezioni del 2013 i leghisti avevano ottenuto 123 preferenze. Dopo cinque anni hanno incassato 9.784 voti, cioè il 27,71%. Poi il meccanismo del ballottaggio astioso in essere ha fatto il resto e li ha coronati vincitori assoluti. Il fogliante Allegranti nel suo vivace rapporto (Come si diventa leghisti, UTET, Milano 2019, pp. 221, € 15) formula domande impertinenti, s’infila nei posti meno frequentati, punzecchia il malcapitato fino a fargli uscir di bocca confessioni fatali. Allora scatta la foto e vien fuori, grado a grado, il ritratto di un luogo, con i suoi segreti e le sue ombre, i suoi malcelati retropensieri e le sue inconfessabili verità.
 
Il viaggio comincia dal Centro Edilizia Popolare che tutti chiamano semplicemente Cep e con un’intervista a Sergio Cortopassi, sindaco socialista del 1990 al 1994. È sempre bene muovere dal passato prossimo, se no il presente è muto. La spiegazione che lui offre della disfatta è elementare: «La Lega – sbotta – a suo modo ha soddisfatto le richieste della gente, facendosi carico dei problemi di Pisa, dalla sicurezza all’immigrazione, allo spaccio». E il Pd è stato percepito come l’erede di un ceto politico avvolto in diatribe astruse e personalistiche, appassionato di disquisizioni non emozionanti: «una cosa esterna per non dire estranea». Gente è parola che ricorre spesso nelle pagine del giornalista-scrittore e “gentismo” è un neologismo quasi abusato: diverso da “populismo”. E inoltre «devi amare il tuo territorio» è l’imperativo. Pisa e provincia prima di tutto il resto! Questo è il trumpiano principio cui ubbidire. Gli slogan non avrebbero avuto ascolto se non fossero stati accompagnati da astute strategie mediatiche tese a ingigantire i fenomeni o a portare in primo piano situazioni sconcertanti. L’immigrazione non è stata affrontata con interventi di accoglienza adeguati e con l’indispensabile severità nei controlli. Al degrado dei costumi non si sono opposte decisioni efficaci. Certe delibere comunali hanno assomigliato alle gride di manzoniana memoria. Insomma alla base di tutto ci sarebbe una fame di concretismo – tanto per usare un categoria con la quale la sinistra ha avuto sempre qualche problema – in grado di smentire o attenuare il crescente disagio, intollerabile anche per persone di comprovata fedeltà gauchiste e ancor di più ai ceti medi, riflessivi o meno.
 
Il gestore dell’hotel La Pace, in faccia alla troppo trafficata stazione, non le manda a dire. Alla domanda se i pisani siano diventati leghisti dà una risposta che non ammette repliche: «No, guardi: i pisani finalmente si sono rotti i coglioni». Le voci più pacate vengono dalla Caritas, da chi si dà da fare per alleviare sofferenze e povertà. Don Emanuele Morelli smentisce la propaganda falsificante a sfondo razzista. Non è vero che l’organizzazione si occupa solo degli stranieri. Gli italiani sono purtroppo in crescita e hanno assistenza, al pari di tutti gli altri. Se non che mancano i volontari, d’estate soprattutto. Un comunista che ha restituito la tessera e ha votato Lega è lapidario: «Le ideologie appartengono al passato. Hanno fatto tanti danni, di destra e di sinistra che siano. Meglio idee buone e portate fino in fondo. Ecco: preferisco le idee agli ideali». Questa laicizzazione disincantata non è una resa. Deve spingere, piuttosto, a sintonizzarsi con una società stufa del passato: e non sarà – già gli scricchiolii s’avvertono – soddisfatta dal becchettare qua e là del volgare postmoderno in salsa leghista/grillina. Non mancano segnali incoraggianti. Non si tratta di battersi rispolverando “ismi” sacrosanti, ma di mettere in agenda i grandi progetti e la quotidianità offesa, di recuperare uno slancio etico senza il quale ogni riforma si svuota di senso.
 
Alla fine del viaggio Allegranti abbozza un tema cruciale: «C’è un 40 per cento – suggerisce – e più di astenuti da intercettare». Battere l’indifferenza, sconfiggere lo scoramento, dare spazio a intelligenze fresche è la strada nuova da percorrere. Non è la sola per costruire un ceto dirigente che sappia capire e motivare misurandosi coraggiosamente con mutamenti che non hanno più confini. Com’è stato possibile che sia siano registrati ribaltamenti così imprevisti? La velocità è una dannazione, ma anche una chance se subito afferrata. Molto di ciò che rapidamente ha cambiato di segno può essere riconvertito se si lavora con serietà.

Articolo pubblicato su “Toscana oggi” (marzo 2019)                                      
 
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Roberto Barzanti

Roberto Barzanti
è un politico italiano. È stato parlamentare europeo dal 1984 al 1994, dal 1992 ha ricoperto la carica di vicepresidente del Parlamento europeo. Dal 1969 al '74 è stato sindaco di Siena. Dal 2012 è presidente della Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena. Ha pubblicato "I confini del visibile" (Milano, 1994) sulle politiche comunitarie in tema di cinema e audiovisivo. Suoi saggi, articoli e recensioni tra l'altro in economia della cultura, il Riformista, L'indice dei libri del mese, Gli argomenti umani, Testimonianze, Gulliver, Il Ponte, rivista quest'ultima della cui direzione è membro. Scrive per Il Corriere Fiorentino.
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