Comunicare lo spazio attraverso i social network. Intervista a Lapo Chirici

Serena Bedini

21/09/2022

Lapo Chirici è cofondatore e amministratore delegato della start-up Krein, marketing specialist e docente del Master in Space Design di ISIA Firenze; si occupa di comunicazione nell’ambito dell’Aerospazio. Lo abbiamo intervistato per sapere come i social network e una strategia comunicativa web oriented possano essere utili in un settore apparentemente così distante dalla comunicazione di massa. Quello che infatti propone Lapo Chirici è una riflessione sui diversi ruoli assumibili all’interno dell’industria aerospaziale che è molto più ampia e variegata di quello che può sembrare all’esterno, che offre possibilità diverse a numerosi tipi di professionisti e che necessita di figure estremamente esperte nel campo della comunicazione. Ovviamente l’intervista è stata anche un’occasione per un affascinante percorso nei libri che, come sempre, offrono spunti di riflessione imprescindibili a chiunque voglia cercare nuove vie di approfondimento e di ampliamento del proprio bagaglio culturale, ma anche della propria esperienza professionale.
 
Lapo, perché il settore dell’Aerospazio è alla ricerca di figure professionali nell’ambito della comunicazione? Non si tratta forse di un settore molto specifico, legato strettamente al settore scientifico e dunque rivolto strettamente agli addetti ai lavori?
Il settore aerospaziale ricade a livello italiano sotto il Ministero della Difesa e vanta un indotto di di circa 13.5 mld di Euro in Italia, suddivisi in oltre 4000 aziende per un totale di quasi 160.000 posti di lavoro generati. I fondi che entrano in questo comparto sono principalmente pubblici, poi distribuiti a cascata sull’intera catena di fornitura costituita dai primary contractor e poi da tutte le aziende che fanno da packager e sub-packager, componendo, ingegnerizzando, producendo e testando dei pezzi di un composito più grosso, come potrebbe essere, ad esempio, un lanciatore o un satellite. Questo fa sì che ci siano strati e sub-strati della catena di fornitura, assimilabile alla struttura di una piramide con alla base un alto numero di player con competenze diverse. Tutti questi player devono avere certificazioni specifiche e fanno comunicazione per il principale scopo di aumentare il livello di awareness del pubblico e quindi di visibilità e notorietà per l’intero comparto, nonché di buone reference da presentare ai clienti. Questo permette loro di partecipare a un sempre maggior numero di gare di appalto e di accaparrarsi una fetta di mercato più ampia.
 
Che cosa si intende per “filiera dell’Aerospazio”?
Per “filiera dell’Aerospazio” si intende, come ti dicevo, una struttura piramidale su cui è distribuita l’intera catena di fornitura, composta da quattro livelli: gli end-users rappresentano l’apice della piramide, al quale appartengono aziende leader di mercato spesso con partecipazioni statali; al di sotto si trova un livello costituito da chi si occupa del sistema di propulsione e di tutta la parte di frame; sul secondo e terzo layer sono collocabili le fasi della filiera riconducibili ad esempio ai sistemi di avionica, la parte di accessoristica per i motori, fueling, wiring, sistema di iniezione, sistema elettronico e telemetria, fino ad arrivare all’ultimo strato, rappresentato dalle aziende che si occupano della manifattura dei componenti.
 
Quali sono le figure professionali ricercate nell’ambito della comunicazione aerospaziale e come si muovono?
Le figure professionali del settore aerospaziale sono ovviamente in gran parte afferenti alla sfera ingegneristica (aerospaziale, aeronautica, elettronica, meccanica, gestionale, informatica, ecc.), ma ultimamente stanno nascendo figure con conoscenze ibride che oltre ad un background ingegneristico vogliono allargare l’orizzonte delle proprie conoscenze per raggiungere livelli più alti sia all’interno della propria azienda, sia nella filiera aerospaziale. Si tratta delle figure professionali che andrebbe a formare il Master in Space Design di ISIA Firenze, permettendo cioè a professionisti già specializzati di apprendere anche quelle soft skills che possano essere utili ad acquisire un livello di finesse estetica atto a sfociare nello User Experience design e nello User Interface design. Pur rappresentando ancora una minoranza, sempre più spesso infatti si parla di missioni manned (ossia con astronauti presenti) in cui subentrano una serie di problematiche strettamente legate al fattore umano e che quindi richiedono ai professionisti della filiera dell’aerospazio anche competenze in ambito di design e di comunicazione.
 
Quali libri consiglieresti a un giovane interessato ad approfondire queste tematiche?
Consiglierei due libri sulla user experience. Il primo è un caposaldo del settore, un autentico classico, del tutto imprescindibile per chi voglia avere un’idea chiara degli errori da non commettere e delle necessarie precauzioni da prendere: si tratta di Don’t make me think di Steve Krug (anche in traduzione italiana), uscito nella recente versione rivisitata, un manuale di quello che è corretto e non corretto fare quando si crea una qualsiasi interfaccia grafica. L’altro è Articulating design decisions di Tom Greever, una sorta di manuale su come comunicare in modo sobrio, sano, per raggiungere un obiettivo, privilegiando la funzionalità e la facilità di utilizzo. In generale – come lettura propedeutica - suggerirei qualsiasi approfondimento inerente i cosiddetti sistemi di produzione Engineered-to-Order (ETO), in modo da familiarizzare con le dinamiche inerenti la realizzazione di un prodotto full-custom su commessa, tipico del settore aerospaziale, ma anche dell’Oil&Gas, Rail e Green Energy ad esempio.
 
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Serena Bedini

Serena Bedini
È nata a Firenze nel 1978; si è laureata con 110/110 e lode in Filologia Moderna nel 2005 presso l’Università degli Studi di Firenze. È scrittrice, giornalista, docente. Maggiori informazioni su di lei sono reperibili su www.serenabedini.it.

 
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