I giovani e il prossimo. Da Terenzio alla solitudine dell'uomo

Francesco Ricci

27/02/2017

Lo sviluppo del concetto di humanitas – vale a dire, come ha scritto Alfonso Traina, il “riconoscere e rispettare l’uomo in ogni uomo” – accompagna la storia della Letteratura latina, da Plauto fino alla prima età imperiale (Petronio, Seneca). E all’interno di questo percorso un posto di assoluto rilievo è occupato dal commediografo Terenzio, che in una famosa battuta dell’Heautontimorùmenos (carissima anche a Montaigne, che la fece iscrivere sulle travi della sua biblioteca) fa dire al personaggio di Cremete: “Sono un uomo, e di quello che è umano nulla io trovo che non mi riguardi”.

Col Cristianesimo questo interesse per l’altro-da-sé si è fatto Amore, e questo amore ha assunto l’aspetto di comandamento: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Non, però, il prossimo nel significato indicato nell’Antico Testamento, vale a dire chi mi è fisicamente vicino, chi posso toccare, chi posso vedere; piuttosto, in una accezione il più universale (e astratta) possibile, che riconosce il proprio fratello in ogni uomo, fosse pure, come ha scritto lo psicoanalista Luigi Zoja ne La morte del prossimo, “l’abitante più lontano della Terra”. Sotto questo aspetto, lo sviluppo della Rete e dei mezzi di comunicazione digitali è parso regalare nuova concretezza alla figura del prossimo, donargli un volto e una voce, sebbene all’interno di uno spazio ben determinato, che è lo spazio virtuale. In ogni caso, mai come oggi è possibile percepire “il più remoto” come “il più vicino”, vedere e non semplicemente immaginare le distruzioni causate da una guerra, da una carestia, da un terremoto, venire afferrati alla gola dalla vergogna e dall’angoscia, mentre sediamo a tavola e la televisione ci mostra la fila interminabile di profughi, che camminano stremati e infreddoliti sotto la neve, attraverso i confini della civile Europa. Se poi teniamo conto delle spontanee mobilitazioni per recare aiuto a chi è colpito in qualche parte del mondo da un’alluvione o da una calamità naturale e, più in generale, la vitalità, anche in Italia, del volontariato, sembra proprio di poter dire che la nostra società, laica e secolarizzata, nella quale le persone religiose sono ormai una minoranza, ha tradotto in pratica il comandamento che recita “Ama il prossimo tuo come te stesso”.

Insomma, Dio è morto, il cielo si è fatto vuoto, l’aldilà è stato cancellato – nessun tribunale, coi suoi premi e le sue punizioni eterne – ma il più alto degli insegnamenti di Cristo non solo non è stato dimenticato, ma costituisce il valore che orienta l’esistenza di molti uomini, tra i quali non pochi sono i giovani. Ma le cose stanno veramente così? E perché, allora, uno studioso attento e un osservatore scrupoloso come Luigi Zoja ha intitolato uno dei suoi lavori La morte del prossimo? Perché tra i ragazzi sotto i venticinque anni il suicidio costituisce la seconda causa di decesso? Perché sono in crescita i casi di anziani che vivono soli e da soli muoiono, e il cui cadavere viene ritrovato, all’interno dell’abitazione, solamente dopo settimane o mesi, senza che nel frattempo né parenti né conoscenti si siano preoccupati di sapere come stessero, cosa facessero o, più semplicemente, di rivolgere loro un saluto? Come si conciliano, in sostanza, tutte queste vite gettate, scordate, abbandonate e, soprattutto, sole, con la persuasione – apparentemente così viva, così condivisa – che, per usare le bellissime parole del poeta inglese John Donne, “Nessun uomo è un’isola / appartenente interamente a se stesso / ogni uomo è parte della terra / una parte del tutto”?

La verità è che la maggior parte delle volte il coinvolgimento emotivo che si prova leggendo o ascoltando le notizie della sofferenza di tanti uomini che non conosciamo affatto è un coinvolgimento di breve durata, mentre le persone che ci sono familiari grazie alla Rete – e che chiamiamo “amici”, magari anche illudendoci che lo siano – nulla sanno di noi e nulla, in realtà, vogliono saperne, non contribuendo, perciò, in alcun modo a scalfire lo spesso muro di solitudine che ci circonda e ci divide gli uni dagli altri. Questa solitudine, forse, è il nostro destino, da sempre, e forse aveva ragione Rainer Maria Rilke quando scriveva, nelle Lettere a un giovane poeta, che “non è cosa che sia dato scegliere o lasciare”, dal momento che “noi lo siamo, soli”. In ogni caso, occorre continuare a fare scoprire ai più giovani quelle pagine – non sono poche – che ci ricordano la bellezza e la dignità di parole come compassione, condivisione, socialità, altruismo, parole da ascoltare e riscoprire nell’intimità di una lettura meditata e consapevole, lontana dai ritmi accelerati nella comunicazione odierna, che non aiuta a distinguere l’essenziale dall’accessorio.

Lo stupore ammirato di tanti studenti ogniqualvolta s’imbattono nel verso terenziano, “Sono un uomo e di quello che è umano nulla io trovo che non mi riguardi”, autorizza a pensare che se salvezza può ancora esserci, dinanzi al dilagare dell’egoismo del singolo e a quello dei popoli, questa salvezza non potrà che venire dalla cultura. Nessuno di noi è mai soltanto natura.
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Francesco Ricci

Francesco Ricci

(Firenze 1965) è docente di letteratura italiana e latina presso il liceo classico “E.S. Piccolomini”di Siena, città dove risiede. È autore di numerosi saggi di critica letteraria, dedicati in particolare al Quattrocento (latino e volgare) e al Novecento, tra i quali ricordiamo: Il Nulla e la Luce. Profili letterari di poeti italiani del Novecento (Siena, Cantagalli 2002), Alle origini della letteratura sulle corti: il De curialium miseriis di Enea Silvio Piccolomini (Siena, Accademia Senese degli Intronati 2006), Amori novecenteschi. Saggi su Cardarelli, Sbarbaro, Pavese, Bertolucci (Civitella in Val di Chiana, Zona 2011), Anime nude. Finzioni e interpretazioni intorno a 10 poeti del Novecento, scritto con lo psicologo Silvio Ciappi (Firenze, Mauro Pagliai 2011), Un inverno in versi (Siena, Becarelli, 2013), Da ogni dove e in nessun luogo (Siena, Becarelli, 2014), Occhi belli di luce (Siena, Nuova Immagine Editrice, 2014), Tre donne. Anna Achmatova,...

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