Ungaretti innamorato

Luigi Oliveto

21/09/2017

Quando un poeta di 78 anni si innamora perdutamente di una ragazza ventiseienne ci guadagna sempre la letteratura. Successe così anche per Giuseppe Ungaretti, travolto da passione per Bruna Bianco, avvocato e poetessa italo-brasiliana, conosciuta in Brasile nel 1966, quando il poeta italiano era stato chiamato a fare un ciclo di conferenze in Sudamerica. Una relazione sentimentale prevalentemente a distanza, ma non priva di impeto e carnalità. Innamorato "felice, e disperato d'esserlo" – avrebbe scritto lo stesso Ungaretti – consapevole che quell’amore poteva dirsi una "smisurata demenza”. Trepidante traccia dell’infatuazione è racchiusa nei testi di “Dialogo”, una plaquette con nove liriche di Ungaretti e cinque repliche della Bianco. E’ in uno di questi testi che il poeta si rivolge a Bruna dichiarando: “Mi elargisci una luce, stella mia, / Che solo acuisce in me disperazione”. L’infatuazione durò tre anni ed è documentata da un fitto scambio epistolare (quasi 400 lettere) che ora sono state pubblicate per la prima volta, a cura di Silvio Ramat, nel volume "Lettere a Bruna di Giuseppe Ungaretti" (Oscar Mondadori). Unga’ (così Bruna chiama Ungaretti e così il poeta si firmava per lei) scriveva lettere appassionate, mai nascondendo l’apprensione di un innamoramento senile. Come tutti gli innamorati avvertiva il bisogno di condividere quotidianità, piccole cose o i grandi temi della vita, i sentimenti universali, la forza “eternatrice” della poesia.
 
 
Frascati, il 21 Gennaio 1967
Mia Bruna,
c’è un po’ di nebbia, stamani, un cielo opalescente, una luce mite e un po’ ambigua. Non è oggi il tempo, amore mio, che si addirebbe alla tua schiettezza d’azzurro senza nemmeno un puntino di torbido. Amore mio, questa prima nottata sui colli albani, l’ho trascorsa interamente in bianco, come sempre m’avviene quando non mi corico su un letto solito, finché non divenga, in due o tre giorni, anche il nuovo, il solito letto. L’ho passato in bianco, ma non solo, c’era, come sempre, a tenermi compagnia in me, la tua presenza, il tuo discorrere in segreto con me. Lo sapevi che discorro sempre con te, di giorno e di notte, di notte meglio, non c’è nessuno che possa disturbarci, nel nostro buio vediamo noi soli, perché noi soli siamo in possesso della luce del nostro amore, e ne siamo gelosissimi, no?
A quel pranzo del compleanno, c’erano le graziose giovani donne, e c’eri anche te, la più graziosa di tutte, la grazia stessa, ma visibile solo a me. Ascoltavi, intervenendo qualche volta, le due sole persone anziane del convito, una gentildonna di gran casato, la moglie di Guttuso, e l’omino vecchio che t’ama.
Si parlava delle Mille notti ed una, e la gentildonna le sapeva tutte a mente le storie d’amore più incantevoli, di quel libro, e uno dopo l’altro me ne citava i passi. Intervenivi, ma t’udivo io solo, per migliorare questo o quel tratto che la nostra esperienza mostrava mancante d’ardore, di zelo o di d´irrequietezza per un’attesa troppo lunga.
T’amo, amore mio. Arrivi sempre con quei passi frettolosi e risoluti? T’accorgi ancora subito che mi sono innamorato di te subito, innamorato tanto, appena t’eri fermata a darmi il manoscritto, da non capire subito più altro che non fosse ch’era necessario che t’amassi per continuare a vivere, e che t’amassi come preso da follia. Ma l’amore non è sempre la follia anche quando non sia il poveretto vecchino che sono a provarlo? T’amo, fatina, anche per i tormenti che mi hai messo nel cuore insieme a questa, non cecità, ma luce che è il nostro amore.
Cara luce, non c’è molta luce fuori, sui colli davanti a quello dove sorge la villa,  le piante, tranne le poche conifere, sono prive di foglie, e formano quel cerchio che non posso non vedere se alzo gli occhi, di matassame con trasparenze nell’intreccio largitrici di vaghezza aerea al suo grigio buio.
Ma la tua luce non muta mai, è luce di dentro, è vero; ma che bisogno c’è di guardare fuori; del resto, la luce di fuori posso mutarla come voglio, ricorrendo alla tua luce, cara, cara, amato amore. Sono in una gradevole casa con mobili antichi scelti con gusto e con competenza, ed  è attorniata da un parco, e c’è la piscina. È più una residenza estiva, ma può essere, così quasi vuota com’è, un luogo non da disprezzare anche per starci d’inverno a proseguire in pace il tanto lavoro che ho.
[…]
Domani ti scriverò più a lungo. Questi sono i posti dove è nato in gran parte il Sentimento, dove ho scritto quasi tutte le prose di del Deserto e dopo (te l’ho mandato questo libro?) qui ho vissuto tempi d’una felicità eccezionale d’ispirazione e di resa poetica. Ma, per quasi 15 anni, io e i miei, ed era sopratutto pena mia per i miei, qui abbiamo vissuto negli stenti. Ti bacia a lungo, continua a baciarti il tuo per sempre
Unga’
 
[da Lettere a Bruna di Giuseppe Ungaretti, a cura di Silvio Ramat, Mondadori, 2017]
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista e scrittore. Luigi Oliveto ha pubblicato i saggi: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Il paesaggio senese nelle pagine della letteratura (2002), Siena d'Autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004). Suoi scritti sono compresi nei volumi collettanei: Musica senza schemi per una società nuova (1977), La poesia italiana negli anni Settanta (1980), Discorsi per il Tricolore (1999). Arricchiti con propri contributi critici, ha curato i libri: InCanti di Siena (1988), Di Siena, del Palio e d’altre storie. Biografia e bibliografia degli scritti di Arrigo Pecchioli (1988), Dina Ferri. Quaderno del nulla (1999), la silloge poetica di Arrigo Pecchioli L’amata mia di pietra (2002), Di Siena la canzone. Canti della tradizione popolare senese (2004). Insieme a Carlo Fini, è curatore del libro di Arrigo...

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