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Nel corso di un secolo non è mutato di molto, all’apparenza, il volto severo del versante senese della montagna amiatina. Ma la vita della gente è da un trentennio ben diversa dal tempo dell’egemonia della miniera, quando una vita parallela si snodava sotto la dura scorza del monte scavato e percorso da cunicoli chilometrici, oggi abbandonati. Le abitudini delle persone sono ormai quelle di una popolazione di montagna: una montagna ricca di castagneti e povera di campi coltivati la cui popolazione è ridotta, più che in ogni altra area senese, proprio per l’esaurirsi della coltivazione del mercurio, il vivo liquido argenteo che tutto ha pervaso per quasi un secolo (fino all’ultimo decennio del ‘900), spargendo ovunque non avari ma amari beni materiali, richiamando gente dai paesi vicini ma producendo sofferenza in termini di sacrificio della salute e della vita di migliaia di operai. La vicenda operaia più che secolare della gente amiatina ne innerva un capitolo permeato dal proverbiale malessere sociale degli abitanti di una plaga importante e “diversa” del senese e dalla rabbiosa voglia di redenzione che sempre ha animato la gente nata e vissuta tra la Fiora “malinconica” e l’Orcia senese usurpata dal comune dominatore di una monocultura lavorativa, raccolta in pochi paesi di grande rilievo storico, immersi nella morfologia di un massiccio isolato. Anche la storia del lavoro resta avara, scontrosa; e, in tal senso, è determinante l’epopea del XX secolo incentrata nella escavazione e nella lavorazione del mercurio.
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