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Cronache sportive, tra tecnicismi ed epicità

24/10/2011

L’ora è tarda. Il barista ha ammainato a mezz’asta la saracinesca e con essa un altro giorno di ovvietà, là dentro consumatesi ad esorcizzare le brutte evenienze di quando la vita smette, sì, di essere banale ma per lanciarti qualche tegola in testa. Alla definitiva archiviazione della giornata resiste sul bancone un quotidiano sportivo, intristito da maneggi e frittelle. E così ridotto se ne sta con i suoi titoli sgualciti, ma non del tutto domi, ad annunciare cose quasi fossero guerre, intrighi, diplomazie, arrivi e partenze di eroi trascinanti con sé allori e polvere. Perché tale è il linguaggio con cui si racconta lo sport. Un divertente intreccio di tecnicismi ed epicità. Ecco allora che si “lotta fino all’ultimo respiro”, il campo avversario viene “espugnato”, la squadra riduce l’antagonista “ai propri piedi”, è “aggressiva” e se non lo è “manca di cattiveria”. L’etnia del giocatore vale un rito battesimale, dunque lui è chiamato “il serbo”, “l’argentino”, al pari de “l’ispanico” che non a caso era il nomignolo dell’aitante gladiatore nell’omonimo film di Ridley Scott. In tale festival dell’iperbole eccellono indubbiamente le cronache calcistiche, subito seguite da quelle della pallacanestro che, forse proprio perché giocata dentro un’asfittica arena, evoca quanto mai corpi a corpi madidi di sudore.

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Luigi Oliveto

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