Quel che conta è la qualità… sì, va bene, ma insomma spezzerei una lancia anche in favore della quantità, ecco. Oh, mamma mia, sento già le grida del benpensante di turno… ehi, ma calmati! Lasciami spiegare! Partiamo dall’inizio: quand’è che uno scrittore si può definire tale? Quando ha scritto un libro? Mah… onestamente, non sono tanto d’accordo. Uno scrittore è colui che per scrivere, studia, tenta di migliorarsi, lavora alla sua opera, trova da pubblicarla perché un editore riconosce in essa un valore e procede nel proprio lavoro in modo costante. Non mi si venga a dire che uno è scrittore solo perché scrive, in quanto se le cose stessero davvero così, il supermercato sarebbe pieno di scrittori, ossia tutti gli autori di ottime e interminabili liste per la spesa. E andiamo! Su! Una volta ho incontrato un tipo che mi ha detto di essere uno scrittore per aver scritto un libro vent’anni prima. Ora andrebbe tutto bene se avesse stampato e venduto due milioni di copie e avesse ricevuto entusiastiche pagine critiche sulle migliori riviste letterarie, nonché tesi dedicate, ma - a quanto sembra - era stato stampato da una casa editrice che poi aveva chiuso (no, no, davvero, non era per il libro del signore in questione, o per lo meno, lui ha detto di no!). Inoltre era uscito in 12 copie… ok, va bene, sarò onesta: erano 120 stampate e 12 vendute. Ecco… io, in questo caso, avrei evitato di definirmi “scrittore” e sarei tornata a proferire la massima di De Coubertin (v. post precedente): l’importante è partecipare. Se scrivete, scrivete! Far passare quindici anni tra un volume e l’altro non vi colloca tra gli autori che sanno scrivere e ci pensano bene prima di pubblicare un nuovo lavoro, ma solo tra quelli che hanno poche idee e poca voglia. Bando alle chiacchiere e mano alla penna, quindi!