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“La mafia è un concime dove trova terreno fertile”. Parla Francesca Barra

28/05/2012

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Insieme alla sorella del magistrato ha scritto un libro a quattro mani dal titolo “Giovanni Falcone. Un eroe solo” che si pone l’obiettivo di dare un’immagine privata, intima, meno eroica e più umana di chi ha “donato” la propria vita alla lotta alla mafia. Nel ventennale delle stragi di Capaci e di via D’Amelio, a una settimana dall’attentato di Brindisi, Francesca Barra incontra insieme a Maria Falcone gli studenti in ogni parte d’Italia per trasmettere ai più giovani un messaggio di speranza e rivendicazione della verità per combattere le mafie. Un messaggio che ha ereditato direttamente dall’esperienza di scrivere un libro sulla figura di Giovanni Falcone.
“Se io avessi raccontato soltanto la cronaca – racconta Francesca Barra -, mostrato i documenti o gli articoli di giornali che evidenziano le capacità giuridiche e professionali di Giovanni Falcone non sarei arrivata ai giovani e i nostri interlocutori sono le nuove generazioni. Su questo mi sono trovata perfettamente in sintonia con la signora Falcone nell’intento comune di far capire ai giovani che loro possono cambiare il mondo in cui viviamo, che le distanze si possono accorciare e che queste figure di riferimento alla fine sono stati delle persone normali come loro nella vita di tutti i giorni. Hanno semplicemente avuto la capacità e il talento di guardare oltre. Non esiste il grande uomo perché fa un grande lavoro, possiamo tutti esserlo. Ecco perché abbiamo voluto raccontare in questo modo il giudice Falcone”

Quale è stata l’esperienza più bella nel rivisitare, al fianco di sua sorella, la figura umana di Falcone?

“Innanzi tutto trovarsi occhi negli occhi con la sorella di uno dei più importanti uomini che il nostro Paese abbia mai avuto e sapere che Maria Falcone è una delle poche testimoni private, intime della sua vita. Così come mi ha emozionato vedere i ricordi personali del Giudice, i suoi libri che spaziavano dalla musica classica al giardinaggio, sfiorare quei volumi è stato un po’ come entrare non solo nella memoria ma nella loro vita. E’ stato poi commovente rendermi conto di aver trovato in Maria Falcone, anche di fronte ad una grandissima sofferenza, una persona instancabile con una gran voglia ancora di raccontare. Non avrei potuto scrivere un libro del genere da sola perché sarebbe risultato semplicemente un lavoro d’inchiesta”.

Il monito del presidente Napolitano sul rischio che la violenza stragista può ritornare. Come interpreta queste parole?
“Dietro dobbiamo leggerci un allarme per le istituzioni affinché facciano chiarezza con urgenza. Il presidente Napolitano ha dato un nome ad una paura che viviamo. Tutti abbiamo avuto timore di fronte a ciò che è successo a Brindisi ed io reputo molto pericoloso far passare un messaggio come quello che la mafia non avrebbe mai fatto una cosa del genere perché è solita cercare il consenso. Non dimentichiamo che la mafia ha ucciso bambini, ha sciolto nell’acido donne e tutto questo non credo che sia cercare consenso. Non facciamo passare per signori i mafiosi e soprattutto non facciamo passare come “scemo del villaggio” la persona che ha azionato il telecomando”.

Facendo un paragone tra l’attualità e la situazione politica, economica e sociale di vent’anni fa, ci sono tante similitudini. Quanto è alto il rischio che le organizzazioni mafiose prendano ancor più vigore oggi?
“Ci sono molte similitudini con gli anni in cui si sono compiute le stragi di Capaci o di via d’Amelio ma credo anche che la partecipazione, le marce, le piccole rivoluzioni dei giovani in atto siano un segnale forte. Sono fermamente convinta che là dove c’è il bene ci sarà sempre anche il male ma possiamo sviluppare strumenti per poterlo contrastare. E adesso li abbiamo, insieme ad una cultura e ad una consapevolezza differenti. La mafia è un concime e fa crescere frutti e fiori là dove trova terreno libero e fertile. A noi il compito di non lasciargli terreno”.

Resta il fatto che le stragi di Capaci e di via D’Amelio siano casi ancora irrisolti…
“E’ giunto il momento di fare nomi e cognomi e di dare delle risposte. Bisogna scandagliare sui servizi deviati dello Stato che avevano delle teste. Questo è un compito che non possiamo assolvere tutti perché non tutti ne abbiamo le competenze ma il dovere di ognuno di noi è quello di chiedere con fermezza delle risposte. La trattativa Stato-mafia non si concretizza mai in una definizione, dietro ci sono stati degli uomini e di questi dobbiamo sapere i nomi”.

Chi sono allora questi nomi? Si è fatta un’idea toccando con mano le carte del giudice palermitano?
“Ipotesi ce ne sono tante e in questo momento fare dei nomi sarebbe pericolosissimo per la mancanza di prove certe. Sicuramente di personaggi che hanno avuto rapporti con la Mafia nel nostro Parlamento ce ne sono stati e ce ne sono ancora. Non è possibile per questo pensare che il nostro sistema sia pulito”.

Come si sono evolute mafia e antimafia negli ultimi 20 anni?
“L’antimafia ha investito molti ruoli. Ci siamo sentiti tutti più responsabili. Abbiamo cominciato a raccontare in radio e tv, a scrivere libri a indignarci. L’antimafia ha voluto parlare alla gente, è stata più presente. La mafia è peggiorata, non c’è stata solo mafia, ma Camorra, Ndrangheta, Sacra Corona Unita. E il pericolo è che queste mafie suscitino l’attenzione solo quando ci sono episodi determinanti. Se noi ci distraiamo concentrandoci solo su una, l’altra prenderà il sopravvento. Come se la nostra distrazione facesse il loro gioco. Ora è così con la Sacra Corona Unita. Non dimentichiamo che fino a qualche anno fa la mafia non esisteva secondo chi ci deve rappresentare e informare. Oggi le cose sono cambiate grazie alla determinazione di chi ha voluto parlare. Un’eredità di Falcone e Borsellino”.

In questa evoluzione della lotta alla mafia, quale è la più grande eredità lasciataci da Falcone e Borsellino?
“Prima di tutto le leggi e il metodo d’indagine a 360 gradi. Dopo di loro abbiamo meno isolamento, più partecipazione e amore per la nostra terra”.

Quale è la frase più bella che ha appreso da Falcone?
“Ce ne sono tante. Su tutte la risposta alla domanda “ma chi glielo fa fare?”. Lui rispose semplicemente “Lo spirito di servizio”. La stessa frase è quella che ho usato per spiegare ai miei genitori il mio lavoro che è anche ricerca di una bellezza etica, ma io lo faccio per spirito di servizio. Quando mi chiedono se ho paura, rispondo così. E quello che faccio lo faccio per mio figlio che ha 6 anni”.

Cristian Lamorte

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