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Destinazione errata. Un amore per caso

Ma il caso esiste? Voi quale circolo filosofico bazzicate? Quello che niente di quanto accade nella realtà ha una causa definita o l’altro dei deterministi, secondo cui gli accadimenti eccome se hanno una causa (causa-effetto) ancorché sconosciuta?

Nell’antica Grecia, dove la sorte era detta τύχη, stabilirono che si personificasse in Týche, una divinità non necessariamente perfida, talvolta pure dispensatrice di fortuna. Euripide, un deluso dalla vita, poeta sagace e bravo a volgere in tragedia le umane fragilità, non mancò, però, di evidenziare certe incongruenze: “O pensieri mortali o vano errare / degli uomini, / che fanno essere a un tempo / e la týche e gli dèi. Perché se c’è / la týche, che bisogno c’è degli dèi? / E se il potere è degli dèi, la týche non è più nulla”.

Insomma. Noi e solo noi pianifichiamo il nostro destino con scelte e fesserie varie? O nient’altro siamo che modesti notai di sé stessi, chiamati solo ad apporre firme su quanto, altrove, è stato deciso che debba capitarci? Il dubbio sussiste. Anche perché il caso sembrerebbe impicciarsi veramente di tutto. Pure delle cose più intime, come affetti, desideri, passioni. Provate a chiedere al protagonista di “Destinazione errata”, ultimo romanzo di Domenico Starnone, da sempre arguto indagatore dei sentimenti, delle loro contraddizioni e precarietà.

L’uomo che racconta la propria vicenda è un trentottenne, scrive sceneggiature per la televisione. È sposato da una decina di anni con Livia, donna intelligente, bella, realizzata nel suo lavoro. Hanno tre figli, il più piccolo di soli dieci mesi. Una coppia che, a sfida della routine matrimoniale, sa mantenere vivi ardore, reciprocità, affetto. Fino a quando lui, durante un trafficato pomeriggio che lo vede accudire i bambini mentre la moglie è fuori per un convegno, incorre in un banalissimo incidente.

Sta scambiando fitti messaggi di lavoro con la collega Claudia (è in tandem con lei che scrive sceneggiature Tv), ma gli succede di inviarle per sbaglio anche un ‘ti amo’ destinato alla moglie. Disguido facilmente rimediabile, se non fosse che la collega replica a stretto giro come quell’amore finalmente dichiaratole sia da tempo corrisposto. L’equivoco diviene spiazzante. Dopo le prime resistenze suggerite dal raziocinio, presto qualcosa si incrina. Claudia comincia ad essere pensata con sguardo diverso, la sua immagine di donna è accesa dal desiderio, e il desiderio chiede compimento.

Inizia così una progressione di azioni – l’una rende inevitabile la successiva – che non sappiamo quanto possano dirsi scelte consapevoli. O per fortuna lo sono: “forse dovevo ipotizzare – pur avendo dato sempre poco credito al pozzo nero dell’inconscio – che in qualche pezzetto malconcio del cervello mi si era annidata la voglia di scrivere ti amo e sbagliare destinataria”.

Starnone – si ricorderà il romanzo “Lacci” – non è nuovo a raccontare le complesse dinamiche di coppia nei diversi risvolti emotivi, psicologici, comportamentali. Ne è osservatore attento e disincantato, a tratti sottilmente ironico. In “Destinazione errata” l’autore segue la deriva di un matrimonio badando a mostrare quanto fragili siano le nostre sicurezze, l’ingenuità nel credere le cose della vita acquisite una volta per sempre. E non è certo il caso a imporci le sue bizzarrie, più semplicemente è la labilità dell’essere umano a perseguire i propri disastri. Perciò merita comprensione.

***

Fu un pomeriggio complicato. Livia, mia moglie, era a Genova per un convegno sull’invecchiamento precoce, i nostri tre bambini (dieci mesi, tre anni, cinque) avevano le loro esigenze, io ero incalzato da Claudia con cui scrivevo sceneggiature sulle avventure dell’architetta Sarcante. Quando non trovavo i pannolini per Giulio o il bambolotto preferito di Nilde o, che so, il braccialetto di Sara, inviavo messaggi a Livia; e se Claudia aveva bisogno di qualche informazione per le scene che stava scrivendo, frugavo nei miei appunti, in qualche libro, le mandavo nomi, date, il necessario. Senonché a un certo punto successe che Nilde strillava perché erano finiti i suoi biscotti e ne voleva subito altri; Claudia non si ricordava quale nome avevamo deciso di dare alla nuova amante dell’architetta; mia moglie, anche se a momenti toccava a lei intervenire, mi rispose con la solita pazienza: il pacco nuovo dei biscotti è nel cassetto sotto il lavello; e io – furono pochi attimi, ma fatali – scrissi a Claudia il nome del personaggio, Tea, a mia moglie, con gratitudine: ti amo, quindi mi dedicai ai biscotti e ne diedi uno a Nilde che per il momento si calmò. Ma poi – eh sì: poi – implacabili arrivarono le conseguenze. Mia moglie mi scrisse: chi è questa Tea, e pochi secondi dopo apparve il messaggio di Claudia accompagnato da una faccina entusiasta e due cuori rossi: finalmente ti sei deciso, anch’io ti amo.

Passarono lentissimi i secondi, che cosa avevo combinato. Giulio ora piangeva, Nilde voleva altri biscotti e poiché tardavo a obbedirle si infilò per protesta sotto il letto, Sara si mise cupa a disegnare anche se non trovava il pennarello verde. Ma io questa volta li ignorai tutt’e tre e mi concentrai sul telefono. Calma, mi dissi, è solo un banale disguido. Però, disguido o meno, bisognava reagire, già tardare a correggermi stava complicando la situazione, passai subito a rimediare. Con mia moglie fu facile, le scrissi: errore, il messaggio era per Claudia, le serviva il nome di un personaggio. Ma cosa scrivere alla mia collega? Fissavo quelle poche lettere, anch’io ti amo, e non potevo crederci. O forse sì. Mi ricordai di un amico comune, Carlo, un vecchio signore di parecchia esperienza, di molta autorità e di sguardo lungo, che solo un paio di settimane prima mi aveva detto senza ironia, anzi quasi commosso: quanto ti desidera quella donna. Io avevo reagito ridendo – che dici, figuriamoci, Claudia desidera al massimo che io lavori un po’ di più – e la cosa da un orecchio mi era entrata e dall’altro mi era uscita. Ma adesso dovetti ammettere che Carlo, al solito, ci aveva visto giusto e mi affrettai a scrivere: scusa, Claudia, il messaggio era destinato a mia moglie, ogni volta che la disturbo sul lavoro aggiungo sempre un ti amo per evitare che si arrabbi.

Intanto, però, il ghirigoro di donna in attesa nella stanzetta dove spesso lavoravamo mi si era nitidamente disegnato in testa, e ora la vedevo seduta alla solita scrivania zeppa di libri, col telefono nel palmo della mano e sicura di ricevere a momenti chissà quali ulteriori parole appassionate. Mi sentii in colpa. Non potevo far finta di niente e chiudere la questione con due righe sciatte. Sapevo fin troppo bene che tipo era Claudia, sicuramente non tendeva a trilli seduttivi, a moine, a frivolezze. Nel nostro rapporto non c’era stato alcun tratto, né da parte mia né tanto meno da parte sua, che suggerisse anche solo per gioco una propensione sentimentale. E non parliamo di faccine gialle e cuori rossi, almeno a me non ne aveva mai inviati. Se mi aveva risposto a quel modo, non potevo svicolare come se niente fosse.

Perciò, mentre i bambini mi sentivano distratto e facevano cose insensate per avere la mia attenzione, mi venne in mente che potevo fingere di attribuire al messaggio di Claudia – finalmente ti sei deciso, anch’io ti amo – una coloritura ironica, come di chi ha capito l’errore e ci scherza su. Pensai quindi di scriverle: hai ragione a prendermi in giro, che cretino, scusa, il ti amo naturalmente era per Livia. Ma anche quella strada mi sembrò inadeguata. Claudia era abile con la scrittura e, in reazione a un melenso ti amo, sarebbe stata attenta a formulare frasi con segnali ironici inequivocabili. E poi, figuriamoci, ironia lei, su quelle cose? Mi avrebbe detto fredda: sono due anni che ci vediamo quasi tutti i giorni e non hai capito niente di me. Meglio quindi non rispondere, conclusi incalzato dai miei figli, e stavo per mettere il telefono su uno scaffale della libreria dove Nilde, anche arrampicandosi su una sedia, non avrebbe potuto prenderlo, quando cambiai di nuovo idea. Se non replico, pensai, la ferisco ancora di più. Mi decisi malvolentieri per una faccina sorridente.

[da Destinazione errata di Domenico Starnone, Einaudi, 2025]

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