Il “National Security Strategy of the United States”, diffuso a inizio dicembre, è la nuova strategia di politica globale dell’America di Trump. Nel mirino, più che la Russia di Putin o la Cina della competizione più difficile, c’è l’Europa. In particolare, in quei settori decisivi anche per la sicurezza nazionale, che sono lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e il business dei colossi digitali americani.
Pur senza citare direttamente atti come l’AI Act o il Digital Services Act, la Strategia esprime una critica netta al paradigma normativo europeo, accusato di soffocare creatività, imprenditorialità, ricerca e innovazione. Pochi giorni prima della diffusione del documento, Howard Lutnick, segretario al Commercio USA, ha dichiarato che gli Stati Uniti sono disposti a ridurre i dazi su acciaio e alluminio imposti all’Unione Europea solo se Bruxelles adotterà una normativa digitale più “equilibrata” e meno stringente per le Big Tech, chiedendo in cambio una revisione delle regole come l’AI Act e la risoluzione dei casi aperti contro aziende americane come Apple, Amazon e Meta.
In piena sintonia con l’amministrazione Trump sono i colossi digitali americani, come documentato nel libro “Il potere delle macchine sapienti – Intelligenza artificiale, informazione, democrazia” (Primamedia editore), di cui riportiamo uno stralcio che fa ben capire quanto sia ferrea l’alleanza tra Trump e le Big Tech americane.
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“Da parte dei colossi digitali quella dell’Unione Europea viene considerata una normativa frenante. È infatti frontale l’attacco alle regole dell’Europa, in particolare contro l’AI Act, ma anche il GDPR, il Regolamento Generale sulla protezione dei dati: “Con queste norme, frammentarie e imprevedibili, l’Europa resterà fuori dal mercato dell’IA che è in continua evoluzione” si legge nell’atto di accusa formulato in una lettera aperta del settembre 2024 di cui Mark Zuckerberg, CEO di Meta e il suo coordinatore e scientifico Yann LeCun sono i principali ispiratori. Ma ci sono anche le firme dei manager di grandi big tech come Google e Ericson, il CEO di Spotify Daniel Ek ed esponenti dell’imprenditoria italiana come John Elkan, Lorenzo Bertelli, Marco Tronchetti Provera, Lorenzo Milleri. Si schierano a favore di una profonda revisione delle regole europee anche Marco Baroni di Icrea e Nicolò Cesa Bianchi, dell’Università di Milano, uno dei nomi più prestigiosi tra gli informatici italiani.
Il nocciolo delle accuse riguarda i paletti che l’Unione Europa ha messo sul fronte del trattamento dei dati, che rappresentano la linfa vitale dell’Intelligenza artificiale Generativa. Scrivono Zuck e gli altri: “Se le aziende e le istituzioni intendono investire decine di miliardi di euro per costruire l’IA generativa per i cittadini europei, hanno bisogno di regole chiare, applicate in modo coerente, che consentano l’uso dei dati europei. Ma negli ultimi tempi il processo decisionale normativo è diventato frammentario e imprevedibile, mentre gli interventi delle autorità europee per la protezione dei dati hanno creato un’enorme incertezza su quali tipi di dati possono essere utilizzati per addestrare i modelli di IA. Ciò significa che la prossima generazione di modelli di IA open source, e i prodotti e i servizi che realizzeremo su di essi, non comprenderanno o rifletteranno la conoscenza, la cultura o le lingue europee”.
Scienziati e manager del mondo delle big tech paventano una sorta di autoemarginazione dell’Europa dai rapidi ed enormi passi avanti che la rivoluzione informatica sta facendo in ogni campo: “Siamo un gruppo di aziende, ricercatori e istituzioni che fanno parte integrante dell’Europa e che lavorano per centinaia di milioni di europei. Vogliamo che l’Europa abbia successo e prosperi, anche nel campo della ricerca e della tecnologia AI all’avanguardia. Ma la realtà è che l’Europa è diventata meno competitiva e meno innovativa rispetto ad altre regioni e ora rischia di rimanere ancora più indietro nell’era dell’IAa causa di decisioni normative incoerenti. In assenza di regole coerenti – si legge nella lettera aperta – l’UE perderà due pietre miliari dell’innovazione dell’IA.
Il primo è rappresentato dagli sviluppi di modelli “aperti” che vengono resi disponibili gratuitamente a tutti per essere utilizzati, modificati e sviluppati, moltiplicando i benefici e diffondendo le opportunità sociali ed economiche. I modelli aperti – sottolineano i firmatari dell’appello-denuncia – rafforzano la sovranità e il controllo consentendo alle organizzazioni di scaricare e mettere a punto i modelli ovunque vogliano, eliminando la necessità di inviare i propri dati altrove. I secondi sono i più recenti modelli “multimodali”, che operano in modo fluido attraverso il testo, le immagini e il parlato e che consentiranno il prossimo balzo in avanti dell’IA. La differenza tra i modelli solo testo e quelli multimodali è come la differenza tra avere un solo senso e averne tutti e cinque. I modelli aperti di frontiera, basati sul testo o sulla multimodalità, – ribadiscono i firmatari del documento – possono accelerare la produttività, guidare la ricerca scientifica e aggiungere centinaia di miliardi di euro all’economia europea. Senza di essi, lo sviluppo dell’IA avverrà altrove, privando gli europei dei progressi tecnologici di cui godono Stati Uniti, Cina e India”.
La lettera aperta intende mettere l’Unione Europea di fronte a una sorta di bivio. Scrivono i firmatari: “L’Europa si trova di fronte a una scelta che avrà un impatto sulla regione per decenni. Può scegliere di riaffermare il principio di armonizzazione sancito da quadri normativi come il GDPR, offrendo un’interpretazione moderna delle disposizioni del GDPR che rispetti, comunque, i suoi valori di fondo, in modo che l’innovazione dell’IA avvenga qui alla stessa scala e velocità che altrove. Oppure può continuare a rifiutare il progresso, a contraddire le ambizioni del mercato unico e a guardare il resto del mondo che costruisce su tecnologie a cui gli europei non avranno accesso. Ci auguriamo – concludono i firmatari – che i responsabili politici e le autorità di regolamentazione europee si rendano conto della posta in gioco se non si cambia rotta. L’Europa non può permettersi di perdere i benefici diffusi derivanti da tecnologie di IA aperte e costruite in modo responsabile, che accelereranno la crescita economica e sbloccheranno i progressi della ricerca scientifica”.
La conclusione è una sorta di appello di vasta portata, anche dal punto di vista delle iniziative lobbistiche che ne possono derivare: “Abbiamo bisogno di decisioni armonizzate, coerenti, rapide e chiare nell’ambito dei regolamenti UE sui dati, che consentano di utilizzare i dati europei nella formazione dell’IA a beneficio dei cittadini europei. È necessaria un’azione decisa per contribuire a sbloccare la creatività, l’ingegno e l’imprenditorialità che garantiranno la prosperità, la crescita e la leadership tecnica dell’Europa”.
Ma ben più incisivo è l’attacco al GDPR, il Regolamento Generale per la Protezione dei dati, che si pone a tutela dei dati dei cittadini europei. Una normativa che ha ben 8 anni. Perché, dunque, l’attacco frontale avviene proprio ora? Perché quello che può essere definito l’“addestramento” dell’Intelligenza artificiale Generativa si basa su miliardi e miliardi di dati e se la loro disponibilità ha dei paletti in qualche parte del mondo, come in Europa, sul fronte della privacy, l’avanzata tecnologica ne risente a livello globale