Lo spazio delle donne, una stanza non basta più

Roberto Barzanti

08/04/2022

Con un saggio che unisce l’impeto polemico del pamphlet all’analisi di casi significativi nella creatività artistica Daniela Brogi (“Lo spazio delle donne”, pp. 121, € 12, Einaudi, Torino 2022) disancora il tema del ruolo delle donne dalla diatriba – pur non ignorata – sulle quote rosa e sulla quantità di presenze da garantire con strumenti legislativi.  Aver scelto la categoria «spazio» è la premessa di metodo dalla quale deriva un’indagine che si dispiega in più direttrici, abbracciando con verve allocutiva scandalose questioni di attualità e probanti esempi testuali. Il viaggio della battagliera docente di Letteratura italiana all’Università per stranieri di Siena si sviluppa in cinque aree: lo spazio storico assegnato alle donne, lo spazio come condizione dell’attività artistica, come insieme di schemi sessisti in voga, come vissuta esperienza personale. E, in chiusa, se ne verificano tratti emergenti in vicende dei nostri giorni. All’inizio si profila un «recinto di minorità» entro il quale le donne sono costrette e rivestite di una «singolarità da outsider», estirpate da un condiviso tessuto sociale: matte o sante, vergini suicide o assatanate ninfomani, maligne streghe o vogliose zitelle. I loro nomi compaiono accanto all’uomo col quale hanno coltivato una relazione: Sibilla Aleramo è convocata immancabilmente accanto a Dino Campana, mentre Anna Banti è la moglie del grande Roberto Longhi. La confidenzialità che omette il cognome obbedisce ad una simpatia riduttiva: Nilde Iotti è Nilde tout court, quasi non le si addicesse il solenne appellativo istituzionale di presidente della Camera dei deputati. L’unica scrittrice che s’incontra nei programmi scolastici è Elsa Morante.
 
Il discorso di Brogi è molto basato su una campionatura di vezzi linguistici o mascherate astuzie, non di rado frutto di invalsi automatismi. Eppure, malgrado questa subalternità, non si può negare quanto ha affermato lo storico Eric Hobsbawn: «la rivoluzione femminile è stata l’unica rivoluzione riuscita del Novecento». Sentenza che sembra contraddire il filo conduttore di un saggio volutamente unilaterale. Si tratta – vien da suggerire – di una rivoluzione incompiuta, di una rivoluzione in corso, già apportatrice di percepibili e incisive conseguenze. Non è agevole trascrivere gli appunti presi seguendo la struttura del libello che passa dalla storia della cultura a colpevoli «smarginature». Virginia Woolf con il classico saggio A Room of One’s Own è presa a capofila della rivoluzione. A Daniela non piace la (fedele) traduzione Una stanza tutta per sé e propone di sostituirla con «uno spazio veramente proprio». Nella metafora della «stanza» si enfatizzerebbe, a suo parere, una separazione che sa di sconfitta e solitudine. Ma basta scorrere l’intera conferenza del 1928 – uscita a stampa l’anno successivo – per rendersi conto del non ambiguo J’accuse di Adeline Virginia Stephen, che si duole nel pensare «a tutti quei romanzi scritti da donne, che si trovano qua e là nei negozi di libri usati, a Londra, simili a quelle piccole mele un po’ guaste che rimangono sparpagliate a terra in un frutteto». Ed è opportuno far tesoro di un’aggiunta non secondaria: «E poiché un romanzo ha questa corrispondenza con la vita reale, i valori che lo animano sono entro certi limiti gli stessi della vita reale».
 
La versatile sensibilità di genere sottesa in questa osservazione deriva anche da una sessualità non monocorde ed eccitata da una vertiginoso desiderio di sperimentare rapporti con le codificate consuetudini? O avanzando questa ipotesi si rischia di essere tratti in errore da un’ottica positivistica di matrice psicofisiologica? L’appuntito libello si legge con il timore di non assumerlo pel verso giusto e di trascinarsi dentro, senza accorgersene, ereditati pregiudizi. «Certamente – ammette Daniela – continueremo a leggere o libri di Louis-Ferdinand Céline o di Alberto Moravia così come guarderemo e potremo ammirare un film di John Ford, ma lo potremo fare con la libertà di dire che la verità di quelle opere, come nel caso dei testi d’autrice, lavorano anche con ambivalenze e assetti di sguardo sessisti». Come potremmo chiudere gli occhi e far tacere l’attrattività di corpi e sensi? La lettura non è esercitazione neutra e asettica: è immersa in una storia, mediata da lenti proprie, da una «seconda natura», spiega Leopardi. «Nessuna donna, forse – d’accordo! – avrebbe potuto scrivere La cognizione del dolore di Gadda», ma questo e altri numerosissimi titoli non spingono a moralistiche esclusioni o, tanto meno, a obbrobri da cancel culture. È, piuttosto, indispensabile attrezzarsi mentalmente per conquistare un approccio distanziante, storicistico ma non giustificativo. La ricollocazione in una rinnovata prospettiva di opere e di esperienze sorte nel tempo, lungo i secoli, non vuol rimuovere, non insinua forzature, non deforma, non induce una pedagogia edificante. Lo spazio delle donne non abolisce canoni e non scardina tradizioni. Incita ad una pluralistica visione paritaria, capace di cogliere «complessità e dislivelli». Nuove strade si aprono. Saranno altre/altri a percorrerle esaustivamente. Insieme.
                                                                                                                                
Articolo pubblicato sul “Corriere Fiorentino” del 5 aprile 2022, riproposto su toscanalibri.it per gentile concessione dell’autore.    
 
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Roberto Barzanti

Roberto Barzanti
è un politico italiano. È stato parlamentare europeo dal 1984 al 1994, dal 1992 ha ricoperto la carica di vicepresidente del Parlamento europeo. Dal 1969 al '74 è stato sindaco di Siena. Dal 2012 è presidente della Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena. Ha pubblicato "I confini del visibile" (Milano, 1994) sulle politiche comunitarie in tema di cinema e audiovisivo. Suoi saggi, articoli e recensioni tra l'altro in economia della cultura, il Riformista, L'indice dei libri del mese, Gli argomenti umani, Testimonianze, Gulliver, Il Ponte, rivista quest'ultima della cui direzione è membro. Scrive per Il Corriere Fiorentino.
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