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L’assurdità più drammatica dell’esperienza umana è il dolore. Quel dolore paradossalmente ‘necessario’ per conoscere appieno le cose della vita. Giacomo Leopardi che molto ebbe da riflettere su questo tema, scrisse: “Da principio il mio forte era la fantasia. Non avevo ancora meditato intorno alle cose e della filosofia non avevo che un barlume. La mutazione totale mi inseguì dentro un anno – cioè il 1819 – dove, privato dell’uso della vista e della continua distrazione della lettura, cominciai a sentire la nuova infelicità in un modo assai più tenebroso. Cominciai ad abbandonare la speranza, a riflettere profondamente sulle cose, a divenire filosofo di professione, da poeta ch’io era, a sentir l’infelicità certa del mondo, in luogo di conoscerla”. Ecco svelarsi la sofferenza come chiave di accesso all’apprendimento dell’esistere, alla profondità dell’anima (usiamo pure questo termine generico con cui si è soliti definire quanto dentro di noi avvertiamo – ànemos, ovvero soffio – che giustappunto come il vento è reale ma imprendibile).
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