Perché leggere i classici. “Il greco antico continua a produrre nuove parole”. Parla Franco Montanari

Duccio Rossi

29/08/2012

A domande sui classici e sul loro valore risponde Franco Montanari, grecista e filologo classico italiano. Autore del Vocabolario Greco-Italiano “GI”, Loescher ( I ediz.1995, II ediz. 2004), Montanari è stato allievo del professor Domenico Magnino al liceo classico Ugo Foscolo di Pavia. In seguito ha frequento la Scuola Normale Superiore di Pisa, laureandosi in Letteratura greca nel 1973. Presso la Facoltà di Lettere dell'Università di Pisa dal 1977 al 1983 è stato poi professore incaricato di Filologia bizantina e, dal 1983 al 1986, professore associato di grammatica greca. Nel 1986 passò all'Università di Genova, come professore ordinario prima di Lingua e letteratura greca, presso la Facoltà di Magistero, e poi, dal 1991, di Letteratura greca presso la Facoltà di Lettere.

Professor Montanari, spesso si sente dire che il greco e il latino sono due lingue morte. Allora perché continuare a studiarle?
“Confesso che di fronte a questa domanda da qualche tempo ho cominciato a reagire con qualche irritazione. Non alla domanda in sé, ovviamente, e non certo nei confronti di chi mi sollecita una presa di posizione, come fa Lei, ma nei confronti di coloro che si pongono il problema sul serio e si chiedono davvero se valga ancora la pena studiare le civiltà greca e latina. Allora mi viene voglia di rispondere né più né meno: la storia non si può espungere, e state zitti. Di fronte a chi il problema se lo pone davvero, reagisco male e gli dico: sei dannoso per lo sviluppo civile, economico, scientifico e tecnologico. E sia chiaro che non si tratta di contrapporre le cultura umanistica, e quella classica in particolare, alla cultura scientifica; difendo fortemente l’importanza essenziale di entrambe le culture. E smettiamola di chiamare lingue morte il greco antico e il latino. Basterebbe dire che il latino vive in tutte le lingue neolatine e il greco antico nel greco moderno, ma questo è ben poco. La storia della nostra civiltà, come si è svolta nei secoli e non si può espungere, ha fatto sì che il greco antico sia una lingua (la sola al mondo, a mia conoscenza) che genera parole assai utili ed efficace comunicazione anche se non è più parlata da un bel po’ di tempo. Se per uno scherzo della sorte esistesse al mondo una persona che non ha mai visto un telefono ma sa il greco antico, quando gli parlassero del telefono capirebbe perfettamente a cosa serve e riuscirebbe a usarlo. Avete mai pensato che il greco antico, lingua da tempo non più parlata ma tutt’altro che morta, continua a produrre nuove parole e permette di “battezzare” in modo assai efficace cose che non c’erano quando il greco antico era parlato, come per esempio l’elettrodinamica o la fotografia, oltre al suddetto telefono? Insomma, credo proprio che la logica ci chieda di ribaltare il problema. L’onere della prova non sta dalla parte di chi difende l’utilità dello studio e della conoscenza della cultura classica, sta dalla parte di chi mette in dubbio l’utilità dello studio delle civiltà antiche e magari arriva a negarlo”.

Alla celebre frase di Cicerone “Historia magistra vitae” potremmo abbinare una meno nota sentenza di Gaetano De Sanctis: “la vita è magistra historiae”. Possiamo dire quindi che i classici “sopravvivono” perché non muore la nostra necessità di porre loro domande sempre nuove ed attuali?
“A disposizione degli uomini che li conoscono e ripensano, i grandi "classici" (e non solo quelli antichi greci e latini) non sono mai soli; sono sempre insieme ad altri classici e ai contemporanei di ogni tempo. Non sono misticamente perenni e nemmeno sopravviventi a fatica, sono sempre conviventi con gli uomini di tutte le epoche: questa è la loro grandezza e irrinunciabilità; non sopravvivono bensì convivono con ogni epoca. Non possiamo abbandonarli per strada, perché ci raggiungono prima o poi, con le loro alternative aperte, con i temi di pensiero a cui non sfuggiremo mai, con le parole che intridono il nostro bagaglio quotidiano: attraversano il tempo mutevoli e non passeggeri, ci invitano a prenderci uno spazio di libertà di pensiero grandioso e arduo, inquieto ed esaltante, fonte sicura di progresso. Certamente non è solo la cultura classica ad avere valore (questo sì che sarebbe ottuso), ma anche la cultura classica: una marcia in più, una carta forte da giocare sul tavolo della propria vita, un tesoro da non perdere, una ricchezza che ci è stata donata e dobbiamo essere abbastanza accorti da investire bene. Dobbiamo continuare a conoscere i grandi classici di ogni tempo semplicemente perché sono nostri conviventi di sempre, viviamo di loro e con loro. Solo ai grandissimi capita di porre sempre domande e di trovare stimolo a pensare ai problemi sottesi a queste domande”.

L’universo greco-romano costituisce sicuramente uno dei pilastri fondamentali della nostra cultura europea. Oggi la società europea è in evoluzione, sta diventando una società multiculturale. In questo nuovo scenario, crede che i classici greci e latini saranno ancora in grado di “parlare” alle generazioni future? E se sì, in che modo gli “addetti ai lavori” dovranno aiutarli ad essere visti ancora come “dialoganti”?
“Semplicemente continuando a studiarli e cercando incessantemente il modo migliore per spiegarli e farli capire. Non è vero che i grandi classici hanno risolto i maggiori problemi dell’uomo nel mondo (il luogo comune “hanno già detto tutto” è una superficiale e pericolosa sciocchezza), se non altro perché i problemi essenziali dell’uomo non si risolvono mai una volta per tutte: essi hanno posto problemi essenziali e ineludibili, sui quali inducono a riflettere in ogni epoca. Questioni come il rapporto fra le leggi divine, perenni e non scritte, e le leggi umane scritte e storiche, che è posto dall’Antigone, non saranno mai “risolte”, saranno ogni volta affrontate, esaminate, approfondite, e Sofocle sarà sempre lì a proporle con forza ineludibile. Gli esempi si potrebbero agevolmente moltiplicare, ciascuno ne incontra nella sua vita, magari senza rendersene conto. Pensiamo alle varie letture e rappresentazioni che si sono succedute nei secoli, per esempio dei grandi tragici: il più delle volte si grida al tradimento, ma fanno male i puristi a scandalizzarsi e arroccarsi. I grandi classici devono essere in continuazione traditi, per essere interrogati e parlare a ogni epoca e ogni uomo, per assumere facce diverse e suscitare riflessioni. Solo un grande classico viene spesso tradito e continua a dialogare: a nessuno viene in mente di “tradire” a ripetizione nei secoli un’opera mediocre e di scarsa influenza. Riflettiamo su una cosa: lo stupidario razzista moderno e contemporaneo nasce essenzialmente da una inconfessata paura che è generata da ignoranza e/o stupidità, che può a sua volta essere incapacità di usare la cultura posseduta. Conoscere bene la propria storia e lo spessore della propria cultura rende stabili e sicuri, e dunque aiuta a non avere paura del diverso, a superare quel ridicolo stupidario razzista che l’attualità ci propone e che rivela solo la paura di spiriti deboli”.

Il mito greco ha spesso cristallizzato le paure più ancestrali dell’essere umano e la tragedia, che quasi sempre ha attinto dal repertorio mitico, ha fatto sì che il mito stesso divenisse ancora più emblematico della condizione umana. Le chiedo dunque: oggi esiste ancora Edipo? E ai nostri giorni, chi sono Medea ed Alcesti?
“Sono la rappresentazione di problemi ineludibili dell’uomo nel mondo e di fronte alla vita, non solo le paure, ma i dubbi, i dilemmi, le alternative irrisolte che ciascuno vive con se stesso e con il mondo che lo circonda. Non sono cristalli immutabili né reliquie in decomposizione, sono un groviglio di problemi che non saranno mai risolti in modo definitivo, incarnano i fondamenti del nostro vivere e del nostro pensiero, aiutano e tormentano il nostro essere e pensare, ci propongono il senso di quello che siamo e come siamo. E non mi riferisco solo ai grandi classici greci e latini: Omero e i tragici, Virgilio e Orazio, Aristotele e Platone, ma anche naturalmente Shakespeare, Hugo, Cervantes, Michelangelo, Brunelleschi, Mozart, Beethoven e tutti quelli di cui non possiamo fare a meno: ci rincorrono, non ci lasciano, sono dentro la nostra storia, che, ripeto, non si può espungere”.

SOTTO TORCHIO
Libro e autore preferiti?

Non posso accontentarmi di uno, faccio già fatica a limitarmi a tre autori, quelli che hanno resistito di più nel corso della mia vita: Omero, Manzoni e Ungaretti; ma c’è una folla che mi preme nella testa, passiamo subito oltre.
Ultimo libro letto?
Escludendo l’ambito professionale, “La ragazza che danzava per Mao” di Qiu Xiao Long
Il libro da consigliare ai lettori?
Questa è proprio impossibile, c’è rischio di offendere qualcuno pensando che non abbia ancora letto Guerra e pace o Notre dame de Paris o l’Odissea o Saffo o Leopardi. Diciamo allora uno dei romanzi di Rex Stout con Nero Wolfe.
Leggere è…
Vivere

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