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Tra le ricorrenze già annotate sul calendario del 2012 non passerà inosservato il centenario della morte di Giovanni Pascoli (Bologna, 6 aprile 1912). Il poeta del “fanciullino”, della fede positivistica nell’esistenza delle “cose”, del trauma patito per l’assassinio del padre che segnerà in maniera indelebile la sua psiche e il suo universo poetico. Le celebrazioni centenarie ci daranno modo di ripensare a questo letterato che, insieme a Gabriele D’Annunzio è ritenuto il maggiore poeta decadente italiano. Ma qui ne vogliamo parlare solo per un piccolo inserto biografico di natura squisitamente senese. Pascoli, infatti, soggiornò a Siena, per una settimana, nell’agosto del 1862, quale membro di una commissione ministeriale che doveva assegnare alcune borse di studio. Il ministro della pubblica istruzione era all’epoca Ferdinando Martini e l’incarico al Pascoli fu possibile grazie ai buoni uffici di Guido Biagi. Proprio agli inizi di quell’anno era uscita la seconda edizione di “Myricae” e il trentasettenne Giovanni, già allievo di Giosuè Carducci, insegnava da circa sei anni al Liceo-ginnasio “Guerrazzi e Niccolini” di Livorno dove sarebbe rimasto fino al 1895. Nella città labronica ebbe modo di frequentare, tra gli altri, Giovanni Marradi, Ottaviano Targioni-Tozzetti, Pietro Mascagni. Il timido docente di liceo si era pure innamorato della figlia di un musicista, tale Lia Bianchi, ma l’infatuazione non avrebbe avuto esiti concreti.
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