L’umorismo degli antichi e la blasfemia dei moderni

Duccio Rossi

04/03/2022

Ha suscitato molto scalpore la performance di Achille Lauro a Sanremo, dove ha proposto la sua ultima canzone, “Domenica”. Il noto cantante italiano, durante l’esibizione, si è auto-battezzato in diretta televisiva. Il video ufficiale vede, addirittura, l’artista a torso nudo davanti ad un altare e ad una croce luminosa. A dire il vero la reazione del mondo cattolico non è stata unanime. C’è chi ha definito il gesto di Achille Lauro una citazione abbastanza scontata che confermerebbe come la religione cristiana sia, da sempre, fonte di ispirazione. Ma c’è anche chi ha tuonato, ricorrendo addirittura alla blasfemia, alla mancanza di rispetto, all’oltraggio. In greco antico blasphēmèo significa appunto bestemmiare. Quindi un atto blasfemo equivale ad una bestemmia. Del resto, come dice il detto, scherza coi fanti e lascia stare i santi: insomma, l’umorismo e l’ironia nella religione cristiana non sono consentiti. Ma da cosa nasce questa impossibilità di fare ironia con la religione cristiana? Perché il cristiano si sente offeso dall’umorismo religioso? E soprattutto, questa è una peculiarità di ogni religione, di ieri e di oggi, o solamente di quelle monoteiste? I professori Maurizio Bettini, Massimo Raveri e Francesco Remotti ci spiegano alcuni di questi argomenti in “Ridere degli dèi, ridere con gli dèi. L’umorismo teologico” (Il Mulino). I tre docenti universitari pongono a raffronto le tre religioni monoteiste con il politeismo del mondo antico, le religioni dell’estremo oriente e quelle africane dove, contrariamente alla nostra, si ha la capacità di ridere delle divinità.
 
Desacralizzando gli dèi esse li avvicinano agli uomini e per ciò stesso, al contrario dei monoteismi di per sé esclusivi, sono inclusive e aperte ai valori della convivenza (dalla quarta di copertina). In altre parole le religioni che hanno la capacità di ridere delle loro divinità sono più tolleranti e aperte al confronto con altre culture. Tali religioni sarebbero dunque un modo per acquisire dei quadri mentali più elastici che inducono il credente, che è anche cittadino del mondo, a comprendere le diversità di pensiero degli altri. Nel primo capitolo, dedicato appunto al mondo classico greco e romano, Maurizio Bettini analizza, in questa prospettiva di confronto religioso, una commedia antica molto celebre, “Le rane” di Aristofane. Il commediografo greco rappresenta un Dioniso travestito goffamente da Eracle. E lo stesso Eracle non può che ridere vedendo che il dio cerca di imitarlo, soprattutto perché da sotto la gloriosa pelle di leone, indossata da Dioniso, spunta il bordo di una tunica gialla tipicamente femminile e delle calzature dal tacco alto, anch’esse tipicamente femminili. Il dio viene poi appellato come pancione dal traghettatore delle anime Caronte, il quale mette il dio stesso a remare sul fiume infernale fino al punto da farlo lamentare per il dolore ai glutei (Aristofane, nel testo originale, non va così tanto per il sottile) causato dalla dura panca in cui è costretto a sedersi.
 
Ma Aristofane non si ferma qui: arriva addirittura a rappresentare un Dioniso che se la fa addosso e che appella il re degli dei con un gioco di parole che fonde il nome stesso di Zeus – in realtà l’esclamazione tipica o Zeus – con il verbo bdéin, tirare peti, per farne uscire un ironico o Bdeus! Tutto questo, sottolinea Bettini, si alterna però, nella stessa commedia, a momenti alti e solenni in cui si rende omaggio al vero Dioniso, a quello venerato, rispettato, invocato e in onore del quale venivano celebrate le Lenee, le feste religiose durante le quali si svolgevano gli agoni teatrali. Sacro e profano costituivano quindi un tutt’uno: non c’era iato, non c’era frattura. Troppo spesso, quindi, siamo soliti ritenere che i nostri quadri mentali siano gli unici possibili e legittimi, ritenendoli erroneamente un dato naturale, quando invece sono solamente un prodotto culturale.
 
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