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Cose che ti dico mentre dormi. Quando tenera è la notte

È di notte che la vita si fa meglio consapevole di sé stessa. Riorganizza pensieri, sentimenti, sensi di colpa. Nelle case persino gli oggetti sembrano finalmente pacificati, tutto risulta intimo, collimante col nostro esistere. Allora dormire pare tempo sprecato. Gratifica, invece, stare desti, vegliare sul sonno di chi ti vive accanto o di quanti ci sono comunque prossimi. È quello il tempo dei cedimenti: alla tenerezza, alle rimostranze, all’ironia.

Muove da un siffatto stato di grazia il libro “Cose che ti dico mentre dormi” di Enrica Tesio (Bompiani). Una lunga confidenza sollecitata dagli sguardi su coloro che la narratrice ama e che – visti così arresi al sonno, smarriti in chissà quale sogno – divengono destinatari anche delle parole più difficili. Il primo di questi monologhi è rivolto alla madre, il cui dormire non conosce ormai risveglio. Ma nella notte che rende incerto il confine tra presenti e assenti, le parole – fluviali, affettuose, buffe – suturano qualsiasi distanza, all’occorrenza suonano come un rincuorante ninnare: “Ninna nanna di chi se n’è andato / Di notte ti manca da togliere il fiato / I fantasmi si svegliano se spegni la luce / Ciò che vita ti strappa, il sogno ricuce”.

È poi la volta del mai arreso padre, ‘il professur’ che perfino nelle chiacchiere quotidiane usa termini come ‘esiziale e ‘asfittico’, e che asfittica ha reso la casa di famiglia assiepandola di libri. Un discorso da donna a donna è rivolto all’indirizzo della figlia, prossima, giustappunto, a diventare donna con tutto ciò che ne consegue. Mentre il figlio maschio sta surfando sulle onde dell’adolescenza, e gli equilibri sono ovviamente precari, figuriamoci se visti con gli occhi di una madre, per quanto lungimiranti provino ad essere.

Non meno laboriosi sono gli equilibri di coppia, e dunque le parole dirette al grande amore della vita, fino a chiedersi: “Quanto puoi amare una persona che dorme? Inerme, perfetta, pacificata, tua. Ma anche quanto puoi detestare una persona che dorme? Che ti giace accanto senza farti compagnia, cocciutamente assente?”. Al censimento degli affetti non sfugge, infine, l’amica purtroppo lontana, con la quale veniva facile confrontarsi, trovare sponda ai propri pensieri e paturnie.

La scrittura di getto non esiste, ma le pagine di Enrica Tesio mantengono una freschezza sorgiva, con il loro flusso colloquiale, l’agile alternanza dei diversi registri (elegiaco, umoristico, introspettivo). Il tempo di metronomo di questi ‘notturni’ induce la pacificazione, l’acquietamento di quando, a forza di negoziare, cuore e ragione giungono a patti. Forse per esperienza diretta, sappiamo come ciò venga meglio di notte, allorché il mondo pare stringersi a una dimensione domestica. Ed è rassicurante sapere che possa esserci qualcuno pronto a presidiare il nostro sonno, vigilare sulla soglia dei nostri sogni.

***

Mia madre considerava la vita una condizione patologica che andava curata assumendo ogni quindici ore la medicina del dormire. La medicina del dormire poteva essere somministrata in dosi meno massicce anche durante il giorno, soprattutto in estate dopo il mare, nel primo pomeriggio. Il sonno imposto mi faceva storcere il naso come uno sciroppo troppo stucchevole e pastoso, aveva la controindicazione di sottrarmi al mondo: dormire era noioso. Ci sono persone ancora cinque minuti e mi alzo e altre cinque minuti e vado a letto. Faccio parte della seconda categoria (il mio primogenito appartiene a tutte e due, ma è un’altra storia).

Da che ricordo sono quella che di notte ascolta gli altri respirare, come canta Vasco Brondi. Non posso dire che la responsabilità del sonno di chi mi circonda sia nata con i miei figli. Anche da bambina, accanto ai grandi, sentivo il cambio di marcia dell’aria fuori e dentro ai polmoni, quell’aria particolare che alimenta un corpo assopito e lo fa russare per attrito. Ho sentito dormire i miei genitori, mia sorella con i capelli di inchiostro sciolti sul cuscino bianco, i nonni, i cugini, gli amici, i fidanzati. Il mio primo amore chiudeva le mani in preghiera schiacciate tra le cosce come se si tuffasse dentro sé stesso.

Chi ha addormentato un neonato sa che è un rito sacro, dietro c’è un canto, un movimento ripetuto, l’eucarestia del latte, una preghiera. Svegliare un bambino è una bestemmia. Alle madri dicono di dormire mentre dormono i figli, che consiglio assurdo pensavo quando lo dispensavano a me. Se dormo quando loro dormono, allora quando dovrei vivere?

In coppia ho scoperto che il sonno è rivelatore. Quanto puoi amare una persona che dorme? Inerme, perfetta, pacificata, tua. Ma anche quanto puoi detestare una persona che dorme? Che ti giace accanto senza farti compagnia, cocciutamente assente? Che ti fa l’affronto di andarsene restando, lasciandoti a sentinella della tua solitudine. Il dormire è la prova del cambio di rotta delle relazioni: si inizia soffrendo l’assenza e si finisce per soffrirne la presenza. Letti troppo grandi che diventano troppo piccoli.

Sono oggi una Penelope al contrario. Penelope di giorno tesseva e di notte disfaceva, io di notte cerco il bandolo della matassa che il giorno ha il vizio di mandare a rotoli. Nel silenzio che arriva sempre più tardi, mi riapproprio della casa, piego i plaid sul divano, rimetto i giochi nelle scatole, i libri in pile dalla costola grande alla piccola. A volte non basta per pacificarmi, non è vero che la notte porti sempre consiglio, il peggio arriva quando mi addormento e mi risveglio alle tre, nel sottosopra. Siamo in tanti a trascorrere il tempo lì.

Nel sottosopra ci sono solo scadenze, bollette, moduli su moduli che rendono complicato il pagare, così alla fine pago e mi devo anche scusare. Ci sono cose che sono tenuta a sapere ma che nessuno è tenuto a dirmi, registri elettronici che consulto come un’amante disperata la chat con chi l’ha lasciata. C’è la paura di non esserci, di non farcela, di non arrivare, di non sorridere abbastanza. Ci sono i reflussi di coscienza, le azioni indigeste subite e compiute. Ci sono le storie che vorrei scrivere ma sono troppo grandi, non le ho vissute, allora scelgo storie più piccole, mi pare meno presuntuoso. Posso dire questo lo conosco, lo so raccontare, non sto rubando il dolore o la felicità di un altro, non sto barando, è roba mia. Come il sottosopra.

Quelle storie piccole alla fine le ho scritte, per farlo ho scelto il tempo del sonno perché porta in sé una magia: avvicina le persone lontane, che se chiudi gli occhi ti sembra di toccare, allontana le persone vicine, le scherma dietro una coltre di assenza. Sono sei monologhi, ninne nanne. Ninne nanne delle cose da niente, che sussurro di notte a chi non mi sente, e ogni sera mi trovo, nel buio, a implorare: amore, ora dormi, che ti devo parlare.

[da Cose che ti dico mentre dormi di Enrica Tesio, Bompiani, 2025]

 

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