Nato da un cane. Virzì racconta “Ovosodo”

Serena Bedini

17/01/2018

Confessiamolo apertamente: alzi la mano chi non ha mai visto almeno due volte “Ovosodo” di Paolo Virzì! Scommetto che le persone in grado di ammettere di non averlo fatto sono un numero forse inferiore a quello che si contava tra i volontari a un’interrogazione di grammatica greca al ginnasio. Sì perché, bisogna dirlo, “Ovosodo” è uno di quei film che rimane nel cuore sia per aver segnato un’epoca sia per il fatto di essere esemplificativo di una mentalità, conservando in sé quella spontaneità e quella nostalgia che rendono meravigliosa la stagione della vita che risponde al nome di “giovinezza”. È una storia d’amore, d’amicizia, di semplicità e insieme di quella “decenza quotidiana” che riscatta la nostra esistenza dalla meschinità del quotidiano. Per questo leggere “Nato da un cane. Il trattamento originale di Ovosodo”, volume di Paolo Virzì (proprio lui) e Francesco Bruni, edito da ETS di Pisa e curato da Ottavia Madeddu con una prefazione di Paolo Mereghetti, è praticamente un must.

Del resto le motivazioni, oltre che nella passione per il film, sono reperibili indubbiamente in quanto indica lo stesso prefatore: «Leggere il trattamento originale di “Ovosodo” è raccomandabile per due motivi. Perché aiuta a scavare dentro la fabbrica cinematografica di Virzì, scoprendo fonti di ispirazione, ambizioni e, magari, segreti e perché aiuta a capire meglio l’idea di cinema che guida il regista livornese, come trasforma le idee in immagini e le storie in film» (p. 5). Il titolo è poi, come spiega Ottavia Madeddu, un’autentica chiarificazione di due dei temi portanti del film stesso: l’attaccamento al padre da parte del protagonista, Piero Mansani, e il radicamento nel territorio toscano, oltre che naturalmente in quello livornese. Soprattutto poi si delineano e si definiscono i modelli che stanno alla base di questo film onesto e sincero, modelli assai alti se si arriva a fare il nome di Dickens, perché, ad esempio, «se nel trattamento è l’autore stesso a dichiarare una sorta di continuità con un certo tipo di letteratura, nel film è la voce over di Piero a ricalcare il noto inizio di David Copperfield, che rivisto, riattualizzato e rigenerato in chiave livornese suona così: partiamo dal principio, vengo al mondo a mezzanotte in punto del 12 marzo 1974, in un ambulatorio di via della Coroncina, rione Ovosodo» (p. 12).

Così questo libro che racconta in modo leggero la storia di una tragedia quotidiana, piccola quanto può esserlo se osservata dalla lente del distacco e della collettività, è in effetti il trait d’union tra il primo racconto che ha originato il film e la pellicola terminata. Il fatto poi che la vicenda, molto umana e normale, di un giovane proveniente da una famiglia disagiata e costretto a lavorare in fabbrica dalla necessità possa divertire è un miracolo che solo Virzì e la sua bravura sanno spiegare, «eppure si ride, si ride molto ed è proprio in questa commistione fra leggero e amaro, fra buffo e tragico, fra cinico e nostalgico che il film trova la sua forza, ribadisce il suo legame con la commedia italiana e se ne allontana contemporaneamente» (p. 25).
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Serena Bedini

Serena Bedini
È nata a Firenze nel 1978; si è laureata con 110/110 e lode in Filologia Moderna nel 2005 presso l’Università degli Studi di Firenze. È scrittrice, giornalista, docente. Maggiori informazioni su di lei sono reperibili su www.serenabedini.it.

 
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