Slow isn’t good. L’impazienza e i nativi digitali

Francesco Ricci

13/02/2018

Si potrebbe liquidare la questione in maniera sbrigativa. Sostenere che da sempre gli adolescenti sono impazienti e che la causa risiede nel fatto che il loro cervello lavora in maniera differente da quello degli adulti. Si potrebbe, volendo impiegare un linguaggio più specifico, parlare di una costruzione ancora da completare dei circuiti che collegano il corpo striato e la corteccia prefrontale. Si potrebbe, da ultimo, citare anche un recente studio, condotto presso il Max Planck Institute for Human Development, in Germania, che conferma l’incidenza durante la pubertà dello sviluppo ormonale sull’impazienza dei più giovani. Essa, dunque – questa parrebbe la conclusione – rappresenta una costante dell’adolescenza, al pari dell’idealismo, della propensione al rischio, del rapporto conflittuale con i genitori, degli improvvisi cambiamenti di umore.

Eppure, chiunque abbia a che fare con i millennials, in qualità di genitore, di docente, di educatore, sa bene che essi sono la generazione che meno sa attendere, meno sa pazientare. A mutare può essere ciò che aspettano, ciò che desiderano (il voto della verifica orale, la risposta alle domande che pongono, il nuovo modello di smartphone, il gioco per PS4 appena uscito, la connessione a una rete wifi, scaricare un film, l’arrivo del pullman che da scuola li riporta a casa), identica, però, è la fretta che li contraddistingue. La parola pazienza, al massimo, può evocare in loro il titolo di una splendida ballata dei Guns N’ Roses, troppo lontana nel tempo – venne pubblicata nel 1988 – per costituire qualcosa di più di un piacevole sottofondo in una giornata di tristezza e malinconia: “Little patience, yeah / Need a little patience, yeah / Just a little patience, yeah / Could use some patience, yeah / Gotta have some / Patience yeah /All it takes is patience”.

Cosa è avvenuto, nel corso degli ultimi quindici-venti anni, che ha indebolito in modo estremamente significativo nei nostri ragazzi la capacità di far vivere dentro di sé e di coltivare la pazienza, la quale, come ci ricorda Tommaso d’Aquino, è la virtù dei forti?  Si è avuta la più grande rivoluzione nella storia dell’uomo, vale a dire la nascita della tecnologia digitale e della Rete. Un semplice dato numerico aiuta a comprenderne la portata: in Italia le ore extrascolastiche che un adolescente, maschio o femmina, dedica a navigare, chattare, aggiornare il profilo sui social, portare a termine un’operazione per mezzo di una app, superano le sette ore quotidiane. Anche trascurando le attività che vengono sacrificate da questo costante utilizzo dei media digitali, come la lettura, il ritrovarsi con gli amici, lo “stare presso di sé” nel senso che il filosofo Seneca attribuiva all’espressione (meditazione, riflessione, esame di coscienza), resta il fatto che questi mezzi, alla lunga, diventano un potente fattore di condizionamento del pensiero. I più giovani sono convinti di dominarli, di essere loro a condurre il gioco, di servirsene; in realtà da questi sono plasmati e pare del tutto condivisibile l’affermazione fatta da Howard Gardner in “Generazione app”: “La nostra tesi è che i giovani di quest’epoca non solo sono immersi nelle app, ma sono giunti a vedere il mondo come un insieme di app e le loro stesse vite come una serie ordinata di app”.  

I nativi digitali sono impazienti perché dalla più tenera età sono abituati ad avere subito ciò che desiderano. Non conoscono la fatica – ma neppure il piacere – di doversi documentare su molti libri, di stendere riassunti, di approntare una sintesi finale, informata e coesa: la ricerca loro assegnata a scuola, la trovano già fatta su Wikipedia. Se desiderano ascoltare una canzone uscita di recente, non devono accendere la radio, attendendo e sperando che il brano in questione venga trasmesso, o recarsi in un negozio musicale del centro cittadino, dove poter acquistare il CD. Basta che vadano su YouTube. Perfino il gesto di sfogliare il dizionario per scoprire il significato di un termine latino o inglese o tedesco è sostituito (e reso più rapido) dal consultare uno dei tanti vocabolari online che si trovano in Internet. Con esempi simili si potrebbe continuare all’infinito. E questa mentalità del “tutto e subito” negli adolescenti viene ulteriormente favorita – anziché essere attenuata o relativizzata –  dai genitori, che ai loro figli sono più bravi a regalare cose piuttosto che a dedicare attenzioni, che per il quieto vivere evitano di dire “no”, rinunciano al confronto, come se non fosse il confronto a rendere una persona consapevole dei propri limiti, che, ancora, non insegnano il piacere del soffermarsi a vivere il tempo non in funzione sempre di uno scopo pratico, ma come una semplice e lenta condivisione delle ore, destinata forse a non incidere sull’efficienza e la produttività della nazione, ma che può anche cambiare il destino di un uomo, specie quando, a causa dell’età, tante sono le strade che si aprono ancora davanti ai suoi occhi.  Qualora poi accada, perché accade, che a scuola o sul posto di lavoro l’intervallo tra una richiesta e il soddisfacimento della stessa non venga più misurata in secondi, ma in giorni o in settimane, la reazione è duplice e di segno opposto: la disperazione o l’aggressione. Chi ammazza il tempo, questa è la verità, finisce molte volte con l’ammazzare se stesso. Con buona pace della pubblicità –  che senza sosta celebra la velocità, la connessione immediata, l’accorciamento delle distanze –  Slow is good.
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Francesco Ricci

Francesco Ricci

(Firenze 1965) è docente di letteratura italiana e latina presso il liceo classico “E.S. Piccolomini”di Siena, città dove risiede. È autore di numerosi saggi di critica letteraria, dedicati in particolare al Quattrocento (latino e volgare) e al Novecento, tra i quali ricordiamo: Il Nulla e la Luce. Profili letterari di poeti italiani del Novecento (Siena, Cantagalli 2002), Alle origini della letteratura sulle corti: il De curialium miseriis di Enea Silvio Piccolomini (Siena, Accademia Senese degli Intronati 2006), Amori novecenteschi. Saggi su Cardarelli, Sbarbaro, Pavese, Bertolucci (Civitella in Val di Chiana, Zona 2011), Anime nude. Finzioni e interpretazioni intorno a 10 poeti del Novecento, scritto con lo psicologo Silvio Ciappi (Firenze, Mauro Pagliai 2011), Un inverno in versi (Siena, Becarelli, 2013), Da ogni dove e in nessun luogo (Siena, Becarelli, 2014), Occhi belli di luce (Siena, Nuova Immagine Editrice, 2014), Tre donne. Anna Achmatova,...

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