Il Bottino “Maestro”

Simonetta Losi

30/03/2020

«Visita Interiora Terrae, Rectificando Invenies Occultum Lapidem»
(C. Rosenkreutz)
 
Ci sono momenti in cui hai bisogno di rifugiarti in un abbraccio, in cui cerchi parole mute che parlino all’anima una lingua profonda e arcana. Così, in un giorno qualsiasi che diventerà speciale, dai uno sguardo circolare alla Piazza; lo alzi su, alla Torre del Mangia, prima di scendere le scale che portano nel Bottino Maestro di Fonte Gaia. Si apre il mondo di sotto. A guidare il passo, in percorsi in gran parte segnati e definiti, come quelli del destino, è la luce personale, che si fa strada fra le tenebre. La luce che definisce il presente, lasciando in ombra il cammino trascorso e quello futuro. Si cammina con l’acqua che scorre accanto quieta, che parla sommessa con la sua rassicurante voce liquida. Oggi c’è acqua sui camminamenti. E ti bagni scarpe, calze e piedi, come sulla battigia di quel mare antichissimo sotto il quale dormiva, in tempi remoti, il pensiero di una Città. Siena è sorta sulla rena di quel mare primordiale fatto di fine pietrisco, di strati di sassi levigati, di quella sabbia compatta imbiancata di sale, che se la tocchi si sfarina a granelli grossi e che chiamiamo tufo. Una piccola Atlantide emersa, che non dimentica di essere nata dall’acqua, come una Venere snella di mattoni e pietra serena.
 
Quaggiù sotto, mondo immoto di viscere oscure, si sta dentro il grembo materno di Siena: al sicuro, al riparo dalla vita rutilante che avviene otto metri più in alto, sopra la corteccia delle lastre percorse da passi, da ruote, qualche volta da zoccoli nevrili. Quaggiù sotto, se si spengono tutte le torce, il buio assoluto diviene materia: una materia densa, vischiosa, carnale, che smorza e soffoca i pensieri, appagando la mente e aprendo la percezione verso altri sconosciuti mondi. Il silenzio leva il respiro e avvicina all’assoluto nulla, all’assoluto tutto, a una fissità senza tempo. Non c’è vita nei bottini. La vita ce la devi portare, la tua, offrirla all’acqua che scorre. Donarla a quel fiume - dove non ci si può bagnare due volte, ma al quale si torna per molte vite - e farne delle piccole dighe. Il percorso è stato segnato, si può soltanto modificarlo e guidarlo, facendo attenzione a non perdersi in rami ignoti. Sulle pareti e sulle volte, milioni di colpi di piccone si sono fatti strada e hanno fatto posto al buio e al fruscio lieve e limpido dell’acqua. Rumore di seta liquida, di bandiera trasparente, che sventola lievissima, mossa da un misterioso respiro. Il drago cavo che striscia sotto terra ha occhi alti e narici segrete.
 
Si ammira la capacità di costruire, il lavoro di quelle antiche genti che vivevano la fatica, la paura, condividendo cibo, sonno e sesso negli anfratti silenti. Le loro paure sono anche le tue: mostri interiori, spiritelli malvagi, creature che ti soffiano in faccia, malevole, l’angoscia del vivere, il senso di inadeguatezza, l’incertezza del futuro, l’inesorabile trascorrere del tempo che approssima alla morte, gli amori perduti, i momenti non vissuti, le svolte fatali dei tuoi cunicoli interiori, le vasche rimaste asciutte, i crolli rovinosi, i rami faticosamente scavati che non si sono mai incontrati.  Anche tu hai fatto il tentativo vano di cercare la Diana, perdendo la speranza di trovarla, oppure continuando a darle la caccia, a custodirla con fede e superstiziosa gelosia. I ricordi sono concrezioni affascinanti che possono però inquinare il passato e non permettere lo scorrere dell’acqua. Talvolta emozioni pietrose rimandano ad antiche epoche. Talvolta trovi slarghi e piccoli golfi che non hanno un perché, dove la terra gialla è fine e ammontinata.
 
Alcuni rami sono chiusi da cancelli di ferro dei quali non possiedi la chiave, come occasioni perdute o amori non consumati. E spesso si è costretti ad abbassare la testa per passare avanti e camminare piegati in due: più alto è l’orgoglio, più ci si deve chinare e guardare per terra. I bottini sono fatti per raccogliere le acque. Ma forse non è pioggia quella che trasuda dalla rena, che scorre nei gorelli e si raccoglie nelle vasche: sono le lacrime di gioia e di dolore dei Senesi di tutti i tempi, le passioni e i drammi di tutte le epoche, che il grembo di Siena accoglie, lenisce, consola. Sui muri, a lettere nere, come epitaffi, nomi di luoghi, di genti, di persone che abitano vicino ai dadi. Lanciando in aria altri dadi e altre sorti, il destino ha concesso ad ognuno la propria quantità di acqua lustrale e di pianto.
 
Sopra, dal piano del reale, nel regno del sole, si aprono pozzi, occhi che si spalancano verso il profondo, dai quali si estraggono acqua ed emozioni. Pozzi oscuri che mettono in comunicazione con le viscere della terra, con l’inconscio personale e con quello collettivo della Città. L’uscita di Fontegiusta partorisce il tuo corpo e i pensieri. Rimane la sensazione della protezione, del ritorno e del rifugio: dalle guerre, dal dolore, da chi aggredisce la Città. Nelle vene nascoste, dove si cela il cuore dei senesi, scorre il sangue di Siena. E il tuo.

Il racconto rientra nell'iniziativa di Toscanalibri.it "Racconti di scrittori toscani per i giorni del Coronavirus".
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Simonetta Losi

Simonetta Losi

è nata a Siena il 18 febbraio 1963. E' laureata in Lettere e lavora come collaboratore ed esperto linguistico all'Università per Stranieri di Siena. All'attività di insegnamento accompagna quella di aggiornamento e formazione professionale per docenti di italiano all'estero. E' giornalista pubblicista e collabora a varie testate.

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