Gioco di ruolo

Clelia Pettini

05/06/2020

Il direttore si lisciò la camicia di lino sul ventre prominente. "Si sta staccando un bottone", disse e riprese a lisciare la stoffa che, in effetti, era così tanto tesa che lasciava immaginare che i bottoni, più che staccarsi, sarebbero schizzati via. "Controlliamo le mail", disse ancora il direttore rivolgendosi, questa volta, alla segretaria. "Il direttore generale - cominciò lei - la convoca venerdì prossimo per la riunione sui centri dei disturbi alimentari; la dottoressa Marini invia i dati sulle dipendenze da gioco d'azzardo e Paolo ha completato la proiezione sul bilancio di previsione che gli aveva chiesto". “E poi sono arrivati quei dati della Fenice Ricerche sulle condizioni socio sanitarie dei cittadini del comune capoluogo”. Gli occhi del direttore si accesero di interesse mentre le mani smisero di toccare la camicia. Si voltò verso lo schermo e prese a scorrere il documento: “Dobbiamo convocare una conferenza stampa. Sono dati importantissimi che possono aiutare la nostra campagna sugli stili di vita: guarda i numeri sulla broncopatia cronica… c’è un’evidente correlazione con il fumo ma, più di tutto, con il lavoro in miniera! Guarda che aumento incredibile tra gli ultraottantenni… gli ultimi minatori!”. “Le chiamo quindi Valeria?”, chiese la segretaria con tono conciliante. Il direttore assentì e dopo pochi minuti una giovane donna dal viso sorridente, le gambe lunghe ma i fianchi un po’ pesanti, entrò nella stanza.
 
La luce del sole filtrata dalle tende ocra rendeva l’aria un po’ rarefatta. La nuova arrivata si sedette di fronte alla scrivania e con fare attento si mise a prendere appunti sui commenti del direttore. “Convoco la stampa per domani - disse - a meno che lei non voglia farsi preparare una presentazione specifica da proiettare e allora andrei su dopo domani. Per il Gazzettino credo di poter far venire il capo servizio, visto l’interesse del giornale, negli ultimi mesi, per la salute dei cittadini”.  Si concordò per il giorno successivo, la segretaria fissò la data in agenda e prenotò la stanza di rappresentanza. Il direttore si mise a camminare avanti e indietro, a grandi falcate, come se invece del pavimento a mosaico di una ormai cadente villetta Liberty, stesse percorrendo una via della sua amata New York, mentre l’addetta stampa prese commiato per mettersi subito al lavoro. Delle venti persone impiegate in quella fondazione - ventuno se si contava anche il direttore - lei era una delle poche che non proveniva dal piccolo borgo sulle colline poco fuori dal capoluogo di provincia. Lei e la segretaria del direttore, per la precisione, le uniche due che vivevano in città. Tutti gli altri, personale selezionato con concorsi pubblici, vivevano per una stranissima casualità dallo stesso paesino, un borgo medievale completamente ristrutturato che con i suoi muri a facciavista e i tetti rossi, di recente ridipinti, sembrava più una ricostruzione da parco a tema che un luogo realmente abitato. Andava da sé che i forestieri, per una questione di buoni rapporti, di praticità e, perché no, di risparmio avevano persino affittato un pulmino, che ogni mattina dalla collina li portava in città e ogni pomeriggio faceva il tragitto inverso.
 
La giornata lavorativa proseguì senza momenti degni nota. Poco prima delle due, orario di chiusura per quel giorno, Valeria si affacciò nella stanza della segretaria, impegnata, come nella maggior parte dei casi, in una conversazione telefonica: “E’ andato tutto bene - stava dicendo al suo interlocutore - come previsto sono stati proprio i dati sulla salute al centro della pianificazione…”. Un sorriso a Valeria e un cenno: “Va pure, ti raggiungo di là”, e la dolce segretaria concluse con tono più lieve la telefonata. Tutto era pronto per l’incontro con i giornalisti. La cartella stampa, ricca di approfondimenti e tabelle commentate, che facevano da corredo ai dati presentati in una prosa chiara anche se piuttosto tecnica, era posata sul tavolo di tek chiaro. Le luci accese per consentire agli operatori televisivi di fare riprese abbastanza luminose, la targa con logo e nome della fondazione che troneggiava dietro al lungo tavolo dei conferenzieri. A sinistra, alle spalle del tavolo, Valeria sistemò il telo e il videoproiettore, nel caso il direttore avesse desiderato mostrare grafici e dati statistici. Era molto bravo in questo tipo di incontri, pensò Valeria con un moto di sollievo, e la sua affabilità insieme al materiale su cui lei aveva lavorato per l’intera giornata precedente - anche a casa, anche se suo marito l’aveva invitata più volte a lasciar perdere, ché sarebbe stato sufficiente quello che aveva fatto - potevano essere un garanzia della riuscita dell’incontro. Non amava Valeria convocare le conferenze stampa: dopo l’invito formale, le pesava dover poi fare il giro di telefonate per sottolineare l’importanza dell’argomento, blandire i suoi interlocutori con chiacchiere di circostanza. Eppure, superato l’ostacolo iniziale, riusciva a farlo bene. Era molto apprezzata tra i colleghi per la cortesia e la disponibilità e, in effetti, non mancava mai di dare informazioni e, talvolta, svolgere il lavoro degli altri senza pretendere ringraziamenti e meriti.
 
Il direttore entrò proprio mentre era persa dietro ai suoi pensieri. Che a volte erano così fitti che sembrano accatastarsi da un lato all’altro della mente e creare piccoli ingorghi che richiedevano un certo tempo per essere sfoltiti. Lui indossava un completo grigio con una camicia bianca, anche questa su misura, le cifre ricamate ben evidenti sulla pancia pronunciata, una cravatta azzurra con piccoli motivi sul giallo, le scarpe, anch’esse artigianali, che denunciavano, con la loro linea affusolata, qualche anno di utilizzo. Eppure, nonostante l’eleganza, traspariva dalla sua persona una certa trascuratezza: i capelli erano scarmigliati e i polsi della camicia sembravano un po’ ombrati. Non era certo possibile, doveva essere un’impressione ottica forse dovuta alla luce artificiale, che entrava in contrasto con la luminosità che c’era all’esterno. Peccato non poterla spegnere, pensò Valeria. Questa storia dell’eccesso di luce che il direttore aveva patito sull’Everest e la necessità quindi di riprodurlo per poter vedere chiaramente erano un problema, spesso, per gli occhi miopi e soggetti ad allergie di Valeria. Il neon, ad esempio, sembrava stordirla in alcune circostanze e lo scrivere sui sui taccuini sempre scarabocchiati negli angoli diventava faticoso.
 
L’ora dell’appuntamento era arrivata. Iniziarono ad entrare i primi inviati: la nuova collaboratrice del piccolo quotidiano di provincia, l’operatore della tivù locale, e ancora il giornalista che curava anche una rubrica in prima serata ogni giovedì, il collega della radio cittadina e poi, ecco come previsto, il caposervizio del Gazzettino: odore di colonia costosa, look informale ma studiato, sorriso cordiale, che mal celava, comunque, la natura da squalo. Per ultimo entrò il redattore più anziano della testata concorrente: il suo fare paranoico lo portò subito a pensare che, se per una conferenza stampa come quella si erano scomodati i piani alti del Gazzettino, segno era che tra il viscido capo e l’addetta stampa doveva esserci un flirt. E già l’immaginazione correva veloce al momento in cui avrebbe dispensato questa verità ai colleghi di redazione, prima, e all’establishment locale, poi, nel caffè della piazza principale: non era certo tollerabile che quel bruto arrivato da fuori confondesse il lavoro con i suoi bassi istinti sessuali… in una circostanza del genere poi!
 
La conferenza stampa andò avanti senza intoppi fino alla fine. Anche la segretaria lo sottolineò più tardi, dato che aveva assistito per tutto il tempo all’incontro, da un angolo della stanza, incrociando timidamente lo sguardo con qualcuno degli ospiti presenti. Era una persona tanto a modo e così competente! Ma non riusciva a vincere quella timidezza di fondo, neppure quando da anni compiva gli stessi gesti di fronte alle stesse persone. Per Valeria era un piccolo cruccio: avrebbe voluto che la sua collega - e ormai amica - si sciogliesse un po’. Gli altri avrebbero di certo avuto più consapevolezza di quanto importante fosse il suo ruolo, se lei fosse stata meno discreta. Fu sul finale dell’incontro che il giornalista della televisione locale chiese approfondimenti sull’indice di povertà delle famiglie. E argomentò che la fondazione, per statuto, invece di presentare dati avrebbe dovuto intervenire, con progetti e azioni mirate, a modificare questa condizione. E che il denaro investito per condurre l’indagine sarebbe di certo stato più utile in tasca ai padri e alle madri di famiglia che stentavano ad arrivare a fine mese. Il direttore si rabbuiò. Ma la voce non vacillò neppure per un istante, anzi lasciava trasparire la scarsa considerazione che avesse del giovane reporter. “La conoscenza della realtà - disse - è fondamentale per programmare azioni davvero utili. D’altro canto l’obiettivo della fondazione è quello sì di aiutare le famiglie, ma anche e soprattutto di dar loro gli strumenti per potersi muovere da sole e uscire così dallo stato di bisogno”. Gli altri giornalisti presenti in sala apprezzarono davvero la risposta. Valeria si chiese se l’insofferenza che aveva percepito nella voce del direttore fosse stata altrettanto chiara per il collega della tivù e iniziò a pensare come ricucire il piccolo strappo. Intanto la riunione si sciolse e lei, il direttore e la segretaria si diressero verso l’ufficio. “Ha gestito benissimo anche la critica”, commentò la segretaria parlando al cellulare, nella piccola anticamera di fronte alla porta del magazzino. “Nonostante si sia sentito punto sul vivo ha saputo moderare la rabbia e rispondere in maniera seccata, ma competente. Direi che la linea sta funzionando e che, tempo pochi mesi, potremo procedere con una nuova fase”, concluse. Interruppe la conversazione e tornò sorridente alla sua postazione, di fronte alla scrivania del direttore.
 
La conferenza stampa ebbe una grande eco sui media locali. Un collega del giovane reporter polemico invitò persino il direttore a registrare una trasmissione in studio. Fu impegnativo preparare il materiale da fornire al collega e quello da mandare in onda, ma Valeria fece un lavoro preciso che il direttore apprezzò moltissimo. Dopo la registrazione rividero la trasmissione anche in ufficio, insieme alla segretaria, e valutarono insieme il buon esito: era chiaro che, continuando così, la fondazione avrebbe trovato anche finanziatori privati e allora sì che i servizi ai meno abbienti avrebbero fatto un salto di qualità. E chissà se il caso del piccolo capoluogo di provincia non sarebbe finito alla ribalta anche delle cronache nazionali. Aspettative e sogni furono interrotti però dalla fine della giornata lavorativa. I sottoposti passarono a chiamare il direttore perché quel giorno, persino lui, aveva usufruito del pulmino. Anche Valeria si avviò verso casa: era stata una settimana impegnativa e aveva bisogno di un po’ di svago e riposo nella tranquillità del suo appartamento. Peccato solo che fino all’ora di cena Riccardo, suo marito, non sarebbe rientrato! La segretaria, invece, annunciò che si sarebbe trattenuta almeno per un’altra mezz’ora per mettere a posto i faldoni accatastati sulla scrivania del direttore. Non voleva certo mettersi al lavoro Il lunedì successivo con una tale confusione! Fu il momento dei saluti, quindi, e degli auguri di passare un buon fine settimana.
 
Solo dopo una ventina di minuti la segretaria premette il pulsante che apriva la porta sul retro e si recò nella sala riunioni con una cartellina di cartone rosa piena di fogli. Salutò affabilmente le prime coppie che stavano entrando: per lo più persone anziane, oltre la sessantina, ma anche una bella donna sui quarant’anni, con un adolescente al seguito, e un giovane alto, con l’espressione imbarazzata e corrucciata allo stesso tempo. “Buonasera, signori”, esordì la segretaria. “Questo mese possiamo dire che tutti i nostri pazienti hanno avuto qualche miglioramento. Come sostenuto da me e dal dottor Minghetti fin dall’inizio, l’assecondare le aspirazioni dei nostri assistiti è un elemento fondamentale per portare a termine il percorso di terapia. Ognuno dei nostri ospiti ha fatto progressi, recuperando, a velocità diverse si intende, un primo contatto con la realtà”. “Valeria, per esempio - e la dottoressa Corsi si rivolse verso il giovane - fa ogni giorno più progressi: rimanere a vivere nel centro cittadino, piuttosto che nella comunità, avere continui contatti con i suoi ex colleghi sta facendo sì che lo stato di confusione e blocco si stia, piano piano, dissipando. Non escludo che possa tornare a ricordare e imparare a gestire i momenti di black out”. “Francesco, invece - e si rivolse alla donna dai capelli lunghi e al ragazzo seduto a fianco a lei - non è ancora pronto per lasciare ‘I tetti rossi’, ma credo che entro la fine dell’anno potremmo provare un reinserimento a casa”. “Il successo nel suo lavoro come direttore, come potete constatare voi stessi - proseguì - sta infondendogli una nuova fiducia in se stesso: si vede anche dalla cura e l’interesse che ha riacquistato per il suo aspetto fisico. Non siamo ancora alla normalità, certo, ma vi siamo vicini”. Altre parole furono spese per tutti gli altri familiari e alla fine comparve il vero segretario con un libretto per ricevute. Ordinatamente tutti i familiari si misero in fila per pagare la costosa retta della prestigiosa clinica psichiatrica “Minghetti & Corsi - esperienze di realtà per tornare alla vita”. Un caso unico sul territorio nazionale che, oltre a ricorrere a professionisti della sanità di gran fama, utilizzava anche un pool di attori e coinvolgeva nell’esperienza anche la comunità locale - giornalisti e politici, per esempio - con un costoso, ma efficace, meccanismo di rimborso spese e bonus premio: i cittadini interessati, potevano svolgere il ruolo di comparse in questo raffinato progetto di recupero psichiatrico, prestandosi, per esempio, a interpretare la loro stessa parte. Era il caso del direttore del Gazzettino, uno dei collaboratori più anziani della clinica. Amava così tanto il suo ruolo di comparsa attiva, godeva così gioiosamente delle cene pagate e delle vacanze premio che mai avrebbe rinunciato alla collaborazione con la premiata ditta “Minghetti & Corsi”.
 
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Clelia Pettini

Clelia Pettini
Clelia Pettini è nata a Grosseto il 6 luglio 1982. Giornalista professionista è laureata in Scienze della Comunicazione e Teorie della comunicazione e tecniche dei linguaggi persuasivi all'Università degli studi di Siena.. Lavora come free lance, occupandosi di uffici stampa e comunicazione per enti pubblici, organizzazioni non profit e privato sociale. Scrive di sociale dal 2008, si occupa di comunicazione di eventi,  comunicazione istituzionale, per associazioni di categoria e sindacati. Collabora con riviste e quotidiani toscani. E' autrice del libro "Anime sospese. Storie di migranti e del loro percorso di accoglienza" (Edizioni Effigi).  Scrivere è la sua passione e da quando è diventata anche una professione non ha mai smesso di farlo.
 
 
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