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A volte il linguaggio può tradire anche le buone intenzioni. Capita, infatti, di usare compiaciute espressioni attraverso cui traspaiono mentalità, pregiudizi, ambiguità che vanno come a smentire quanto, invece, si intenderebbe far passare di noi per procacciarci le moine dell’altrui approvazione. La lingua usurata della quotidianità ne offre un ampio repertorio. Pensiamo a quello zuccheroso “la mia dolce metà”, per alludere ai nostri partner in amore senza i quali – a detta di ovvietà – ci mancherebbe un buon cinquanta per cento ad essere “interi”. Sù via, ma quale “metà”! Nel rapporto uomo/donna (solitamente a quello facciamo riferimento) non si procede certo per “assemblaggio”, non ci si “acquisisce” al fine di guadagnare una completezza, poiché l’uno e l’altra sono in sé persone differenti e già compiute. Dunque, al di là della smanceria, parlare di “dolce metà” pare rivelare più un’idea di possesso che di reciproca appartenenza, quale è da ritenersi un tenero e maturo rapporto di coppia. L’amore di un uomo e di una donna non è affatto una somma, anche se – bizzarra algebra del sentimento amoroso – quando uno dei due viene a mancare, si avverte, eccome, il computo della sottrazione.
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