Dall’Archivio delle tradizioni popolari grossetane un libro di fiabe e storie della Maremma raccolte dalla viva voce dei raccontatori

Luigi Oliveto

14/04/2011

Nel 1997 l’Archivio delle Tradizioni popolari della Maremma grossetana dette alle stampe un libro di notevole interesse intitolato Fiabe e storie della Maremma nel fondo narrativo di tradizione orale. Il volume era il frutto di una ricerca sul campo (registratore alla mano) dovuta alla tenacia, all’entusiasmo, all’interesse scientifico di Roberto Ferretti, giovane antropologo, anch’esso maremmano, morto prematuramente a soli 37 anni. Oggi quel prezioso volume è stato ristampato in anastatica dalle Edizioni Effigi e continua a rappresentare una testimonianza pressoché unica di un corpus così consistente (471 testi) proveniente da un’unica area geografica. Il libro comprende, appunto, le trascrizioni di fiabe, storie, aneddoti, patrimonio della tradizione orale maremmana-grossetana ed è introdotto da due pertinenti saggi di Pietro Clemente e Gabriella Pizzetti (a lei si deve anche l’immane lavoro di trascrizione dai nastri magnetici), che bene inquadrano il lavoro svolto da Ferretti fornendo la giusta chiave di lettura antropologica di tale ricerca e dei molteplici materiali narrativi che essa riunisce

L’interpretazione della vita - Fiabe e storie il cui racconto conferma subito quanto il patrimonio della cosiddetta tradizione orale contenga quella sorprendente universalità che la fa essere tutt’altro che chiusa e circoscritta. La tradizione rivela, insomma, che in ogni ‘particulare’ c’è sempre una interpretazione della vita e del mondo nel suo insieme. Lezione purtroppo estranea a coloro che hanno delle tradizioni e del proprio ‘senso di appartenenza’ una concezione ottusa, ignorantemente esclusivista ed escludente. Invece, proprio leggendo queste storie di Maremma, ci rendiamo conto di quanto esse siano ‘glocal’. di come, cioè, vi ricorrano caratteri, miti, psicologie, fantasie che sono universali, ma che vanno a ricollocarsi – ed è questo l’aspetto affascinante – in una geografia ben precisa, in una cultura, in una narrazione, in una lingua, in una voce, in una fisicità della parola. Ecco, dunque, la globalità farsi ‘particulare’ e viceversa. L’altro aspetto persino emozionante, è la netta percezione di come tali racconti siano il frutto della sedimentazione di memorie, sentimenti, sguardi sulla vita, ironie, saperi di donne e uomini che dal loro angolo di mondo elaborano e condividono una visione del mondo. Sono storie che ripropongono miti, valori e verità in cui una comunità si riconosce: tramandarle, dunque, significa dare voce a un sentire comune.

Inculturazione dell’universalità - Suggestivo e pure divertente è, inoltre, vedere come un patrimonio fiabistico, in buona misura universale, vada a radicarsi in quel determinato luogo (le piccole comunità della Maremma grossetana). Come i diversi generi giungano a confondersi, a ibridarsi. Tanto per fare degli esempi, troviamo la storia della “Beata Libertesca”, una fanciulla che narrativamente nasce Cenerentola (con tanto di matrigna cattiva) e – approdando poi al racconto agiografico – muore santa: viene trovata morta “alzata da terra… con quattro gigli”. Oppure (in una sorta di opera dei pupi maremmana) balza sulla scena “Orlando dei paladini di Francia, detto l’Orlando Furioso” che col suo cavallo riesce a superare l’alto muro oltre il quale si trovava la vasca di Saturnia, dove chi riusciva a entrare “risortiva sanato”; Orlando vi immerge la spada ed ecco esondare la prodigiosa acqua anche al di là della muraglia, rendendola non più esclusiva per alcuni ma finalmente a disposizione e beneficio di chiunque voglia “curarsi la rogna” O ancora la storia di Pietruzzo, che ricalca uno dei canti rituali più belli della pasqua ebraica, ai più diventato noto in epoca recente per la canzone di Branduardi “Alla fiera dell’est”. Così come sono di grande presa emotiva certe storie che hanno l’impronta dell’apologo, quali “Il vento”. Maledetto da un agricoltore perché gli ha distrutto il raccolto, il vento prova a risarcire i danni arrecati donando al contadino un fazzoletto portentoso, che però il minchione si fa rubare, finché attraverso altri doni e peripezie non ne ritorna in possesso e, quindi, abbandonati gli improperi, arriverà a dire “grazie vento”.

Lingua parlata e parlante - Infine un motivo di interesse è costituito dalla lingua. Roberto Ferretti aveva registrato in presa diretta queste storie dalla viva voce dei diversi ‘raccontatori’ e chi le ha trascritte si è attenuto giustamente a un criterio che potremmo definire stenografico, ovvero mantenendosi il più fedele possibile alla lingua parlata (e parlante), cercando (con l’aiuto d’una accorta interpunzione) di renderne pause, cesure, toni di voce. Ciò può creare una fatica di lettura. Non si tratta, infatti, di una lingua letteraria, ma di un parlato povero, essenziale, affatto compiaciuto. E’ una narrazione che procede per continui strappi, smozzicature, balbuzie lessicali, ripetizioni, scarti repentini, passaggi non sempre consequenziali. A differenza della lingua letteraria che ha il gusto della parola ‘ambigua’, cercata e ri-cercata, la lingua parlata dispone di un vocabolario scarno, scorciato: quello, in definitiva, che serve alla vita anche quando la vita debba non solo essere vissuta ma, magari, raccontata. D’altra parte, quelle storie, più che dei racconti compiuti sono dei canovacci che di volta in volta hanno trovato interpreti. Talvolta, però, l’efficacia narrativa di questi interpreti raggiunge risultati così suggestivi da diventare in qualche modo ‘letteratura’, perché, nonostante tutto, riesce a raccontare, possiede un potere evocante, riconduce a quei caratteri e sentimenti universali di cui parlavamo all’inizio, spiega la vita e i contrari in essa racchiusi (e tutto ciò è letteratura). Pertanto queste Fiabe e storie della Maremma, come del resto molti altri racconti del patrimonio popolare, sanno dare voce a certi sentimenti primari che appartengono a tutti noi; alle fragilità, alle paure, alle incognite, agli stupori, alle contraddizioni, alle inadeguatezze, ai paradossi, al ridicolo delle nostre esistenze. Non sono racconti d’autore, perché chi viene al mondo da sempre li trova già scritti nella memoria tacita del mondo stesso. Da qui, allora, l’esigenza che, lungo il tempo e in ogni tempo, qualcuno possa dare loro voce, la ‘propria’ voce. Ad uso di memoria, appunto.

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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista e scrittore. Luigi Oliveto ha pubblicato i saggi: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Il paesaggio senese nelle pagine della letteratura (2002), Siena d'Autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004). Suoi scritti sono compresi nei volumi collettanei: Musica senza schemi per una società nuova (1977), La poesia italiana negli anni Settanta (1980), Discorsi per il Tricolore (1999). Arricchiti con propri contributi critici, ha curato i libri: InCanti di Siena (1988), Di Siena, del Palio e d’altre storie. Biografia e bibliografia degli scritti di Arrigo Pecchioli (1988), Dina Ferri. Quaderno del nulla (1999), la silloge poetica di Arrigo Pecchioli L’amata mia di pietra (2002), Di Siena la canzone. Canti della tradizione popolare senese (2004). Insieme a Carlo Fini, è curatore del libro di Arrigo...

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