Se della letteratura amate le rarità, non tralasciate di leggere – quando ve ne capitasse l’occasione – le poesie di Christina Rossetti (1830-1894), nata e vissuta in Inghilterra. Sua madre, la francese Frances Polidori era sorella di John William Polidori, medico di Lord Byron; il padre, Gabriele Rossetti, letterato italiano, militante nella Carboneria e fuggito a Londra nel 1821 (numerosi transfughi e rivoluzionari trovarono rifugio nella casa londinese dei Rossetti); il fratello Dante Gabriele fu uno dei pittori fondatori del movimento preraffaellita. Erroneamente ritenuta poetessa per l’infanzia (celebri le filastrocche intitolate “Sing-Song) o autrice sentimentale per antologie tipicamente vittoriane, Christina Rossetti è risultata essere scrittrice più complessa delle apparenze, tanto che, negli anni Settanta del secolo scorso, le sue poesie vennero riscoperte e riproposte dalla cultura femminista. Così come, da quei testi, emergono solide radici letterarie che trovano linfa e innesti in Shakespeare, Tennyson, John Donne. La Rossetti condusse una vita molto appartata, ed anche per questo è stata spesso paragonata alla sua contemporanea Emily Dickinson. Certo è che con Emily condivise un dolente sguardo sulle cose, un rimpianto verso tutto ciò che svanisce, perché “imprudente colsi la mia rosa / troppo presto, e il mio giglio, ahimè, recisi”.
Figlia di Eva
Stolta io che dormii nel mezzogiorno
e la notte vegliai l’arco del cielo
sotto una luna fredda e sconsolata:
io che imprudente colsi la mia rosa
troppo presto, e il mio giglio, ahimè, recisi.
Della mia aiuola non mi son curata
ed ora ha i fiori vizzi e appassiti –
ora piango e mi sento disperata:
dormii nei giorni dell’estate,
e in pieno inverno mi sono destata.
Annunciami una nuova primavera,
ti prego, e calda luce da domani –
ogni fiore sfuggito alle mie mani,
senza speranza di riso o di canto,
sola rimango – sola col mio pianto.
[da Il mercato dei folletti di Christina Rossetti, a cura di Silvio Raffo, RCS, 2012]