Le signore Contesse Serristori e quel pianto del Re sulle scale

Michele Taddei

10/04/2020

Nella prima parte del racconto delle memorie di Rina Cartoni [La belle epoque e i panforti della "sora" Adele, 3 aprile 2020] avevamo lasciato la nostra protagonista a a Roma, a servizio della famiglia Serristori. Dopo gi anni come giovane cameriera al Caffè Rossi in piazza Dogali a Rapolano Terme, era stata assunta in qualità di cameriera alle Terme Antica Querciolaia, all'epoca di proprietà della famiglia Cencini. Qui aveva incontrato una serie di nobildonne e gentiluomini dell'alta aristocrazia che si erano ritrovati in quella estate del 1945 a passare le acque.

Da Rapolano Terme, la nostra Rina era finita in Corso Italia al 45B a Roma, sede di palazzo Serristori, a servizio della contessa
Sofia Bossi Pucci Serristori che le aveva proposto un incarico di fiducia quale sua cameriera personale perchè quella che aveva si sarebbe sposata. L'incarico sarebbe dovuto durare quindici giorni, il tempo del viaggio di nozze. Ma, poi, allo scadere dei giorni, convocata nel grande salone, si trovò di fronte tutte le contesse della famiglia.

C'era la contessa
Sofia, direttrice di corte, sua mamma, la principessa Ortensia, principessa della Gandara e dama di palazzo della regina Elena (aveva l'onore di ricevere le Sue Altezze Reali quando venivano a Firenze) e poi la contessa Benedetta, figlia di Sofia e la piccola Sibilla, figlia di Benedetta. “Rina come si trova lei qui?” le domandò la contessa Sofia. “Ma io bene, mi trovo”, rispose Rina che temeva a quel punto di dover fare ritorno al suo paese in Toscana. “Allora senta, se noi si facesse per lei, lei farebbe per noi”. “Ma, se questo è, a me sta bene” rispose contenta Rina. E fu così che con grande gioia e sollievo rimase con loro.


Parte II Le signore Contesse e quel pianto del Re sulle scale

«Tra l’altro, senta, come sono quei signori. Senta che scoprii una volta che tornai a Rapolano da Roma. Incontro don Gennai, l’arciprete, e mi fa: “Rina era tanto che ‘un ti vedevo, ma lo sai che una certa dama di corte mi chiese informazioni di te? Da che famiglia venivi, che facevi e io gli dissi che eri una circolina e che eri brava”: Poi, più tardi, incontro il maresciallo Bernabei, che conoscevo bene perché era un frequentatore del Caffè Rossi, e mi dice: “Oh lei, lo sa che mi chiesero informazioni sul suo conto da Roma? E io gliele ho date buone”. “Gliele avrà date com’erano, ‘un le pare?”. E questo per dire che genti erano questi signori; prima di assumermi s’erano già informati su chi fossi e non fossi!».

«Furono anni belli quelli lì e anche economicamente stavo bene. I primi tempi lo stipendio consisteva in sei fiaschi di vino al mese che prendevano dalle varie fattorie di proprietà sparse un po’ dappertutto (otto ce n’avevano nel Valdarno, a Imola, a Sant’Andrea di Percussina, San Vincenzo ad esempio era tutto loro). E io, capirà, che facevo, bevevo sei fiaschi di vino? E allora lo vendevo e ci prendevo un po’ di soldi che poi mandavo ai miei genitori, anche perché io a Roma non ne avevo bisogno. Poi, mi ricordo che mi passavano i loro vestiti, soprattutto della contessina. Una volta, ricordo, era d’inverno e venni a Rapolano con un soprabito così bello che feci epoca. Anche perché a quei tempi nessuno si poteva permettere un abito in quella maniera».

«Di quegli anni intensi mi vengono a mente tanti ricevimenti, pranzi, visite importanti. E per esempio in quel periodo c’era una principessa russa, la principessa Vera, che aveva la mania di portare via la roba, di rubare l’argenteria, anche solo un cucchiaino o una forchetta, era una maniaca insomma. In casa Serristori veniva spesso, perché era una russa, nientemeno si diceva che avesse avuto un treno per conto proprio in Russia, ma poi dopo la cacciata dello Zar e la rivoluzione comunista questa donna si era trovata in difficoltà e allora, venuta in Italia, i Serristori e la nobiltà tutta l’aiutarono parecchio, le mantenevano persino un appartamento a Roma e la invitavano spesso a colazione a palazzo. Ma, ogni volta, alla fine, la contessa Sofia mi diceva: “Senta Rina, io la vedrei bene a guardare la principessa Vera”. E allora io, insieme al maggiordomo, si chiamava la principessa in disparte prima che lasciasse il palazzo: “Venga qua, sora principessa, faccia vedere cosa c’ha”. E ogni volta spuntava un coltello, una forchetta, un cucchiaio e via nascondendo».
 
«Altri bei ricordi sono quelli legati ai periodi trascorsi a Corte, al Quirinale, quando la contessa Sofia era ospite e bisognava che anche io le andassi dietro. Si andava là con il baule e io preparavo i vestiti a seconda dell’occasione. Ci si stava dai due ai tre giorni, a seconda dei periodi. È stato così che ho conosciuto il re Vittorio Emanuele III, nel suo ultimo periodo e poi Umberto e Maria Josè. Erano tutti bravi. Con Umberto poi, ci si parlava bene, erano insomma abbastanza democratici. “Buongiorno toscanina”, mi salutava Umberto che con me ci parlava volentieri perché diceva che parlavo bene, e mi chiedeva sempre notizie su Santa Caterina e sul Palio».
 
Tutti gli avvenimenti che racconta Rina accadevano mentre l’Italia, uscita dalla guerra, era drammaticamente a un bivio, scegliere tra Repubblica o Monarchia ed eleggere il primo Parlamento. In ambienti nobili la cosa fu vissuta intensamente. «Furono momenti tragici e quando, dopo il referendum del 2 giugno del 1946 e prima dell’esilio che avvenne il 13 giugno, il re Umberto venne a fare l’ultima visita a Palazzo Sarristori mi ricordo che fu una cosa molto drammatica. Stava scendendo dopo essere stato a colloquio privato con le signore Contesse e d’un tratto, con tutti noi della servitù presenti, si fermò sulle scale, si mise seduto, po’rino, e all’ultimo gradino si mise a piangere, come un bambino piccino. Seduto come un mendicante si mise a piangere davanti non solo alla famiglia Serristori ma anche davanti a noi e ci fece male a tutti, ci fece piangere tutti, dico la verità».
 
Da quel momento iniziò un periodo molto difficile per la nobiltà legata alla monarchia. Furono anni di dure lotte e rivendicazioni politiche nonché di forti tensioni sociali. Un altro momento ben impresso nella memoria di Rina è legato al giorno dell’attentato a Palmiro Togliatti, il 14 luglio 1948. «Eravamo a San Vincenzo, al mare, e tramite radio venimmo a sapere dell’attentato. Si creò subito la paura della rivoluzione. In quel momento eravamo io, il Conte, la Contessa Sofia e la piccola Sibilla. Disse il Conte: “Bisogna scappare, ci sono i blocchi sulle strade, c’è la rivoluzione”. Allora in tutta fretta lasciarono Sibilla al contadino: “Fate conto che sia vostra, vestitela male e non le lavate il viso” disse il Conte prima di partire. E così con grande paura si partì per Roma e per un tratto ci venne addirittura la polizia a scortare. Partimmo la mattina alle nove e si arrivò a notte alle due, per dire le difficoltà che incontrammo. Tra l’altro ci furono problemi anche perché loro avevano solo il libretto degli assegni e c’era da far benzina e da mangiare. E il Conte mi chiese: “Rina, c’ha soldi lei?”. “Si, si, c’ho cinquemila lire”. Perché allora facevo come le lumache che si portano dietro casa. E così con quei soldi si riuscì a mangiucchiare qualcosa e a fare benzina. Fu un momento molto brutto. Io, tuttavia, mi ricordo, ero abbastanza  tranquilla, dico la verità, ma loro proprio no».
 
Iniziò cosi, ingloriosamente, con il soldi prestati dalla cameriera, la decadenza della grande famiglia Serristori, ma la Rina rimase sempre accanto alla sua signora Contessa, a Roma fino al 1951 e poi a Firenze, e vi rimase fino alla pensione. E, ancora oggi, che si gode la sua splendida età, è sempre legata alle sue signore Contesse ed ai ricordi delle stagioni alle Terme e del Caffè Rossi. Ricordi composti di tanti fantasmi e infiniti aneddoti, alcuni dei quali speriamo di aver riportato in tutta la loro autentica semplicità.


Il racconto rientra nell'iniziativa di Toscanalibri.it "Racconti di scrittori toscani per i giorni del Coronavirus".
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Michele Taddei, giornalista, si occupa di comunicazione pubblica, socio fondatore di Agenziaimpress e Primamedia. Ha pubblicato “Siamo onesti! Bettino Ricasoli. Il barone che volle l’unità d’Italia” (Mauro Pagliai editore, 2010), "Scandalosa Siena" (Edizioni Cantagalli, 2013), "Cuore di Giglio" (De Ferrari editore, 2016), Siena bella addormentata (Primamedia editore, 2018), "Steppa...

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