I giorni neri della marcia. Protagonisti, storie, luoghi di quel 28 ottobre 1922

Michele Taddei

10/11/2022

Ci sono ricorrenze del calendario da celebrare con tutti i fasti e altre da ricordare a futura memoria perché non accadano di nuovo. Quella del centenario della marcia su Roma appartiene senz’altro alla seconda categoria, sebbene per un ventennio sia stata riconosciuta festa nazionale per poi, a fascismo caduto, essere ricordata solo dai nostalgici, in privato. Ma cosa fu esattamente la marcia? Quanti furono i fascisti in orbace a entrare a Roma? E cosa significarono per l’Italia quei giorni di fine ottobre del 1922 che portarono all’affidamento dell’incarico di Presidente del Consiglio a Benito Mussolini, fondatore del fascismo italiano? Tante domande che forse non ci siamo posti con la dovuta attenzione, preferendo soprassedere e non affrontare l’argomento e tutto quello che ne conseguì. Il centenario ci invita allora a interrogarci su quei giorni, su quelli precedenti e sui suoi protagonisti. Per fortuna sono usciti tanti libri, saggi e documentari interessanti e vale la pena, a un secolo di distanza, guardare negli occhi quei giorni, senza continuare a girare il volto dall’altra parte.

Il fascismo venne aizzato dalla borghesia e dal mondo agricolo contro il caos e il rischio di una rivoluzione bolscevica alle porte? Fu fenomeno di massa o di poche teste calde? Fu “smarrimento di coscienza”, come vuole la interpretazione data a caldo da Benedetto Croce oppure un “inevitabile prodotto dello sviluppo dell’Italia e del suo ritardo” secondo la tesi sviluppata da Carlo Rosselli e Piero Gobetti che parlò di fascismo come “autobiografia della Nazione”? O, infine, secondo la tesi marxista più ortodossa, rappresentò la reazione (violenta) del capitalismo alla forza che andava acquisendo il movimento operaio internazionale? Quale che sia la risposta che più si avvicina alla verità storica, rimane un dato. Il fascismo fu un movimento che della forza e della violenza fece la sua caratteristica principale per riuscire a imporsi sugli avversari politici e sovvertire lo stato liberale. E quei giorni di fine ottobre ne furono il culmine. Tanto da essere mitizzati dal fascismo una volta diventato regime.

Per provare a saperne di più è uscito il volume “Marcia nera. Ottobre 2022 i giorni che sconvolsero l’Italia” di Daniele Autieri (Typimedia editore, 200 pagine, € 19,90), lavoro accurato che ricostruisce con puntualità ogni passaggio di quei giorni eversivi. Vengono descritti alcuni dei principali protagonisti, i quadrunviri da una parte, Michele Bianchi, Italo Balbo, Emilio De Bono, Cesare Maria De Vecchi, e dall’altra Vittorio Emanuele III, il re costretto a un precipitoso ritorno a Roma con il treno reale dalla sua amata San Rossore che preferisce ai fasti della corte romana; Luigi Facta, l’anziano presidente del Consiglio avvocato di Pinerolo fedelissimo di Giolitti e soprannominato “Nutro fiducia”; Paolino Taddei, il debole ministro degli Interni toscano che prepara lo stato d’assedio che non entrerà mai in vigore; e con loro i generali che provarono a resistere. E naturalmente viene descritto lui, Benito Mussolini, il figlio del fabbro socialista romagnolo, disposto a tutto pur di arrivare al potere.

“O ci daranno il governo o lo prenderemo calando su Roma”, è la frase che infiamma Napoli quando il duce la pronuncia al teatro San Carlo davanti a migliaia di “occhi puntati su di lui e ogni sguardo una carezza alla vanità e una spinta all’ambizione”, scrive Autieri. È il 25 ottobre 1922. Alla marcia su Roma mancano pochi giorni. In questa puntuale ricostruzione interessante è anche la geografia dei luoghi della marcia, Napoli, dove nei giorni precedenti si svolse appunto il congresso fascista che sancì la calata su Roma; Milano, dove tornò Mussolini in attesa che le cose si chiarissero e da lì scappare in Svizzera o scendere a Roma da trionfatore; Perugia, eletta a quartier generale dei Quadrunviri con il compito di organizzazione la marcia; Civitavecchia, uno dei paesi di accentramento dei manipoli in camicia nera. Ma in questa storia anche la Toscana non rimase neutrale. A Pisa la prima mobilitazione fascista è già del 27 ottobre con “interruzioni varie di linee telefoniche e telegrafiche e requisizione spontanea o coattiva di autovetture”, come scrive in un dispaccio il prefetto della città al ministro dell’Interno. “Giunge pure notizia che numerosi fascisti alla spicciolata sono stati visti sui treni diretti a Roma”; treni che nel loro percorso faranno salire anche altri fascisti, a Livorno, Grosseto e nella Maremma fino ad arrivare a Civitavecchia, inquadrati nella colonna Perone. Anche le altre città toscane non furono da meno e da Siena, da Arezzo, da Firenze furono migliaia i volontari giunti a Tivoli nel pomeriggio del 28 ottobre inquadrati nella colonna Igliori. Mentre altri volontari affluivano da sud e nord a Foligno, Monterotondo, Caserta. “La maggior parte di queste truppe sono raccogliticce, costituite da combattenti poco attrezzati e senza esperienza di guerra. Le armi, a esclusione di alcuni battaglioni dotati di mitragliatori, sono perlopiù fucili da caccia o più spesso bastoni e coltelli”.

Si sarebbe potuto fermare, dunque, questo strano esercito improvvisato, affamato e stanco dopo molte ore di viaggio, fermo a bivacco a molti chilometri dalla capitale? Chissà. Con i se non si fa la storia, si dice. Di certo, la mancata firma dello stato di assedio da parte del sovrano determinò il mancato intervento dell’esercito, aprendo di fatto la strada verso Roma ai fascisti e le porte dell’incarico a presidente del Consiglio a Benito Mussolini. Il quale, solo dopo aver ricevuto il telegramma di convocazione del re si decise a partire da Milano. E il capitolo di quel trionfale viaggio notturno in treno del futuro dittatore d’Italia dice molto degli italiani e del sentimento popolare in quei giorni. Già alla stazione centrale, la sera del 29 ottobre, una folla attende il duce “Tiene le mani poggiate sulle spalle dei suoi uomini che gli fanno da corazza, il volto sorridente, il capo mobile che annuisce ogniqualvolta la gente intorno a lui lo saluta e lo ringrazia”. ‘A Roma’, grida qualcuno. A quel grido ne seguono altri. ‘A Roma’, urla la folla. ‘Perché gridano tutti ‘A Roma?’, domanda il ragazzo che vende lupini alla stazione. ‘È lì che va’, risponde l’uomo entusiasta. ‘A Roma?’ chiede ancora il ragazzo. ‘A Roma - commenta deciso l’uomo - a prendersi quello che è suo’”. Poi ogni stazione è una acclamazione, Piacenza, Fornovo, Sarzana, Pisa. Ovunque un discorso improvvisato al finestrino. Anche nelle stazioni dove non è prevista si fa una fermata. Infine il suo arrivo, la salita al Quirinale, l’incarico dopo un breve colloquio con il re e la rapida formazione del governo. Chissà se quei festanti italiani potevano immaginare cosa sarebbe successo dopo quel viaggio in treno. Lo Stato che conoscevano non sarebbe più esistito, così la democrazia, gli avversari eliminati con le buone o le cattive, le guerre coloniali, le leggi razziali, l’autarchia e la tessera per il pane. E infine la catastrofe della guerra. Chissà.

Intanto, la mattina del 30 ottobre le colonne fasciste fanno il loro ingresso a Roma. A quel punto le armi non servivano più e quella che avrebbe dovuto essere un’azione violenta si trasforma in parata per celebrare il Ministero Mussolini. I fascisti passano anche a salutare il re che si affaccia dal balcone del palazzo del Quirinale, convinto che Mussolini sarebbe stato una meteora, “un’arma nelle mani della corona”. Intrecciata ai resoconti della marcia, l’autore racconta anche un’altra storia, quella di Germano e Michele, due amici, due compagni di Roma, quartiere San Lorenzo. Loro e altri compagni come loro non ci stanno, imbracciano i fucili, si nascondono dietro le persiane dei palazzi pronti a non far passare i fascisti. Non andrà bene. Ci furono tredici morti e decine di feriti. Altri scontri anche al Trionfale, nel quartiere Prati, in Trastevere e nelle piazze Farnese e San Cosimano. L’amara consolazione che in quei giorni, nel buio delle cantine, insieme alla dittatura era iniziata a nascere anche la resistenza.
 
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Michele Taddei, giornalista, si occupa di comunicazione pubblica, socio fondatore di Agenziaimpress e Primamedia. Ha pubblicato “Siamo onesti! Bettino Ricasoli. Il barone che volle l’unità d’Italia” (Mauro Pagliai editore, 2010), "Scandalosa Siena" (Edizioni Cantagalli, 2013), "Cuore di Giglio" (De Ferrari editore, 2016), Siena bella addormentata (Primamedia editore, 2018), "Steppa...

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