“Creo le storie che mi piacerebbe leggere”. Intervista a Daniele Marotta, presidente dell’Accademia del Fumetto

Siena il 24/11/2017 - di Riccardo Bruni
Il Risorgimento come non è mai stato raccontato. Tra romanzo storico, noir, grottesco, western e horror, Daniele Marotta torna in libreria con “Inferno 1861” (editrice effequ). Cinque anni dopo “Superzelda” (minimum fax), la vita a fumetti di Zelda Fitzgerald scritta insieme a Tiziana Lo Porto, un lavoro diventato un piccolo cult, il fumettista, fondatore e presidente dell’Accademia del Fumetto di Siena, cambia registro e propone una storia di cui, stavolta, è autore non solo dei disegni ma anche dei testi. Una storia raccontata in stile decisamente e squisitamente pop, in cui l’autore gioca, con estrema disinvoltura, con linguaggi e registri narrativi diversi. Studioso appassionato della cultura pop, Marotta porta in scena una vicenda di strani personaggi e oscuri eventi, che si svolgono in una Toscana cupa e spettrale. Una storia alla quale fa da sfondo la Storia, quella con la maiuscola, di un momento complicato, per il nostro Paese, ancora tutt’altro che risolto. 
 
Come è nato questo lavoro?
“Il libro nacque come esperimento per una rivista di free press fiorentina, Propaganda Mag, che mi offrì la gestione di una pagina mensile. Decisi di fare una sorta di romanzo d’appendice a fumetti ambientato proprio in Toscana, all’epoca si chiamava Le incredibili avventure del conte Tolomei, granduce di Toscana. Le prime pagine del fumetto anche oggi mantengono questo tenore ridondante. La cosa durò poco, dopo qualche uscita cambiammo storie visto che il giornale trattava di musica e temi giovani”.
 
Perché il risorgimento?
“Ho scelto il risorgimento, o più ampiamente l’ottocento, perché in quegli anni, allo status quo millenario, alla pratica di sfruttamento e barbarie umana e sociale, si affiancano in modo forte istanze libertarie come quella Mazziniana, da noi, o all’estero le riflessioni socialiste di Marx e Engels o la spinta umanista che ha guidato l’esperienza di Lincoln negli Stati Uniti. Con i suoi latifondi, in cui le genti erano possesso dei padroni e dei loro famigli, con un impianto profondamente clericale e rurale, l’Italia era ancora più arretrata rispetto a molti paesi europei che proprio in quegli anni attuavano la rivoluzione industriale definendo la modernità e i suoi caratteri, non ultimo la diffusione della narrativa come intrattenimento diffuso. Questa condizione a mio avviso è uno dei cardini dell’arretratezza sociale e culturale che paghiamo ancora oggi”.
 
Inferno1861 è anche una storia di fantasmi… un po’ perché affrontare i fantasmi, una metafora del passato, è un atto di catarsi che potremmo definire come un processo di storicizzazione. Che è un processo col quale in Italia abbiamo sempre avuto qualche problema, non solo con il passato remoto, ma anche con il passato prossimo. Anche sul Risorgimento non esiste un’oggettività di giudizio, tutto sembra rimesso continuamente in discussione. Perché non riusciamo mai a rendere oggettivo il nostro passato?
“I fantasmi di Inferno 1861 vengono in larga parte da quella cultura pop a cui ti riferivi poco sopra. In lavorazione parlavo del libro come di una via di mezzo tra il Marchese del Grillo e Hellboy. Con tutto il rispetto per Mignola e specialmente per Monicelli da cui mi sono tenuto ben lontano per non bruciarmi troppo, ho seguito la loro idea di usare l’intrattenimento e le storie singole per toccare questioni anche di un certo peso lasciate un po’ sullo sfondo o prendendole di lato. I fantasmi, le atmosfere horror per me sono un ottimo intrattenimento e le tematiche del male sono, da sempre, il modo migliore per parlare delle cose umane. Tutto questo mi ha dato l’atmosfera e il ritmo necessari per fare questo incubo catartico sul passato, dei personaggi e anche di tutti noi, in qualche modo. Sulla storicizzazione credo che noi siamo un popolo dalla fortissima attitudine religiosa, per questo preferiamo il culto alla partecipazione e il processo inquisitorio e catartico alla storicizzazione. Diceva Scott Fitzgerald che se i francesi si credono tutti Napoleone gli italiani si credono tutti Gesù Cristo, e io condivido molto questa idea. Di contro il rivale di Cristo è il Diavolo, per cui ci piace trasformare ogni fenomeno in un’ordalia moralistica e una guerra santa fratricida. Il fratricidio ha connotato la nostra storia antica e recente, dai veri conflitti armati, alla politica, dallo sport al concorso per quale villaggio conservi la vera ricetta tradizionale, e in un certo senso ha creato anche l’humus in cui si sono sviluppati i nostri tesori: la cultura l’arte e l’incredibile biodiversità. In tutto questo è impossibile prendere le dovute distanze e creare un tessuto comune per storicizzare alcunché e arricchire la collettività, visto che, appunto, l’italiano che si sente Cristo e non ammette nessuno al suo fianco ma solo sotto, e sopra solo Dio”.
 
Inferno1861 è ambientato in una Toscana dalle tinte cupe, dove si muovono personaggi ambigui, come il Granduce Tolomei, che sembrano davvero usciti dalle cronache di quei tempi e sono invece frutto di un’invenzione narrativa. Come sei riuscito a infondere in loro questa componente così forte di autenticità? 
“È stato il frutto di un lavoro di documentazione storica e poi di scrittura per calarsi nella mentalità giusta di persone del tempo. Ho cercato di evitare al massimo gli elementi postmoderni, come disimpegno, citazioni o rimandi a un tessuto pop che oggi sono la norma nella cultura dell’intrattenimento. Salvo fatto per l’Esorcista come omaggio esplicito all’opera di Friedkin, regista che amo moltissimo e che consiglio, ho evitato ogni rimando o cliché, nulla deriva da altre opere o finzioni ma ad una stretta idea di vita reale L’elemento straniante della storia era così forte che mi serviva un iper realismo ottocentesco per bilanciarlo e renderlo credibile”. 
 
Scendo dentro il tuo lavoro, per affrontarlo da un punto di vista più tecnico. Rispetto a Superzelda, il tuo precedente lavoro, c’è una prima grande differenza che si nota subito, già dalla copertina. Perché in Superzelda eri co-autore, nel senso che disegnavi una storia scritta da un’altra persona, Tiziana Lo Porto. Qui, invece, hai deciso di fare da solo. Sei autore dei testi e dei disegni. Spiegaci come è cambiato il tuo modo di lavorare, se il primo input è stata un’idea, un personaggio o un’immagine.
“Con Tiziana Lo Porto abbiamo lavorato per tre anni con grande entusiasmo e passione totalmente soggiogati dallo charme di Zelda Fitzgerald. Nel caso di Inferno 1861 la storia nasce da un’immagine. Difficilmente se lavoro per me mi trovo a scrivere dei testi, ma sempre testi legati a immagini. In questo caso ho visto la scena in stile Hellboy, di un vecchio nobile che affrontava una ragazzina posseduta in fondo a un pozzo. Mi è sembrata un’immagine abbastanza forte e assurda per diventare una storia e quindi mi sono dedicato a costruire una vicenda credibile che portasse i personaggi là sotto e poi un seguito per il dopo che fosse credibile, tragico e forte come una grande giostra di mostri. Amo molto questo procedimento di creare un tessuto narrativo affabulatorio che porti il lettore a credere alle mie visioni, per quanto assurde e sensazionali, e divertirmi e emozionarmi in questo viaggio insieme a lui”.
 
Altra cosa che ho notato è il modo in cui hai rappresentato il contesto in cui si svolgono le scene. In Superzelda gli sfondi erano più sfocati, a volte quasi trasparenti, l’attenzione era tutta sui personaggi. Qui, invece, c’è una grande attenzione per gli sfondi, quasi come in un fumetto francese. È solo una scelta stilistica o c’è un motivo più profondo, magari collegato alla storia?
“Io vedo la storia da lettore, creo le storie che mi piacerebbe leggere, e questo porta i miei lavori a non assomigliarsi mai, non saprei fare altrimenti, e un po’ invidio gli autori che mantengono sempre connotati forti e ben riconoscibili dal pubblico. Io non ce la faccio. Qui la prima cosa era appunto creare un contesto super realistico che potesse ospitare e rendere verosimili e quindi efficaci le stranezze della storia. Per la documentazione mi sono fatto una galleria di dipinti presi in rete, dai macchiaioli a Hayez e tutta la scena interessantissima e un po’ bistrattata dei pittori ottocenteschi italiani. Ho voluto mostrare il buio che circondava un mondo senza elettricità e evitare al massimo gli effetti narrativi classici in cui si vede tutto anche di notte. Ho sperimentato un bianco e nero che seguisse questa vicenda tutta ambientata nella stessa notte di luna piena e quando non si vede un tubo ho cercato di rende leggibile anche il non vedere. Alcune soluzioni sono state fortunate altre meno. Il tutto è servito per rendere scorrevole e carica di pathos una storia complessa che però si legge in una quarantina di minuti e questo è, per me, il segreto di un buon fumetto, che ci devi mettere tanto a farlo e poco a leggerlo”.
 
Sei anche il fondatore e il presidente dell’Accademia del fumetto di Siena. Un progetto nato ormai da qualche anno, che inizia ad avere una sua storia. Qual è il tuo rapporto con l’insegnamento? E in che modo questo ha modificato, e forse reso più critico, il tuo rapporto con il disegno e la narrazione? 
“Grazie per aver citato l’Accademia del Fumetto di Siena che ormai è al suo quarto anno di vita e ci dà grandi soddisfazioni sia come centro didattico che come avamposto di diffusione del fumetto e delle arti sul territorio. Abbiamo concepito l’Accademia come una piccola bottega rinascimentale legata a una classe di scuola come quelle dei film western, con i ragazzi di tutte le età. Questa visione artigianale è il nostro punto di forza che ci permette di fare con orgoglio la nostra parte. Gli iscritti ai corsi artistici e di scrittura oltre agli studenti di fumetto vedono nel tempo l’evoluzione del mio lavoro e di quello degli autori ospiti con cui facciamo incontri e workshop. Ogni aspetto del processo deve passare quindi attraverso una metabolizzazione e presa di coscienza per poter poi diventare trasmissibile in classe, in questo senso la scuola mi ha fatto fare un salto nel lavoro che non avevo previsto ma che ho accolto con gioia e parallelamente gli studenti vivono con me le varie fasi del lavoro e gli alti e bassi della carriera di un fumettista, in questo momento storico molto ricco e vivace del fumetto in Italia. I frutti sono abbastanza maturi per anticipare che dal 2018 costituiremo un collettivo legato alla scuola, con cui realizzare le autoproduzioni dell’Accademia del Fumetto Siena e portare i fumetti degli studenti nelle self area di tutte le comic convention più importanti”.
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Riccardo Bruni

nato a Orbetello, Riccardo Bruni vive a Siena. Giornalista e scrittore, nel 2010 con Nessun dolore ha vinto la prima edizione del torneo letterario IoScrittore. Nel 2013 il suo romanzo Zona d’ombra è diventato un importante caso letterario, scalando le classifiche di Amazon. Nel 2016 La notte delle falene, primo romanzo pubblicato con Amazon Publishing, è stato candidato... Vai alla scheda autore >

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