Quelle volte che il Palio di Siena andò in stand by

Duccio Balestracci

29/04/2020

Sostanzialmente, sì. È come sempre a Siena si dice: solo le guerre han fermato il Palio. Di fatto, no. O, almeno, per quanto più raramente, anche altre cause hanno episodicamente tenuto i cavalli lontano dalla terra in Piazza.
A volte la corsa è stata rinviata per la morte di qualche sovrano: l’ultima, in ordine di tempo, è stata quella del 16 agosto 1900 (ma fu poi corso a settembre) quando Gaetano Bresci uccise a revolverate il re d’Italia Umberto I. Ma, sia chiaro, in casi come questo, la festa veniva annullata quando la morte del sovrano avveniva a ridosso della stagione paliesca, perché, altrimenti, il Palio si faceva senza tante storie. Prendete il caso di un re che più popolare non si può: Vittorio Emanuele II. Ebbe il buongusto di morire il 9 gennaio (1878) e non ci fu bisogno, a Siena, di sospendere niente. Fu pianto e rimpianto, ma il Palio si fece.

Altri regnanti, invece (e non solo Umberto I), con la loro morte scombinarono le cose. Quanto mugugnò lo scorbellatissimo e antifiorentinissimo Giovanni Antonio Pecci per quella brutta idea di Gian Gastone dei Medici di ammalarsi gravemente proprio a cavallo del Palio di luglio! Tutto sospeso; tutti a sbisoriare preghiere, a battersi il petto, ad adorar reliquie e a scarpinare in processioni. E poi per far che? Il 9 luglio il poco amato sovrano lasciò questa valle di lacrime (o, come proprio il Pecci sentenziò con tutta la sua carità cristiana, “come un porco morì”: amen!). Lo stesso fece Lodovico I re d’Etruria il 27 maggio 1803 e addio Palio di luglio, rinviato a settembre.
Però anche altri motivi fecero tenere le bandiere negli armadi: il Palio del 16 agosto 1730 fu sospeso perché la città era scioccata dal furto sacrilego delle Sacre Particole in San Francesco avvenuto il 14 agosto. Furono ritrovate il 17, ma si decise comunque di non fare la ricorsa che era stata organizzata dalla Selva (il drappellone esiste sempre: ce l’ha la Giraffa: forse era stato portato come ex voto in Provenzano? Altri motivi? Non sappiamo: di certo non lo vinse perché, appunto, non risulta che sia stato corso).

Saltò il Palio del 2 luglio 1798 perché a fine maggio il terremoto aveva buttato per aria mezza Siena, ma quel XVIII secolo stava decisamente tramontando sotto una cattiva stella. L’anno dopo, il Palio di luglio non si fa. A Siena ci sono i francesi e i francesi avranno anche portato la libertà e l’uguaglianza, ma la fraternità se l’erano scordata oltralpe e avevano pensato di portarsi dietro solo le altre due e sulle canne dei fucili. La loro democrazia d’importazione era un’occupazione. E anche abbastanza odiosa. Il comandante militare Giuseppe Bellet, in quel 1799, si impunta che non vuol vedere colori di contrade sui cappelli: le possibili allusioni alle bandiere nazionali (un po’ era vero; un po’ i francesi erano paranoici) sono materia che scotta. E la Municipalità, non potendolo mandare a quel paese come sarebbe stato sacrosanto, decide che del Palio non se ne fa di niente. Peraltro, la questione si risolve da sola perché il 28 giugno entrano in Siena i sanfedisti aretini del Viva Maria che, con gli antifrancesi e i sanfedisti (più una bella manica di criminali spiccioli) locali, mettono a ferro e fuoco la città e, dato che ci sono, ammazzano anche un bel po’ di ebrei. Di Palio se ne riparla a agosto.

Si fa in tempo a correre quelli del 1800 e poi, nel 1801, nuova sospensione. A Siena ci ri-sono i francesi, questa volta in versione napoleonica, ma con lo stato d’animo da conquistatori arroganti e dispotici di quelli di prima. La città è caricata di tasse, per mantenere gli occupanti, fino all’inverosimile: il Palio deve aspettare.
Ci sarà di nuovo una sospensione nell’agosto del 1855, ma per un motivo sanitario (anche allora): in Toscana c’è il colera. A Siena no, ma non sfidiamo la sorte, visto che c’è andata bene. Niente assembramenti; niente sociabilità. E niente Palio.

Poi, sì: le guerre. Quelle di Indipendenza che cancellano il luglio 1848; tutt’e due i Palii del 1859 e quelli del 1866. Quelle Mondiali, dal 1915 al luglio 1919 e dal 1940 al luglio 1945.
Ci voleva il coronavirus per fermare di nuovo la macchina del Palio. Portiamo pazienza e non cerchiamo di inventarci forme astruse di Palii in surroga. Chi ha vissuto il Palio prima di noi ha saputo pazientare, aspettando di poter fare un Palio con tutti i crismi. Il minimo che possiamo fare è imparare la lezione e attendere tempi migliori.

Articolo pubblicato il 26 aprile 2020 su www.noiframmentidisiena.it, nella rubrica “A veglia con Duccio”
 
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Duccio Balestracci

Duccio Balestracci
Duccio Balestracci insegna Storia medievale e Civiltà medievali all’Università di Siena. Si è occupato di storia delle classi sociali in città e in campagna e degli aspetti della guerra e della festa. Tra le sue più recenti pubblicazioni, Medioevo e Risorgimento. L’invenzione dell’identità italiana nell’Ottocento (Il Mulino 2015). Per Laterza è autore di La festa in armi. Giostre, tornei e giochi del Medioevo (2001), Le armi, i cavalli, l’oro. Giovanni Acuto e i condottieri nell’Italia del Trecento (2003, tradotto in giapponese), Terre ignote strana gente. Storie di viaggiatori medievali (2008), La battaglia di Montaperti (2017), Il Palio di Siena. Una festa italiana (2019).
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