Nessuno resta solo. Padre e figlio, così lontani così vicini

Luigi Oliveto

19/08/2021

Guido Floris è il padre di Antonio detto Tonio. Un padre e un figlio tra loro lontani, e non soltanto per questioni geografiche, ma di estraneità. A mala pena conoscono le loro reciproche esistenze e raramente capita che l’uno possa pensare all’altro.  E’ la storia che racconta Alessandro De Roma nel romanzo “Nessuno resta solo” (Einaudi).
Tonio è quello che si direbbe uno scioperato, un randagio, tanto che risulta difficile contattarlo persino quando c’è da dirgli della malattia e della imminente morte della madre. Aveva un amore e un sogno: trasferirsi in Francia con il suo compagno Nicola e con lui aprire un ristorante, ma Nicola morirà in un incidente stradale. Il padre, peraltro, mai avrebbe accettato la dichiarata omosessualità del figlio.
Le circostanze hanno fatto sì che padre e figlio siano ora rimasti soli, privi dei loro affetti. Guido (insegnante universitario in pensione) dopo la perdita della moglie Lucia cerca solo una scontrosa solitudine. Viene via da Cagliari (troppi ricordi in quella casa dove la presenza di Lucia è ovunque) per trasferirsi nello sperduto paesino di San Leonardo de Siete Fuentes. Anche Tonio, prostrato e sperso dopo la morte di Nicola, decide di lasciare Torino e di rientrare in Sardegna, ma non certo per riavvicinarsi al padre. Né tantomeno lo avrebbe cercato suo padre, il quale era giunto alla conclusione che “Un figlio non è un amico. Un figlio è solo un’entità biologica. Una incerta emanazione.”
Ecco così che la storia procede scandagliando le esistenze dei due, che non solo si assomigliano, ma che – da separati – il destino accomuna nel dolore, nella difficile comprensione di sé e nell’essere compresi dagli altri. L’uno a fare bilanci, l’altro sospeso tra il rimpianto di un sogno e un futuro messo in stand-by. Così lontani così vicini nelle loro solitudini. Forse per mai incontrarsi, ma perlomeno – come suggerisce il titolo – per farsi consapevoli di come sia impossibile restare veramente soli.
 
***
 
[…]
Tu non sei vecchio, gli rispondeva la sua Lucia immaginaria, hai solo sessantanove anni e ti sai difendere benissimo. L’unico vero problema è che sei un cacasotto. E lo sei sempre stato.
Quando compirò io ottant’anni, si ripeteva, mi guarderò bene dal farlo sapere in giro.
A chi dirlo, del resto?
Gli rimaneva Antonio. Ma Antonio ormai non era più nessuno, per lui.
Un figlio non è un amico. Un figlio è solo un’entità biologica. Una incerta emanazione.
Dopo tutti quegli anni, e soprattutto adesso che non c’era più lei, lo poteva dire apertamente: dove sta scritto che un padre deve amare il proprio figlio? Terminati i doveri verso l’età infantile, svaniti i sogni, ti trovi davanti a un adulto che, in molti casi, è soltanto l’ennesimo stronzo che calpesta il suolo terrestre.
Ecco come stavano davvero le cose.
A Mariangela, la più cara amica di sua moglie, il giorno stesso del funerale di Lucia aveva chiesto di venire a portarsi via tutti i lavori di uncinetto. Erano decenni che a ogni ricorrenza quella santissima donna li ammorbava con caterve di regalini. Né Guido né Lucia li avevano mai potuti sopportare.
Naturalmente Mariangela non era venuta, e anzi probabilmente si era offesa. Purtroppo le sarebbe passata presto. Lucia doveva senz’altro aver detto all’amica una di quelle pregnanti frasi da letto di morte, tipo: «Promettimi che veglierai su di lui, quando non ci sarò più». Ne era certo.
I vicini, i parenti, le amiche, avevano sempre pensato che, tra i due, il cattivo fosse lui. Se avessero saputo invece quanto lei si divertisse a demolire ogni loro piatto cucinato con amore, ogni ponderata scelta di arredamento, ogni abito indossato e ogni vaso di fiori.
Quando tornavano dalle cene a casa dei Canu, dei Corda, dei Loriga, sulla strada di casa scoppiettavano, come castagne sul fuoco, spassosissime manifestazioni di sarcasmo. Insieme a Lucia erano morte le ipocrisie e i convenevoli sui quali si reggeva la loro ricca e scarna vita sociale – ricca per Lucia, scarna per lui – e anche quella familiare, che invece era stata scarna per entrambi.
Del resto Antonio era venuto controvoglia al funerale di sua madre: non si era occupato di nulla e se n’era andato subito. Aveva portato via con sé a Torino qualche foto staccata dall’album di famiglia e – chissà perché – la tazza che lei usava per bere la tisana. Nient’altro. Non era tipo da mettersi a piangere. Si sapeva.
In casa Floris non si piangeva, in casa Floris non aveva mai pianto nessuno.
Ma non era certo quel particolare a infastidire Guido: quel che davvero lo aveva reso furioso era che Antonio avrebbe dovuto capire il momento, cogliere l’occasione per scusarsi di essere stato un figlio così deludente. Con Lucia ormai era tardi, con lui no.
Anzi, era stata forse l’ultima occasione utile. Perché non era facile immaginare quando si sarebbero visti di nuovo. A Natale era improbabile: Antonio sarebbe stato in chissà quale angolo di mondo, impegnato in una di quelle squallide e misteriose faccende che alimentavano la sua vita da barbone. I cosiddetti «lavoretti».
Si sarebbero magari sentiti al telefono per farsi degli auguri svogliati, ma anche così non avrebbero avuto niente da dirsi: solo una stentata sequenza di frasi, in attesa che uno dei due si decidesse a chiudere la «conversazione». No, a Natale non ci vedremo, si disse Guido. Io di certo non lo chiamerò. Spetta a lui, spetta al figlio. E lui non chiamerà.
Antonio sarebbe forse andato al suo funerale. Ma quello non avrebbe contato, perché lì solo uno dei due sarebbe stato veramente presente.
Sempre che Antonio avesse deciso di andarci, al suo funerale. Del resto, capita anche che i figli muoiano prima dei padri. Chi può dirlo?
 
[da Nessuno resta solo di Alessandro De Roma, Einaudi, 2021]
 
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista e scrittore. Luigi Oliveto ha pubblicato i saggi: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Il paesaggio senese nelle pagine della letteratura (2002), Siena d'Autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004). Suoi scritti sono compresi nei volumi collettanei: Musica senza schemi per una società nuova (1977), La poesia italiana negli anni Settanta (1980), Discorsi per il Tricolore (1999). Arricchiti con propri contributi critici, ha curato i libri: InCanti di Siena (1988), Di Siena, del Palio e d’altre storie. Biografia e bibliografia degli scritti di Arrigo Pecchioli (1988), Dina Ferri. Quaderno del nulla (1999), la silloge poetica di Arrigo Pecchioli L’amata mia di pietra (2002), Di Siena la canzone. Canti della tradizione popolare senese (2004). Insieme a Carlo Fini, è curatore del libro di Arrigo...

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