“Homo sum”, le cose non piangono più

Duccio Rossi

26/06/2019

“Homo sum. Essere umani nel mondo antico” (Einaudi) di Maurizio Bettini è un invito alla riflessione su ciò che accade oggi nei nostri mari, nei nostri porti. Un invito che passa però attraverso una via per molti, forse, insolita e inusuale: quella della comparazione col mondo antico greco e romano, con quel mondo che spesso viene considerato troppo lontano dalla nostra vita reale per essere ancora comunicativo ed utile a qualcosa.
 
La mia guerra personale, quella contro il tradimento della ragione (S. Zweig, Il mondo di ieri).
C’è bisogno di un pensiero profondo, salvifico, che s’immerga nell’abisso come un tuffatore dallo sguardo limpido, sgombro dall’ebbrezza del vino… (Eschilo, Le supplici, 407 sgg.).
Con queste due citazioni, riportate ad apertura del libro, l’autore sembra invitare a non tradire l’umana ragione e a ricercare un pensiero profondo, critico, non alterato dall’ebbrezza dei tempi. Ed infatti, sin dalla copertina, Bettini si chiede: Il senso di umanità dei Greci e dei Romani era migliore del nostro? Quale posto occuperebbe nel mondo antico la Dichiarazione universale del 1948? Intanto nel canale di Sicilia non si soccorrono i naufraghi. Nel medesimo luogo ove Enea, diretto in Italia, fu soccorso da Didone (dalla copertina).
 
È sufficiente guardare l’Eneide con gli occhi di oggi - dice Bettini - per capire che questo capolavoro di Virgilio non è più soltanto poesia ma è diventato, purtroppo, cronaca. Enea è stato un naufrago, insieme ai suoi compagni, nello stesso mare in cui oggi molti disperati tentano di approdare in Italia, scappando dalla guerra. Anche Enea era diretto in Italia, anche Enea, insieme ai Troiani, fuggiva dalla guerra. Ma l’eroe cantato da Virgilio fu soccorso e accolto dalla regina Didone, perché le frontiere si chiudono davanti ai nemici, non davanti ai bisognosi. E soprattutto perché i mortalia, cioè le vicende umane, non possono non commuovere gli animi. Sunt lacrimae rerum et mentis mortalia tangunt recita l’Eneide: Sono lacrime delle cose (cioè gli eventi sono bagnati di lacrime) e le vicende dei mortali commuovono gli animi. Ma ai giorni d’oggi, rispetto ai tempi di Didone o a quelli di Virgilio - sottolinea Bettini - le cose suscitano sempre meno lacrime, le “cose” non piangono più.
 
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il saggio Homo sum. Essere umani nel mondo antico non è però una mera idealizzazione del mondo classico, una romantica nostalgia di un mondo migliore oramai perduto. Il saggio di Bettini è essenzialmente uno studio di antropologia culturale. L’autore non manca infatti di sottolineare che, per alcuni aspetti, gli antichi sono stati sì più “umani” di noi moderni, ma anche che in altrettanti aspetti essi sono stati terribilmente più “inumani”. L’analisi antropologica invita alla riflessione partendo da un approccio per differenza tra noi e gli antichi, senza scordare che noi moderni non siamo gli antichi, e viceversa. Questo però non impedisce che si possa e si debba imparare dalle esperienze, sia positive che negative, degli esseri umani nel passato.
 
Come spiega l’autore, il libro si pone l’obiettivo di avviare un confronto fra noi e loro, a cavallo dei secoli e dei millenni, scegliendo i “diritti umani” come prospettiva, ovvero come lente attraverso cui osservare il mondo antico. E per fare questo, spiega Bettini, vengono seguite tre vie diverse: […] rendere empiricamente visibili alcuni rapporti di dipendenza che intercorrono fra le concezioni moderne e il pensiero classico su questo terreno. La seconda via […] conduce invece a misurare gli scarti, ovvero i contrasti, che oppongono cultura antica e cultura moderna rispetto ad alcuni temi che la nostra sensibilità considera (ovvero dovrebbe considerare) cruciali per ciò che concerne i rapporti fra gli uomini […]. La terza via […] consiste infine nell’individuare alcune specifiche forme culturali in base alle quali Greci e Romani si ponevano problemi in qualche modo simili a ciò che noi oggi definiamo diritti umani. (dal capitolo I diritti umani nel mondo antico: tre vie).
 
Interessante il parallelo tra i nostri “diritti umani” (human rights) e lo ius humanum dei Romani. Con la differenza, spiega Bettini, che nel mondo romano si ricorreva allo ius humanum in contesti che lamentavano una violazione di tale diritto. In altre parole, nell’antica Roma i diritti umani (o ciò che possiamo in qualche modo assimilare ai diritti umani) venivano definiti per opposizione, evidenziando cioè quali fossero le condotte indegne per chi volesse considerarsi umano. Una prospettiva rovesciata rispetto alla nostra: un focus (un quadro mentale) che poneva maggiormente l’accento sulla condotta indegna, stigmatizzandola come non umana. Ma già Cicerone, prosegue l’autore, ricordava l’esistenza di un limite circa le “prestazioni umane”, i communia, che non si possono rifiutare a nessuno. Secondo l’Arpinate, infatti, bisogna aiutare gli altri fino a quando tale aiuto non arrivi a danneggiare il donatore stesso e tutti i suoi (i nostri). Un criterio di vicinanza che risulta essere molto attuale (l’oramai noto “prima gli italiani”): a dimostrazione che il saggio di Bettini non è affatto una idealizzazione del mondo antico.
 
E ancora riguardo a tale criterio di vicinanza in relazione ai doveri fra gli uomini, è da ricordare l’interessante analisi di uno dei dieci comandamenti: “amerai il tuo prossimo come ami te stesso”. In tale comandamento “il prossimo”, spiega Bettini, viene generalmente inteso come “gli altri”, l’umanità. Ma in realtà, continua l’autore, questa traduzione è una forzatura del testo greco, nel quale possiamo leggere ho plesíon nel senso di “il vicino”, “colui che appartiene alla stessa comunità del parlante”, ovvero ciascun membro del popolo di Israele. L’invito di Gesù, dunque, non avrebbe affatto carattere universale, come in genere si pensa.
 
In ultimo, un particolare minuto ma tutt’altro che insignificante: il filologo classico Maurizio Bettini è uno dei pochi scrittori che utilizza ancora l’accento circonflesso. In una società dove si tende sempre più ad una banalizzazione del linguaggio e della scrittura, dove il congiuntivo sembra essere “in via di estinzione” e il passato remoto “ghettizzato”, imbattersi nella parola “principî” ci ricorda che l’italiano è una lingua complessa e ricca di preziose sfumature.
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