Il dono delle persone sensibili. La guida pratica di Nicoletta Travaini

Marialuisa Bianchi

07/06/2023

Non posso cambiare la direzione del vento, ma posso aggiustare le vele per raggiungere sempre la mia destinazione scrive Elif Shafak. Le persone altamente sensibili sono visionarie, intuitive e capaci di vedere le cose in prospettiva, mai in modo riduttivo, parziale o disprezzante. Sono riflessive e creano un buon ambiente sociale. A loro volta, sono vigili, cercano l’eccellenza in tutto ciò che fanno e contagiano gli altri con spirito innovativo. Certo molti artisti erano e sono ipersensibili. Scrittori, psicologi, musicisti.
 
 “Un libro che parla di me, in cui mi sono ritrovata dopo una vita di percepirmi inadeguata e fuori asse”. Questo avranno pensato molte delle lettrici e anche qualche lettore leggendo “Il dono delle persone sensibili: Guida pratica per fare dell'ipersensibilità il nostro centro di equilibrio” (Red edizioni) di Nicoletta Travaini. Una persona con una sensibilità diversa? Vengono denominate PAS dagli attuali studi di psicologia e neuroscienze.
 
Questo non è un saggio, ma un libro che è un viaggio dentro di sé, alla scoperta di un dono che male interpretiamo: l'ipersensibilità. Riuscire a comunicare, decomprimere e trovare una via per essere così sensibili in questo mondo che spesso non ci fa sentire capiti e apprezzati, perché siamo portatori di punti di vista, intuizioni, capacità cognitive ed emotive che fanno bene anche agli altri. Davvero un ottimo lavoro questo di Nicoletta Travaini da consultare, mettere in pratica e anche regalare.
 
Essere invisibili. Quanti di noi si sono sentiti così?  Non a caso l’autrice usa il noi, perché anche lei si riconosce nei tratti dei PAS e in questo modo empatizza con il lettore. Il piccolo anatroccolo non viene visto per quello che è, perché viene guardato solo per quello che non è. Questo è il dramma di essere invisibile: se non sei come mi aspetto, non ti vedo; o ti adegui, oppure non esisti. L’unica scelta che gli rimane è essere chi non è, essere come gli altri lo vogliono. In questa favola: un brutto anatroccolo. Una maschera che ci mettiamo per essere accettati e amati, perché abbiamo bisogno del riconoscimento per crescere. Ma i costi di questo processo sono dolorosi. Come l’anatroccolo, anche noi vagabondiamo in lungo e in largo nella neve e al gelo alla ricerca di qualcuno che ci dica finalmente chi siamo e ci faccia sentire in pace. Se non so chi sono e da dove vengo, difficilmente potrò andare da qualche parte e costruire la mia felicità.
 
E infatti è proprio da questo isolamento che nasce una nuova forza: le ali si fanno grandi e possenti e in primavera l’anatroccolo sente di potercela fare. Così anche in noi c’è un istinto che grida la nostra verità e che ci spinge, ancora e ancora, ad andare, a provare, a cercare casa altrove. Trovare la propria famiglia di anime. Così come il cigno si riconosce specchiandosi nell’acqua, noi ipersensibili abbiamo bisogno di riconoscerci e di riconoscere i nostri simili. Questo permette finalmente di iniziare a esistere, dunque a volare. Noi Pas reagiamo alle esperienze in modo più intenso rispetto alla media, perché le percepiamo in modo sfaccettato e complesso e a vari livelli: un pensiero ramificato e divergente, che non segue i percorsi logici comuni e che apre continuamente link di collegamento a nuove idee e concetti. Fatichiamo a prendere le cose con leggerezza perdendo così il senso del gioco e del piacere. Rischiamo di avere la modalità a interruttore: tutto-niente, passando da eccessi di attività al vuoto totale. È dalla capacità di gestire queste altalene mentali che dipende il nostro benessere altamente sensibile. Nei maschi viene ancora oggi disapprovata o repressa, mentre è tollerata nelle femmine. Ciò fa sì che le donne esprimano questo tratto più degli uomini, che invece tendono a nasconderlo e a viverlo male.
 
Il Punzecchiatore è una pittoresca immagine inconscia che con diversi nomi o sfumature possiamo trovare nel nostro mondo interno e che ci paragona e ci fa sentire inadeguati. Il Giudice che, senza alcuna empatia e cura per noi, ci confronta continuamente agli altri, nella nostra mente sempre migliori o più performanti. Paragona, confronta, giudica; il suo scopo è farci essere come-gli-altri e non come-veramente-siamo; è perfezionista ai limiti dell’ossessività; è pessimista; è svalutante; si oppone alle emozioni e giudica le sensazioni. Reprimendole, le emozioni diventano più esplosive e quindi più difficili da gestire.
 
Quindi se sono convinto che una certa esperienza o una certa situazione sarà spiacevole, perché in passato è stata spiacevole, sto già filtrando la nuova esperienza in modo negativo e sto, nella mia mente, attraverso le mie aspettative, ponendo le basi perché tutto vada male. Profezie che si auto-avverano: nella mia mente mi preparo al peggio e, inevitabilmente, il peggio si realizza, ma solo perché ho focalizzato tutte le mie risorse sugli aspetti negativi e spiacevoli che già avevo disegnato nella mia mente.
Scegliamo di rintanarci nella mente, nei pensieri, nelle fantasie e nell’immaginazione, lasciando al corpo gli aspetti solo strumentali (uso il corpo) o funzionali (col corpo mangio, lavoro, dormo…). Poi quando qualcosa accade, e qualcosa nella vita accade sempre, ecco che scivoliamo “dentro” quella sensazione, che porta con sé emozioni e pensieri collegati, e corriamo il rischio di annegare in un mare di pensieri e vittimismo.
 
Tutti gli scritti che parlano di alta sensibilità sottolineano come caposaldo la forte spinta a empatizzare con gli altri, a comprenderne gli stati d’animo, ad anticipare i bisogni e a leggere il linguaggio non verbale delle persone cogliendo così immediatamente il clima emotivo di ogni ambiente. In poche parole, la capacità di mettersi nei panni altrui per riuscire a percepire i vissuti delle altre persone. Cassandra è un personaggio della mitologia greca che non a caso viene citato per parlare delle persone altamente sensibili. Vede il futuro ma è destinata a non essere creduta, che tragedia enorme per il proprio io.
 
Come PAS siamo anche altamente permeabili. Emozioni, vissuti, situazioni, conflitti, convinzioni, giudizi: sembrano poter superare la barriera della nostra identità e incastrarsi profondamente dentro di noi. A volte siamo spugne, che assorbono l’atmosfera di un ambiente o gli umori di altre persone, È necessario fare contenimento alle emozioni quando diventano dilaganti, fuori controllo, eccessivamente intense, quando ci soverchiano, quando invece di guidarci ne siamo completamente in balìa. È necessario fare contenimento alle sensazioni, quando captano così prepotentemente la nostra attenzione tale da distrarci dalle nostre azioni. È necessario fare contenimento ai pensieri, quando diventano ricorsivi, rimuginanti e sequestrano la nostra lucidità impedendoci di avere dei comportamenti appropriati. Le cose migliori di noi nascono dalle crisi trasformate in opportunità. nel circolo vizioso del malessere, non c’è nessun nuovo apprendimento, ma, al contrario, una continua reiterazione di schemi disfunzionali e frustranti. Fai solo attenzione a scegliere qualcosa che ti aiuti a staccare dalla situazione che ti ha mandato in crisi, ma che al contempo serva anche a ricaricare le tue batterie
 
Carl Gustav Jung, nel lontano 1913, aveva parlato di Sensitive People, affermando che esiste una certa sensibilità innata in alcune persone, che determina una particolare predisposizione a percepire le esperienze in modo intenso e sosteneva che eventi con un impatto emotivo forte difficilmente passano senza lasciare traccia nelle persone sensibili. Inoltre, questo tratto è correlato ad alcune capacità come la percezione più alta, l’inventiva, l’immaginazione e la creatività. Spesso capita che un ipersensibile quando è felice non riesca a dormire bene la notte, si distragga o soffra. D’altro canto, l’inquietudine, che può accompagnare la gioia nelle PAS, può dipendere dalla convinzione di non meritarsela o ancora dal tentativo di trattenerla il più possibile, cosa però che non fa altro che aumentare l’ansia, visto che ogni emozione per definizione è momentanea e fugace.
 
Diciamo la verità: a noi ipersensibili la tristezza piace. Tendiamo ad associare la tristezza con l’essere riflessivi, introversi, profondi. Sì, d’accordo, molti artisti la pensano in questo modo e infatti molti di loro sono PAS. La tristezza ha lo scopo di mandarci in autoprotezione, di farci fermare e ci invita a ritirare le energie, perché c’è qualche cosa che deve essere elaborato e digerito a livello emozionale. È naturale per noi, fare, dare, nutrire il rapporto, ma ci dimentichiamo che nessuno ce lo ha chiesto, nessuno si aspetta da noi così tanto e che è qualcosa che facciamo perché è nella nostra indole. Siamo fatti così. Se rischio di accumulare aspettative e pretese verso i nostri amici e di rimanere delusi se, nel momento in cui noi abbiamo bisogno, l’altro c’è, ma a modo suo e non a modo nostro. Può quindi succedere a volte che poi rompiamo un rapporto in modo improvviso, reagendo apparentemente in modo spropositato a una piccola offesa: l’altro non capisce però che quella è solo la punta dell’iceberg e che da tempo la nostra frustrazione cresceva.  Per questo è bene alleggerire i rapporti e non caricare di tante aspettative ogni relazione.
 
La tendenza a darci senza limiti, la delicatezza delle percezioni, il desiderio di intimità, la capacità di nutrire e costruire. Ma anche la facilità con cui siamo feriti e la difficoltà di essere compresi nelle sfumature della nostra sensibilità. Sono aspetti da tenere in grande considerazione sia per noi ipersensibili sia per chi sceglie di stare con noi. La PAS investe sulle parole, il dialogo, il capire, lo spiegare e lo spiegarsi. È una risorsa che però va gestita e in certi momenti limitata: ma l’importate è che sa quando chiedere aiuto. Difficilmente una PAS insabbia i problemi: se non riesce a parlare apertamente di un disagio saranno i suoi modi o il suo corpo a parlare per lei/lui.
 
Occorre con le persone saper trovare la buona vicinanza: un po’ come i porcospini di Schopenhauer che per non sentire freddo si avvicinano, pungendosi, ma allontanandosi tornano a sentire il gelo, dobbiamo costruire la nostra buona vicinanza in cui poter essere noi stessi, con la nostra sensibilità, ma insieme all’altro. Potremmo dire che il narcisista rappresenta l’estremo opposto di una PAS, la quale, inconsciamente, lo idealizza, perché vede in lui/lei erroneamente un’immagine di forza, freddezza e intoccabilità.
 
Ogni relazione d’amore adulta è sempre e per tutti anche un importante spazio di riparazione delle nostre ferite infantili e di costruzione di nuovi modelli: perché è da bambini, con mamma e papà, che abbiamo interiorizzato il loro modo di amare e quindi il nostro imprinting sull’amore. Sia le PAS sia i narcisisti hanno una ferita nell’amore e contemporaneamente sono affamati di amore. Entrambi hanno qualità straordinarie da portare in una relazione, a condizione che entrambi diventino consapevoli.
 
La nostra sensibilità resta sempre una parte di noi un po’ bambina, delicata, vulnerabile anche quando siamo adulti: dobbiamo quindi avere, con questa parte di noi, la stessa cura che avremmo con un bambino. Il cervello in continua ebollizione si trasforma rende una fucina di idee creative, facendone artisti, scrittori, poeti, musicisti molto dotati. idee. L’invito è a trovare la tua o le tue forme di creatività e a praticarle cercare una valvola di sfogo creativo per il ribollire delle nostre idee.
 
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Marialuisa Bianchi

Marialuisa Bianchi

Molisana d’origine, si è laureata in storia medievale a Firenze, dove vive. Ha insegnato Italiano e Storia nelle scuole superiori. Ha appena pubblicato per i tipi di Mandragora Storia di Firenze. La preziosa eredità dell’ultima principessa Medici che ha reso grande il destino della città. Precedentemente il romanzo storico Ekaterina, una schiava russa nella Firenze dei Medici e, nel 2021, La promessa di Ekaterina (edizioni End). Ha esordito con un libro...

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