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Domenica 22 aprile a Certaldo la storia di Bartali, eroe e giusto

20/04/2012

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Gino Bartali non fu solo un grande sportivo e un toscanaccio amato da tutti gli italiani. Fu anche un uomo giusto e un eroe. Negli anni delle persecuzioni razziali, infatti, non ebbe timori di nascondere nella sua cantina di casa a Firenze un'intera famiglia di ebrei, rischiando la vita. E anche dop essere diventato un campione non smise mai di aiutare gli ebrei, ad esempio portando da un posto ad un altro documenti falsi durante i suoi allenamenti «lunghi». E non ne fece mai parola con nessuno e non se ne vantò nemmeno con i familiari più stretti. La notizia, infatti, venne alla luce solo quando il grande Gino era già scomparso da anni.

La presentazione Oggi, di quella vicenda, ne è stato tratto un libro “Bartali e la Shoah. Campione di ciclismo e umanità” a cura di Angelina Magnotta, edito dalla Regione Toscana, che intende promuovere un movimento d'opinione pubblica per far riconoscere Bartali come “Giusto fra le Nazioni”, ed avere così un simbolico riconoscimento ufficiale nello Yad Vashem a Gerusalemme, uno dei luoghi della memoria più sacri al popolo ebraico. Domenica 22 aprile il libro sarà presentato a Certaldo (ore 17.30, saletta di via 2 Giugno) dall'autrice, introdotto da Francesca Allegri. Seguirà la video presentazione “Immagini di Certaldo al tempo di Bartali”, a cura di Massimo Tosi.

I salvati da Bartali tratto dal libro: «Uno dei motivi per i quali Bartali, persino con i propri familiari, non aveva svelato di far parte della rete di salvataggio degli ebrei, diretta a Firenze dal cardinale Dalla Costa, era dovuto all’esigenza di proteggere in qualche modo i familiari nel caso fosse stato scoperto: nulla essi avrebbero potuto dire perché nulla sapevano. Anche per i suoi di casa il Campione usciva per i «lunghi», vale a dire per gli allenamenti di centinaia di chilometri, a causa dei quali talora non rientrava per giorni. Ed era vero: i «lunghi» servivano per tenersi allenato in vista della fine della guerra e della ripresa delle gare nazionali ed europee di ciclismo. Senza gli allenamenti non avrebbe potuto parteciparvi: ma gli allenamenti erano anche finalizzati ad altro, alla sua attività segreta di salvatore, al tempo in cui persino la parola era inesistente. La sera in cui fu arrestato e sottoposto ad interrogatorio nei sotterranei di quella che ancor oggi i fiorentini chiamano “Villa Triste”, sulla via Bolognese, a salvarlo fu solo la notorietà conquistata nelle competizioni sportive risapute in tutto il mondo, per le strepitose vittorie del Giro d’Italia del 1936 e del 1937 e del Tour de France del 1938. Infatti, grazie al suo ascendente su alcuni fascisti suoi ammiratori, fu liberato dopo solo qualche giorno, rientrando in possesso della bici, passata per le stesse mani dei torturatori, col suo prezioso e ben nascosto carico di carte d’identità false per gli ebrei. La perquisizione non avvenne, la fama di campione aveva salvato la sua vita, quella dei suoi familiari e quella di centinaia di persone, quelle che il mondo ha poi chiamato “salvatori” e “salvati”».

Michele Taddei

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