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Con le recenti celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, è stato richiamato più volte il cosiddetto romanzo storico che, giusto nell’Ottocento, svolse una indiscutibile funzione nell’alimentare ideali ed amor patrio, mito romantico dell’eroe, educazione ad una morale e a sentimenti, spinti talvolta fino al patetico. D’altra parte – e compatibilmente con il grado di alfabetizzazione degli italiani – si trattava di una produzione letteraria destinata al ‘largo’ consumo (popolare e populista) che ambiva ad uscire dal ghetto della ‘letteratura di intrattenimento’, collocandosi sulla nobile scia di quei Promessi sposi in cui si era saputo coniugare qualità e popolarità. Sorprese, infatti, quando nel 1845 Manzoni giunse a sconfessare se stesso scrivendo il saggio Del romanzo storico ed in genere de’ componimenti misti di storia e invenzione, e argomentando come il limite di tali libri stesse proprio nella loro inattendibilità storica, nell’alto tasso di falsità in essi contenuta.
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