Il bisogno di un futuro cui tendere l’orecchio

X.Y. Calosimos

23/03/2020

Dovendo riflettere su quale dei nostri sensi più ci possa aiutare a comprendere il futuro chissà perché, ma mi capita di pensare sempre più spesso all’udito. La vista non ci aiuta, il futuro è troppo lontano, sempre oltre la curvatura dell’orizzonte e oltretutto a volte ci inganna come fanno i miraggi in mare aperto, invitandoci maliziosamente verso montagne e coste situate ben oltre l’orizzonte. Il tatto men che meno è affidabile, il futuro è un tesoro intangibile poiché è quel luogo dove il presente e i nostri sogni finalmente si toccano, sarebbe una contraddizione in termini se non lo fosse, se potessimo davvero toccarlo.

Forse allora il futuro è capacità di ascolto, capacità di intendere i silenzi nascenti che sporadicamente intervallano il molto rumore che il nostro presente produce: proprio lì, forse, si sta generando un nuovo suono, l’alfabeto di un nuovo discorso sul mondo che ancora non si sa articolare, ma che tra un poco tutti intenderanno. Inoltre il nostro orecchio, con la sua struttura complessa, è anche il centro dell’equilibrio; quindi analizzare i futuri possibili significa alla fine proprio questo: discernere tra i vari scenari quello che, col senno di poi, era inevitabile che dovesse verificarsi, non in quanto fosse il più logico o il più probabile, ma in quanto era il più armonico, il più capace di mantenersi organicamente e costantemente in equilibro tra il nostro presente e il nostro possibile.

Utilizzando il nostro orecchio, udiremmo varie voci; voci che a volte ci parlano di un inesorabile accumulo di passato che ci sommergerà: La città di Leonia rifà sé stessa ogni giorno… l’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove... Il risultato è questo: più che Leonia espelle roba più ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può più togliere…” (Italo Calvino). Ma ci sono anche voci un poco più ottimistiche, che ci direbbero che il futuro è già qui, lo stiamo già vivendo: Noi viviamo in contemporanea tre tempi: il presente del passato, che è la storia; il presente del presente, che è la visione; il presente del futuro, che è l'attesa (Sant'Agostino) anche se non è sempre facile leggerlo perché Il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta (P. Valéry) e anche Amleto ci direbbe a tal proposito che We know what we are but know not what we may be (W. Shakespeare).  

Del resto, anche se agissimo nel presente con tutte le migliori intenzioni applicandoci per un futuro “migliore” o, quanto meno, “sostenibile” chi ci garantisce che questa volta non il nostro orecchio, ma quello dei posteri, intenderebbe il nostro linguaggio e le nostre intenzioni? In fin dei conti L’erede riceve qualcosa di diverso da quel che il morente gli lascia in eredità (E. Canetti). Ma non dovremmo scoraggiarci per quanto saremo riusciti in qualche modo ad ascoltare perché il passato, le nostre cognizioni e la nostra capacità di pensare e riflettere sono carte che non possiamo non giocare: ancora una volta ecco una voce, quella di Don Chisciotte, che ce lo conferma La storia è madre della verità, emula del tempo, depositaria delle azioni, testimone del passato, esempio e annuncio del presente, avvertimento per il futuro (M. de Cervantes).

E quindi occorre darsi da fare, perché il futuro, se adesso fatichiamo ad ascoltarlo, tra poco potremmo vederlo e toccarlo, forse anche prima di quanto pensiamo: -Alice: Per quanto tempo è per sempre?  -Bianconiglio: A volte, solo un secondo” (L Carrol). E poi, troppe sono le incognite e i rischi se non lo facessimo, visti i mezzi di cui l’umanità oggi dispone: e qui altre parole ci circondano improvvisamente. Il dottor Frankenstein sta sulle spalle di Gilgamesh. Poiché non si può fermare Gilgamesh, è impossibile anche fermare il dottor Frankenstein. La sola cosa che possiamo tentare di fare è di influenzare la direzione che stiamo prendendo. Dato che presto potremmo essere in grado di progettare anche i nostri desideri, forse la vera questione che ci troviamo di fronte non è “Cosa vogliamo diventare?” ma “Cosa vogliamo volere?”. Coloro che non sono spaventati da questo interrogativo, probabilmente non ci hanno riflettuto abbastanza. (Y. N. Harari). Inoltre un’altra voce forse aggiungerebbe che La volontà di fare scaturisce dalla conoscenza di ciò che possiamo fare (J. L. Allen).
 
E alla fine di questo percorso, possiamo davvero concludere che porsi in ascolto del futuro è fondamentale. Ma bisogna stare attenti a non ascoltare solo quel che vogliamo sentire… sarebbe un errore; il futuro non è il nostro specchio, ma una finestra aperta su un paesaggio affollato e mutevole. Quando si ascolta davvero, fateci caso, difficilmente c’è tempo di fare altro: ci si concentra, allontanando tutto il resto, ed il prima che si è vissuto diventa un cumulo di sensazioni che ci rende più ricettivi a questo o quel suono, all’inizio di una nuova storia (per questo forse, si potrebbe aggiungere che sarebbe bene che ascoltassimo in compagnia di altri, come quando si assiste ad un concerto).
 
“Anche per te ci sono novità”. “È una giornata di molte novità. Per me e per te”.

“Bene”. “E adesso?”.
“Adesso dovrebbe cominciare una storia nuova”.
“E questa?”.
“Questa è finita”.
“Finita finita?”.
“Finita finita”.
“La scriverà qualcuno?”.
“Non so, penso di no. L’importante non era scriverla, l’importante era provarne un sentimento”.
(D. Del Giudice)
 
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