La confutazione dei sogni. Il romanzo per episodi di Massimiliano Bellavista

Luigi Oliveto

09/02/2023

“Coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto la notte”. Questo sosteneva Edgar Allan Poe, e questo tipo di competenza dimostra di possedere Massimiliano Bellavista con il suo romanzo per episodi “La confutazione dei sogni” (Castelvecchi) che – leggiamo in quarta di copertina – “investiga la materia e i confini del sogno”. Fino, giustappunto, a confutarli, soprattutto quando essi ci svergognino nelle nostre inadeguatezze, rivelino fragilità, rendano inservibili le rabberciate maschere. Ma quanto l’autore indaga non è poi così certo se abbia a che fare con i sogni o, piuttosto, con una dilatazione della realtà. Scrutata con irriverenza, compassione, disincanto, rattenuto dolore. Interrogata con l’impertinenza del filosofo, l’argomentazione del pedagogo, la dialettica del polemista, la parola ficcante dello scrittore. Forse (ri)pensata nel tempo sospeso della veglia, allorché i paradossi divengono plausibili, i desideri seducenti, le paure ancor più paurose. E tante cose paiono diventare praticabili, come un “mare perfetto per camminarci sopra” o (può succedere, eccome se può succedere!) l’incontro con un canguro altissimo che ti guarda e giudica: “Sì, insomma, quella bestia non sembrava per niente ostile, ma si vedeva che quando ti fissava stava rimuginando qualcosa d’importante.” Bellavista procede così confutando più che altro la vita reale, ne sgama trucchi e sentimenti. La stravolge, irride, psicanalizza; che è un modo per diventarne illusoriamente padroni. Talvolta la proietta in scenari distopici, in rassegnate attese d’apocalissi. E’ il caso dell’episodio (uno dei più intensi) intitolato “La neve negra”: “Antonia mi porge il bicchiere accarezzandomi, con una piega sulle labbra socchiuse, a metà tra sorriso e parola. La luce intermittente del vulcano le illumina la bocca, un secondo lampo le svela le mani, l’ultimo bagliore è catturato dagli occhi, che sembrano ricaricarsi e riprendersi energia. Mi tende la mano. Mi alzo e la raggiungo sulle scale che dalla terrazza portano al giardino. Quel lato della casa sarà l’ultimo pezzo della nostra vita a scomporsi in silice, ossidi e sulfuri.” Pagine drammatiche? Sì e no. Sorrette da una scrittura svelta e precisa, da una lingua sempre di prima scelta, ancorché dissimulata in un costante registro colloquiale, vi si trasogna il dramma proprio per sdrammatizzarlo, entrarci in confidenza, addomesticarlo alle cose della vita, renderlo ‘ragionevole’, in qualche modo gestibile. Ecco, allora, l’utilità del sogno, del traccheggiare su quella linea incerta oltre la quale il vero (il vero?) va a dissolversi nel crepuscolo onirico. Almeno fino a quando – fa dire Bellavista a un suo personaggio – “i miei occhi, ormai, fuori dal sipario del sogno, si riaccendono nella notte”.
 
***
 
Sono un cittadino dei sogni e nei sogni non sono laureato.
Non sono nemmeno diplomato.
Muoio spesso ma non fa niente, non fa male e, al più, si riduce a una breve intermittenza, dopodiché riapro subito gli occhi, inconsapevole e più in forma di prima, come in quei film distopici dove si ripete in loop sempre lo stesso giorno. In effetti, la dimensione prevalente dei sogni è circolare.
Se mi ferisco non sanguino, per un po’ perdo una specie di polvere dal tessuto slabbrato della ferita, come una specie di orso di pezza di una razza sconosciuta. Basta non guardarla per un attimo e la ferita si risarcisce da sola. In generale è così nei sogni, le cose, se non le illumini con la tua attenzione, sfioriscono e cambiano. A volte, sempre nei sogni, non sono nemmeno mai nato, sono una specie di embrione adulto ben vestito e ben introdotto in società che cammina, anzi rotola come una biglia nella sua bolla di liquido amniotico, tutti mi conoscono anche se io non conosco mai nessuno perché, in realtà, come potrei, se non esisto. Tuttavia, i miei estimatori non sembrano imbarazzati per la scia di bava che lascio dietro al mio passaggio, come fossi una grossa e grassa lumaca senza guscio. Mi evocano quando gli fa comodo e sembrano godere genuinamente della mia presenza, anche se, da dentro la bolla, non posso fare niente, non posso dire niente, perché sono solo una bozza d’uomo, un disegno preparatorio del quadro di un’esistenza. Nei sogni, la mia casa è fatta di muri cedevoli nel tempo e nello spazio e con un solo passo, rapido come un pensiero, si possono anche coprire distanze enormi. Solo i miei genitori rimangono morti, stelle fisse dell’aldilà, sia nei sogni che nella realtà.
Ma poi, quando mi sveglio, il dolore mi riconnette alla realtà e qualcuno o qualcosa mi tira su all’amo, toglie l’uncino urticante che mi sta scorticando la bocca e poi mi ficca in gola tutta la mia vita farcendomi con essa da vivo, a forza, come fossi un’oca da foie gras.
Sono un cittadino dei sogni e un diseredato della realtà.
 
[da La confutazione dei sogni di Massimiliano Bellavista, Castelvecchi, 2022]
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista e scrittore. Luigi Oliveto ha pubblicato i saggi: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Il paesaggio senese nelle pagine della letteratura (2002), Siena d'Autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004). Suoi scritti sono compresi nei volumi collettanei: Musica senza schemi per una società nuova (1977), La poesia italiana negli anni Settanta (1980), Discorsi per il Tricolore (1999). Arricchiti con propri contributi critici, ha curato i libri: InCanti di Siena (1988), Di Siena, del Palio e d’altre storie. Biografia e bibliografia degli scritti di Arrigo Pecchioli (1988), Dina Ferri. Quaderno del nulla (1999), la silloge poetica di Arrigo Pecchioli L’amata mia di pietra (2002), Di Siena la canzone. Canti della tradizione popolare senese (2004). Insieme a Carlo Fini, è curatore del libro di Arrigo...

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