Il giornale fatto coi piedi. Le storie di Giovanni Morandi, inviato speciale

Serena Bedini

17/07/2019

La sala è gremita nonostante sia metà luglio. Sono in tanti ad essere venuti alla libreria del Teatro Niccolini di Firenze a sentire la presentazione del volume di Giovanni Morandi, Il giornale fatto coi piedi (Mauro Pagliai, 2019). Perché? Forse perché è un autore che sa scrivere e oggi non è così scontato che chi scrive libri sappia anche tenere la penna in mano; forse perché è stato direttore de Il Giorno, de Il Resto del Carlino e del QN; forse perché Giovanni Morandi è stato inviato speciale del La Nazione per anni e di storie impensabili da raccontare ne ha molte, di quelle che rivelano da dove provenga la realtà confusa e inafferrabile di oggi. Tuttavia a me viene da pensare anche che tutti quanti siamo venuti a sentir parlare un giornalista vero, uno di quelli che scriveva quando i giornali erano l’unica fonte di informazione ritenuta attendibile, uno di coloro che sa cosa significhi fare giornalismo e non va solo a caccia dello scoop, ma cerca di capire e poi di informare, non si ferma alla superficie, va in profondità.

E così, in questo suo bellissimo libro, a tratti persino divertente, spesso toccante per la capacità che ha di far comprendere cosa sia la Storia quando la si vive di persona, Giovanni Morandi ci parla di cosa fosse il giornalismo ai tempi in cui Internet non c’era, quando per apprendere quello che stava accadendo bisognava recarsi sul posto “coi piedi”, parlare con la gente, immedesimarsi nella realtà locale e nella mentalità delle persone. Infatti, scrive l’autore, «questi solitari Don Chisciotte, detti inviati, ci hanno raccontato che il mondo stava cambiando quando si pensava, al contrario, fosse immobile. Nemmeno loro capivano perché mai cambiasse, ma sentivano che cambiava. E però per quanto presuntuosi fossero non disponevano di certezze profetiche. Ma che il mondo cambiava dentro e fuori di noi lo hanno raccontato per primi cercando di raggiungere le più lontane frontiere della notizia. In modo da poter essere vicini ai fatti per poterli vedere con i loro occhi ed ascoltare con le loro orecchie. Possibilmente con il vantaggio di essere soli, in esclusiva. Per essere più vicini possibile a quella frontiera lontana del pensiero o della geografia dove potessero capire fosse valsa la pena di aver fatto quel viaggio. E quasi sempre capivano che ne era valsa la pena. Li chiamavano inviati o, con loro soddisfazione, inviati speciali e nessuno saprebbe dire se esistano ancora o se si siano estinti, due possibilità credibili ma non certe perché non sono mai totalmente veri né mai totalmente falsi» (pp.7-8).

A sentir parlare Giovanni Morandi, così come nel leggere dei suoi viaggi in Africa, Russia, Ucraina, ecc. nei fronti più caldi degli anni Settanta, Ottanta e Novanta, ci si chiede come sia possibile che dopo personaggi come lui il giornalismo sia andato in crisi, sia decaduto, abbia perso presso le persone quella credibilità che aveva: non basta coprirsi dietro la scusa di Internet, dietro le notizie facili da reperire, dietro il mondo dei blogger. Scorrendo le pagine di questo libro, che si legge molto piacevolmente tanto è ben scritto e appassionante, sorge il dubbio che il giornalismo non dovrebbe essere considerato un lavoro, ma più una missione, esattamente come, sembra di capire, è stato per Morandi e molti suoi colleghi: solo così, con una certa probabilità, sbaraglierebbe le schiere di critici e di scettici e la stampa riacquisirebbe quella voce autorevole che un tempo otteneva unanimemente.
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Serena Bedini

Serena Bedini
È nata a Firenze nel 1978; si è laureata con 110/110 e lode in Filologia Moderna nel 2005 presso l’Università degli Studi di Firenze. È scrittrice, giornalista, docente. Maggiori informazioni su di lei sono reperibili su www.serenabedini.it.

 
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