Umberto Eco, amico di Omar Calabrese, genio del mondo

Roberto Barzanti

23/02/2016



In morte di Umberto Eco vien fatto di ripensare alle occasioni senesi di un protagonista del Novecento e non per enfatizzare incontri che hanno avuto tratti di schiettezza quotidiana. Premessa: il primo assaporato libro di Umberto Eco (1932-2016) è stato per me “Diario minimo” (1963), seguito poco dopo da “Apocalittici e integrati” (1964). Bastarono questi due titoli a designare la funzione innovatrice e periodizzante della sua dirompente azione. Negli anni iniziali del miracolo Eco invitò a capire le forme inedite della cultura di massa, demolendo stantii orgogli e pregiudizi.
 
Avevo invitato Eco a partecipare ad una tavola rotonda organizzata per “Test” (mensile da me diretto di breve vita) alla Casa della Cultura di Milano. Gli domandai che cosa distingueva la protesta governata dalla politica dalla protesta guidata dai gruppi giovanili allora particolarmente vivaci in America. “Mentre la protesta – fu la sua risposta – che si svolge all’interno dei raggruppamenti politici è protesta contro un assetto della società, della società capitalistica, ad esempio, la protesta portata avanti dai giovani è protesta contro una società industriale nel suo complesso, che si realizza planetariamente uguale”. Non si può dire che non vedesse lontano: quel “planeteriamente” conteneva già la oggi dilagante “globalizzazione”. Gli rammentai  le suggestive analisi di quell’incontro del marzo 1967 quando tenne a Siena una conferenza sui fumetti. L’invito gliel’avevo rivolto, se non sbaglio, a nome dalla Scuola per stranieri ed il luogo della conferenza fu l’aula che dava sull’atrio dell’Università. A seguirlo un pubblico sparuto, e un po’disorientato a sentir parlare dei Peanuts e di Charlie Brown – “Linus” era apparso nel ’65 – come di norma si faceva per illustri poeti e canonici narratori. A presiedere la serata (forse: non ho tenuto diari, neppure minimi, e i nomi non sono incisi come una volta) era Michele Cantucci, presidente della Scuola, ancora non Università. Da sindaco mi capitò di sperimentare Eco al lavoro in un improvvisato studio televisivo. Faceva da regista alla Rai – iniziali Anni Settanta – in una sorta di “Tribuna politica” autogestita dal Psiup. I partecipanti erano piazzati su una piccola gradinata di legno: “Niente poltrone! Niente slogan! Dovrete raccontare esperienze e dietro di voi questi ragazzi scriveranno sulle pareti parole d’ordine elettorali con bombolette spray, come fossero all’aria aperta, in uno stadio!” Era anche quello un modo di liberare il mezzo, il “medium”, dalle incrostazioni che ne offuscavano le potenzialità creative. Io ero stato convocato come il più giovane sindaco d’Italia di città capoluogo e ovviamente il più giovane del Psiup, che in Toscana vantava anche il più vecchio primo cittadino. Eco ne trasse motivo per esaltare la continuità della generazioni .
 
Mi scuso se ho cominciato con frammenti di memoria personale. Per me non sono disgiungibili dal dopo. E mi limito, quanto al dopo, a tre delle occasioni senesi più rilevanti: il convegno “De Gustibus”, il primo (1990) di una serie sui cinque sensi progettata con Paolo Fabbri e Alessandro Falassi per conto della Provincia; la cerimonia del conferimento della laurea honoris causa in Scienze delle comunicazione il 5 ottobre 2002, il convegno infine dedicato a Luciano Berio organizzato dalla Chigiana nell’ottobre 2008. La prolusione che Eco pronunciò prima che il Rettore Piero Tosi gli consegnasse la pergamena di rito lasciò tutti a bocca aperta. Aveva scelto un tema che dire ostico è dir poco (“Averroè e la metafora”). E condusse l’uditorio per mano con la seducente e briosa oratoria che lo distingueva per cammini piuttosto impervi. Il semiologo, il linguista, il letterato, l’erudito si davano in lui la mano per stupire e divertire. “La storia delle lingue perfette – ha scritto – è la storia di un’utopia, e di una serie di fallimenti. Ma non è detto che la storia di una serie di fallimenti risulti fallimentare”. Se ripenso a questa frase netta come una massima mi sembra inevitabile applicarla alle vicende di una sinistra che spesso ha inseguito altissimi obiettivi senza poterli raggiungere. Ma chi ha detto che le passioni e le conoscenze apprese per via non abbaino dato, e non diano, frutti, anche se le cose sono andate in altre direzioni? In Eco lo scatto ottimistico e battagliero della volontà ha sempre sconfitto abbattimenti. E fino all’ultimo ha lottato per una libera società della tolleranza, per una comunicazione pulita e chiara.
 
Mi par di ascoltarlo durante il saluto d’addio a un allievo che era diventato come lui maestro: Omar Calabrese. Proprio riflettendo su uno dei testi più compiuti di Omar, “L’età barocca”, Eco ha dettato parole che sanno di laica profezia: “Se pure mi dia atto di averne parlato anch’io, Calabrese vede con chiarezza il passaggio tra un universo delle emigrazioni a un universo delle migrazioni, con – in prospettiva – la creolizzazione dei continenti e il dissolversi del concetto di etnia omogenea legato a un determinato territorio – e in antistrofe il profilarsi del neorazzismo, l’irrompere dei fondamentalismi, compresi quelli dell’Occidente, e la reazione spasmodica all’instabilità e alla sparizione dei valori attraverso una rinascita del sacro, che può prendere anche le vie di un rinvigorimento dell’occulto, quasi eliminando la differenza tra Dan Brown e Padre Pio”. I due semiologi curiosi del presente avevano ancora una volta percepito i segni del tempo. Li accomuniamo nell’omaggio che rendiamo oggi a Umberto Eco, con la gratitudine che si prova per chi molto ci ha insegnato, in amicizia, con leggerezza.
 
 Articolo pubblicato sul “Corriere di Siena” del 21/02/2016
 
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Roberto Barzanti

Roberto Barzanti
è un politico italiano. È stato parlamentare europeo dal 1984 al 1994, dal 1992 ha ricoperto la carica di vicepresidente del Parlamento europeo. Dal 1969 al '74 è stato sindaco di Siena. Dal 2012 è presidente della Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena. Ha pubblicato "I confini del visibile" (Milano, 1994) sulle politiche comunitarie in tema di cinema e audiovisivo. Suoi saggi, articoli e recensioni tra l'altro in economia della cultura, il Riformista, L'indice dei libri del mese, Gli argomenti umani, Testimonianze, Gulliver, Il Ponte, rivista quest'ultima della cui direzione è membro. Scrive per Il Corriere Fiorentino.
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