Viaggio nel Chianti tra le eterne duellanti Siena e Firenze

Michele Taddei

07/06/2011

Il libro della Betti editrice che la ChiantiBanca, banca di credito cooperativo del Chianti Fiorentino e Monteriggioni, ha regalato quest’anno ai suoi soci e clienti è una sorta di viaggio sulle strade da Firenze a Siena; ma è anche un invito a viaggiare nella storia, nel paesaggio, nella economica e nella cultura di queste colline tanto conosciute eppure tenutarie ancora di tante sorprese. E dopo aver stampato il libro nel classico formato, da strenna natalizia, oggi ci viene proposta la versione in formato digitale: l’e-book.
Chi l’avrebbe detto: anche le strenne delle banche, quei libroni che da soli simboleggiano il “peso”, la forza economica, dell’istituto di credito, possono essere contenuti in poche decine di bytes (kilo, mega, giga) e viaggiare essi stessi, oltre che invitare al viaggio, da una parte al’altra del mondo. Chiunque potrà leggerlo, goderne le belle immagini, linkare a qualche sito d’interesse, spedirlo ad amici vicini e lontani.  Chi l’avrebbe detto. Del resto, pochi anni fa nessuno avrebbe creduto se qualcuno gli avesse vaticinato che da casa avrebbe potuto fare operazioni sul proprio conto corrente, pagare le bollette, accreditare stipendi, acquistare e vendere titoli. Oggi il servizio on line di una banca è discriminante per il suo successo e definisce la qualità dei suoi servizi. Nel caso di qualche istituto di credito è esso stesso la ragione stessa del successo. E risiede solo lì, nei servizi di home banking, il suo essere e fare banca. Le banche di credito cooperativo, per fortuna, no. Credono ancora nella forza della “banca della comunità”, che rimane accanto cioè alle famiglie, alle imprese, che possono stare tranquille che i loro soldi sono lì vicini. Ma che possono comunque utilizzare il pc, e adesso anche lo smartphone, per entrare nella loro banca. Ecco quindi che la “nuova”, sebbene di radici antiche,ChiantiBanca continua a fare la classica strenna ma non rinuncia a sperimentare nuove forme di comunicazione. Perché una cosa in tutti questi anni di rivoluzione digitale l’abbiamo capita e imparata tutti. Ogni innovazione va utilizzata ma nessuno (o quasi) strumento precedente viene completamente sostituito, se non dopo molto tempo (pochi mesi fa ad esempio ha chiuso in Asia l’ultima azienda che produceva macchine da scrivere). Chi ha cantato troppo presto il de profundis per i libri cartacei dovrà, quindi, aspettare ancora un po’.

Ma veniamo a “Nel Chianti con gli occhi aperti”. Un titolo fortemente evocativo, che richiama subito alla mente il celebre romanzo di Federigo Tozzi (“Con gli occhi chiusi”), ambientato nella campagna senese, ed inserito a buon diritto quest’anno, al Salone del libro di Torino, nell’elenco dei 150 libri che hanno contribuito a fare l’Italia e gli italiani. Certamente la indicazione di visitare “con gli occhi aperti” il Chianti ci dice molto sul contenuto del volume che vuole suggerire più che istruire, che tende più a proporre che a insegnare. Messe al bando le cattedre e gli insegnamenti, che allontanano più che avvicinare, gli autori (Mèsy Bartoli e Roberto Cacciatori) sembrano accompagnare per mano i lettori in questo viaggio, una sorta di pellegrinaggio lungo le strade che da Firenze conducono a Siena (e viceversa).

Già, Firenze e Siena. Guelfi e Ghibellini. Così vicine e così nemiche. Chissà se Joseph Conrad conosceva la loro secolare vicenda nello scrivere il suo celebre racconto “I Duellanti”, la storia di due soldati ussari legati dallo stesso destino: sfidarsi a duello tutta la vita, senza avere nemmeno il ricordo del motivo del loro primo odio. Eppure la storia di questa terra è per tanti versi omogenea e uniforme, sia che si guardi dal versante senese che da quello fiorentino. Lo stesso paesaggio che oggi si ammira ci racconta di castelli, comuni, pievi, strade, artisti, banchieri, economie che hanno avuto le stesse origini, spesso a costruirle furono gli stessi uomini. Non cambia in effetti la parlata nei pochi chilometri che separano Firenze da Siena, casomai a tradire l’appartenenza alla Repubblica senese o alla Signoria fiorentina è in qualche caso la calata, tendente al fiorentino laddove maggiore fu la influenza della città del giglio, come a Staggia, per strana sorte chiamata “senese”, o a San Gimignano, autentiche spine nel fianco di Siena e oggi ormai integrate nel territorio provinciale senese.

La partenza del viaggio è suggerita da Piazza della Signoria fino ad arrivare in Piazza del Campo. Due delle piazze più famose al mondo, legate tra loro da un unico filo: anche i duellanti amavano il bello e si sfidavano nel realizzarlo. In mezzo alle due piazze c’è la strada. In questo caso due: la Cassia e la Chiantigiana, entrambe che affettano in verticale questo lembo di Toscana. Una, per secoli, ha assicurato commerci, pellegrinaggi, il passaggio di eserciti e milizie, imperatori e re, papi. La Cassia “Adrianea” era una variante della consolare Cassia, voluta nel 123 d.C dall’Imperatore Adriano per abbreviare i tracciato da Chiusi a Firenze, tagliando fuori Arezzo. La seconda, almeno nel tracciato giunto sino a noi, fu finita di costruire nel 1843 ad opera del Granduca di Toscana, fortemente voluta dal barone Bettino Ricasoli e dagli aristocratici dell’epoca per agevolare i collegamenti con l’allora capitale del Granducato, Firenze.

C’è in questo senso un bel documento di un viaggio nel Chianti del Granduca Pietro Leopoldo nel luglio 1773 che parla di strade “sassose, scoscese e pessime”, e, nel tratto tra Ama e Brolio parla di “otto miglia di cattiva strada, tutta sassosa, di salite e scese”. Ebbe buon gioco il barone Ricasoli a chiedere interventi di miglioramento. Si può così dire che la Chiantigiana, per come la conosciamo oggi, è forse una delle prime infrastrutture moderne della Toscana, nata anche e soprattutto per agevolare lo sviluppo economico locale e facilitare così il commercio del vino. Non di un prodotto a caso, ma di quello che già all’epoca era considerato come possibile volano di sviluppo economico e che, nel tempo, è stato causa del successo e della fama nel mondo di quest’area.

Sempre il Granduca Pietro Leopoldo annota poi che la regione era ben coltivata, ricca di vigneti che producevano “vini squisiti”, con ville-fattorie e case coloniche di solito “in buon grado di conservazione”. Già ai primi dell’800, infatti, dicono gli storici “la coltivazione del grano aveva ceduto il primo posto a quella della vite” che oltretutto “veniva praticata con metodi accurati e tendenti alla qualità più che alla quantità del prodotto”. E oggi, per fortuna, il vino Chianti è ancora uno dei prodotti di punta del nostro Made in Italy; uno di quei prodotti che potranno pure copiarci all’estero ma che non potranno mai riuscire a separarlo da questa terra dove il Sangiovese matura e si trasforma in vino, ce lo insegnano i francesi con il terroir.

Poi c’è la storia di questi borghi, città, castelli, manieri o case coloniche, chiese, certose o monasteri. Ognuna con una storia da raccontare, storia che può affondare le sue radici nei secoli. E che raccontano la presenza di grandi artisti, scrittori (Machiavelli), santi come Lucchese, primo fratello laico di San Francesco fondatore del “Terz’Ordine, ma anche di navigatori, come Giovanni da Verrazzano, nato a Greve e scopritore della baia di Hudson su cui in seguito sarà costruita New York. Insomma, il creatore di un parco divertimenti che volesse avere come tema la storia dell’umanità non avrebbe che venire qui e semplicemente prendere appunti. È tutto scritto, è tutto sotto gli occhi di tutti, basta avere gli occhi ben aperti. 

Basta solo osservare le bellissime immagini qui pubblicate. Ogni angolo di questa terra porta dentro di sé il ricordo di avvenimenti storici che appartengono non solo alla storia locale, bensì alla storia dell’uomo, della civiltà occidentale. Devono avere avuto un bel daffare l’editore e il curatore del volume a selezionare le foto perché i soggetti si prestavano per tanti scatti e su ognuno si è pure tornati più volte, con la luce del mattino, della sera, col cielo terso o con nembi e cumuli, sempre per raccontare una visuale inedita, un particolare che magari era sfuggito a chi già conosceva il posto.

Le foto a volo d’uccello poi hanno un fascino tutto speciale. E non sono io la persona più adatta per descriverne la bellezza. Posso dire che si rimane incantati a vedere dall’alto luoghi conosciuti e più volte calpestati. C’è spazio anche per una foto che racconta tracce dell’epoca fascista. Una testimonianza del tempo non cancellata dall’uomo e che ha il suo perché. Del resto, in queste terre siamo stati abituati a non buttare nulla, come del maiale. E dunque che si conservino anche le scritte della propaganda del regime. Anche loro posso servire a monito per le generazioni future. Non è cancellando il passato che si scrive il futuro, ma casomai conoscendolo a fondo.

Questo libro ci aiuta a conoscere un po’ più a fondo una terra che crediamo di conoscere ma che merita ancora da parte di ognuno maggiore attenzione. Una terra all’apparenza ricca oggi ma che ha conosciuto miseria e povertà, e ve ne sono tracce evidenti ad esempio nei cibi della cucina tradizionale, tutti poveri e composti prevalentemente di pane e verdure. Dicevo che ci aiuta e ci invita ad approfondire. Come è da augurarsi che voglia fare la ChiantiBanca. Se il richiamo al romanzo di Tozzi non è solo un facile gioco di parole, è immaginabile che ci sarà un seguito. Quello, infatti, fu per lo scrittore il primo di una fortunata trilogia, seguirono Tre croci e Il Podere. E c’è da augurarsi che altre strenne e altri e-book arrivino a raccontarci questo straordinario territorio.

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Michele Taddei, giornalista, si occupa di comunicazione pubblica, socio fondatore di Agenziaimpress e Primamedia. Ha pubblicato “Siamo onesti! Bettino Ricasoli. Il barone che volle l’unità d’Italia” (Mauro Pagliai editore, 2010), "Scandalosa Siena" (Edizioni Cantagalli, 2013), "Cuore di Giglio" (De Ferrari editore, 2016), Siena bella addormentata (Primamedia editore, 2018), "Steppa...

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