Girolamo Spannocchi, Capitano del Drago e fervente patriota

Giuliano Catoni

15/06/2011

“Il cor che m'arde divien fiamma in bocca” recita il motto della Contrada del Drago. Anche il cuore di Girolamo Spannocchi, nei fervidi anni del Risorgimento, doveva ardere nel petto di quel dragaiolo, la cui singolare vicenda umana e politica è ora ripercorsa da Walter Benocci con dovizia di particolari e con erudita passione. Individuato a suo tempo come “caldo patrocinatore fanatico d’idee ultra-democratiche” dopo una carriera nell’esercito austriaco, percorsa fino al grado di colonnello, il conte senese apparteneva ad una delle famiglie patrizie più antiche della città.

Un’accurata ricerca ha permesso all’Autore di stabilire che fin dal XVII secolo gli Spannocchi erano protettori della Contrada di Camporegio e che Girolamo fu eletto Capitano nel maggio 1850. Alla sua generosa disponibilità la Contrada deve, proprio in quell’anno, il rinnovo delle monture. Forse per seguire lo stesso impulso che nel 1818 il neo-classicismo imperante aveva suggerito un Palio con i costumi “alla greca”, in piena temperie risorgimentale si pensò di fare omaggio a un auspicato rinnovamento civile e politico attraverso la foggia militaresca delle monture, simili a quella dell’esercito piemontese, capace di suscitare illusioni e speranze.

Confermato Capitano nel 1851 e 1852, lo Spannocchi - insieme con gli altri due Capitani della Torre e dell’Istrice - fu destituito dalla carica con un decreto della Comunità civica. Tutti e tre erano stati inseriti in una nota di “soggetti democratici temibili in prima classe” e allo Spannocchi fu anche ritirata “l’annua pensione di scudi 800”, che lo Stato gli somministrava come “colonnello in ritiro”.

L'omicidio di un Commesso di vigilanza e il ferimento del Delegato di governo Lorenzo Mori nel luglio 1852 avevano messo in allarme le autorità granducali, che nei primi giorni d’agosto, dopo una grande retata di iscritti alla “setta demagogica”, avviarono un processo contro di essi. I copiosi atti di questo processo sono raccolti nell'Archivio di Stato senese proprio sotto il nome del principale imputato: Girolamo Spannocchi, che - data l'età - non fu condannato al carcere ma all'esilio.

Tommaso Pendola, in una lettera a Raffaello Lambruschini, così scrisse nell’estate del 1852: “In questi giorni sono stati fatti gli arresti, e di persone non volgari, fra le quali il conte Girolamo Spannocchi. Non saprei dirvi se fossero implicate nel ferimento del delegato Mori, non umanissimo e cortese. Se ciò fosse, sarebbe brutta cosa, perché l'assassinio non è liberalismo. Quel fatto fu disapprovato da tutti, e questi fatti hanno prodotto timore. Mio caro, il mondo cammina male e la società è ormai scucita”. Almeno in parte, quella società si ricucì il 13 marzo 1860, quando su 6.100 cittadini senesi aventi diritto al voto, 5.617 votarono per l’unione al Regno d'Italia.

I dragaioli avevano rieletto “pro forma” Girolamo Spannocchi loro Capitano nel 1859, riconoscendogli un onore al quale certamente il vecchio conte teneva molto. Oggi, nel 150° dell’Unità, l’omaggio che la sua Contrada gli offre con questo libro di Walter Benocci ne rinnova la memoria, collegandolo strettamente con quelle “livree ricche e nuove” che, attraverso i tempi e con grandi varietà figurative, sono indossate dai “monturati” delle diciassette Contrade senesi con l’orgoglio di un’appartenenza e di una radicata tradizione.

Dalla prefazione di Giuliano Catoni al volume “Girolamo Spannocchi, capitano patriota e le monture alla piemontese” di Walter Benocci (Contrada del Drago, quaderni I Malavolti/6)

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Giuliano Catoni

già ordinario di Archivistica nell'Università di Siena, ha pubblicato gli inventari di molti archivi ed ha curato varie edizioni di fonti. Autore di saggi di storia medievale e moderna, dedica la sua ricerca e i suoi studi alle vicende senesi.

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