Dopo romanzi, sceneggiature, testi umoristici di successo, Alessandro Bini torna in libreria con una raccolta di poesie che propone una visione limpida della realtà e comunica in modo diretto e lineare immagini di grande impatto e forza evocativa. Gli abbiamo rivolto qualche domanda su “Partiamo dalle nuvole” (Polistampa).
La poesia è l'espressione più alta dell'animo umano, oggi assai meno frequentata rispetto al passato eppure sempre presente. Come nasce la raccolta Partiamo dalle nuvole e cosa ti ha spinto a misurarti con la forma poetica dopo romanzi, sceneggiature e testi umoristici?
Intanto premetto che non credo che scrivere delle poesie basti a definirsi poeta, io ad esempio non mi sento tale, anche se ho iniziato il mio variegato e discontinuo percorso di produzione letteraria proprio dalla poesia. Per cui ci ho pensato parecchio, prima di pubblicare questa raccolta. Certo è difficile dire chi e cosa sia un poeta. Dovrebbe essere qualcuno che percepisce l’esistenza o alcuni aspetti di essa in una maniera sua peculiare.
Voglio dire, attraverso una sensibilità insolita, un disagio, una inquietudine, che in molti casi può anche rientrare nella sfera del disturbo psicologico, come sappiamo. Il rischio, per me, era finire in tutto quel vasto mondo della “poesia da aperitivo”, per così dire. Credo che l’espressione renda l’idea di cosa voglio intendere. Atteggiarsi a poeti piace ancora. Magari fai il manager, sottopaghi o licenzi la gente ma poi scrivi poesie e ti senti ancora più figo.
Dunque, stabilito che non sono un poeta, credo che la mia esigenza di scrivere ogni tanto una poesia scaturisca da un momento particolare dell’animo, un piccolo personale istante di grazia che richieda un mezzo espressivo specifico idoneo che di solito non adopero. Forse in queste occasioni se sapessi suonare il violino farei quello, in alternativa, ma non lo so suonare.
Caterina Ceccuti nel testo critico introduttivo osserva: "Non sono sicura di quanto tempo abbia impiegato Alessandro Bini per costruire la sua raccolta di poesie. Perché nonostante la freschezza di certi passaggi e la naturalezza logica che li collega alla struttura complessiva della narrazione, immagino siano stati diversi anni. È poesia, ma è anche e soprattutto narrazione quella che ho incontrato nelle pagine di questa collezione. Una narrazione introspettiva che ha richiesto un lungo tempo di decantazione e approfondimento". Quanto tempo occorre per scrivere poesie e quanto è stata lunga la gestazione di Partiamo dalle nuvole?
Caterina ha ragione, ci sono voluti anni. Proprio perché come dicevo scrivere poesie non mi è usuale. Una gestazione quindi lunghissima e in fondo neanche tanto programmata. Nel senso che l’idea di raccoglierle in un volume è molto recente. Per farlo le ho un po’ risistemate, ma proprio un minimo. Per me la parte curiosa di questa operazione è stata notare come il mio modo di percepire il mondo e la vita si sia trasformato attraverso gli anni.
Non posso usare il termine cambiato, perché nel complesso un convinto pessimista ero e un convinto pessimista sono rimasto. Ma ho potuto notare come le mie priorità nel sottolineare certi aspetti del vivere siano un po’ mutate. Leggendole nell’ordine nel quale ora si trovano sul libro questo non lo si può cogliere, perché non ho seguito un ordine temporale, ma io lo so.
Erika Bresci nel suo testo critico nota come la parola "respiro" torni spesso nei tuoi componimenti. Scrive al riguardo: "Respiro che può farsi sospiro (di prato o di amore, indifferentemente), respiro capace di rallentare gli affanni, respiro che si fa grato alle stelle per riuscire ad affrontare, vedere con altri occhi il buio. Respiro che, per colpa dei miei studi classici, non posso non associare a quello pneuma (Πνεύμα) che per i Greci (e penso un po’ anche per Alessandro) indica quel soffio vitale così semanticamente affine all’anima (Ψυχή), qui spesso rincorsa, graffiata, (dis)illusa, ma che ancora ha voce per ricordare – e provare un brivido d’incanto, quando s’accende la magia – la sua presenza.". Che valenza poetica assume per te il "respiro" quindi?
Quello che dice Erika è giusto, il Respiro per me è importante. Anche se non ci pensiamo quasi mai è il sottile spartiacque tra la vita e la morte. Ed è giusto l’accostamento che lei fa all’Anima, nelle mie poesie. Non posso definirmi un credente, quindi non credo all’anima nella sua accezione cristiana. Né a qualcuno che ci ha messi qui e del quale siamo i figli prediletti.
Temo che quelle siano tutte cose che ci siamo detti da soli, perché siamo delle bestie orribili ma ci scoccia da morire ammetterlo. Forse la mia idea si avvicina al panteismo, avverto che il mondo non è solo quello che vediamo, c’è molto da percepire, se si resta in ascolto. Quello che sappiamo con certezza è che esistiamo in un tutto unico, le creature qui vivono e muoiono, e oltre il sottile strato dell’atmosfera c’è il vuoto. C’è già tutto il misticismo e la religiosità che volete, in questo.
Da ormai alcuni anni ti misuri anche con l'arte pittorica con risultati notevoli: partecipazioni a mostre e testi critici pubblicati dimostrano che ti vengono riconosciuti talento ed estro creativo. Uno dei tuoi lavori appare anche in copertina. Quali sono i punti di contatto tra il tuo modo di dipingere e la tua maniera di comporre in versi?
La pittura in effetti è una scoperta recente. Ed è soprattutto un grande divertimento, anche se certo comporta impegno. Ho sempre disegnato, ma non avevo mai considerato l’idea di mettermi a dipingere. Tutto è nato da un corso di un anno, che mi è servito a mettere a fuoco cosa mi sarebbe piaciuto fare. Per rispondere alla domanda, credo che come la poesia sia un mezzo adatto ad andare in piccole zone dove non me la sento di andare con la narrativa, la pittura mi serva a guardare in direzioni ancora diverse. La mia pittura è figurativo/surrealista, ed è quindi meno legata alla realtà di quanto lo sia la mia scrittura. Ma ho sempre la necessità di esprimere qualcosa, non cerco mai soltanto l’estetica. Quindi forse il contatto tra la poesia e la scrittura sta nella ricerca, per quanto posso, di quel certo tocco di... stupore?
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