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La nuotatrice notturna. Se un padre fugge per essere ciò che sente d’essere

Adrián N. Bravi, scrittore argentino di lingua italiana con studi filosofici alle spalle, ha la capacità di affrontare questioni rilevanti raccontando storie. Ne fanno fede i suoi romanzi che conquistano platee di lettori sempre più allargate, come è accaduto con “Adelaida”, finalista allo Strega 2024, appassionata ricostruzione della vicenda umana, politica, artistica di Adelaida Gigli negli anni della dittatura in Argentina.

Adesso Bravi è nelle librerie con il nuovo romanzo “La nuotatrice notturna” (Nutrimenti). Anche in queste pagine, empatiche e discrete al contempo, ci conduce a esplorare un tema universale quale il conflitto di chi vive una difficile identità di genere. È una storia di affetti familiari rimasti impigliati nella pesca a strascico della vita. Ne è protagonista Jacopo, un quarantenne grande e grosso, più simile a un bambinone che a un uomo. Lavora al cimitero cittadino Santa Maria dei Canti dove svolge compiti di giardiniere, becchino, esumatore, addetto alle pubbliche relazioni non solo con i mesti frequentatori di quel luogo di mezzo, ma anche con i morti dalle cui conversazioni sembra ricavare utili consigli.

Il collega di lavoro Quinto può dire di aver trovato in lui un amico, tant’è che quando la moglie lo caccia fuori di casa per fare posto all’amante, sarà Jacopo a dargli ospitalità. Perché Jacopo, sotto i suoi cento chili di ciccia, ha un cuore grande. Lo sa bene la fidanzata Rosalia, pure essa sovrappeso e un po’ fuori asse rispetto alla cosiddetta normalità. Insieme sono buffi e tenerissimi, come quando ballano “Billie Jean” di Michel Jackson e poi fanno l’amore. Del resto, per Jacopo, quella canzone è terapeutica, unico modo per fronteggiare l’indefinibile malessere che a volte scolma i precari argini della sua persona. Allora, goffo e con qualche rischio per la propria integrità, si scatena al ritmo di “Billie Jean”, e almeno per qualche minuto prova leggerezza in corpo e anima.

Tali sono le conseguenze di un trauma infantile mai superato, da quando il padre Pietro un giorno aveva lasciato per sempre la famiglia. Se n’era andato lontano, in un altro Paese, dopo avergli scompigliato affettuosamente i capelli, posato un bacio sulla testa e lasciato in custodia un’armonica appartenuta al nonno. Da allora non avrebbe saputo più nulla di lui. Inutili sarebbero state le domande a mamma Mina – vedova bianca a poco più di vent’anni e per sempre irremovibile nel mantenere un segreto – la quale avrebbe sposato un secondo marito, insopportabile agli occhi di Jacopo, tanto che, appena gli era stato possibile, aveva lasciato la casa materna per andare a vivere da solo.

Dopo quarant’anni trascorsi così, al bambinone che parla coi morti e scaccia il dolore emulando Michel Jackson, giunge del tutto inaspettata una telefonata dal Portogallo con cui una tale Ingrid lo informa che suo padre era morto affogato nel fiume “che ad ogni stagione reclamava una quota di vite umane”. Per consolarlo tiene a dirgli: “Jacopo, l’água è implacabile, non perdona le persone quando nuotano la notte. Il fiume è muito pericoloso. Sembra calmo ma sotto è tempestoso ed è difficile nuotare con l’água così”. 

Jacopo, supportato dall’amico Quinto, decide di partire alla volta del Portogallo e scoprirà – con lo stupore dei semplici che sono immuni da pregiudizi – ciò che è stata l’esistenza di suo padre, le ragioni di quella sua fuga, affatto indolore, per essere ciò che sentiva d’essere. Jacopo Bordignola tornerà dunque a casa con un mucchietto di ceneri (l’altra parte resterà a Rio Salgueiro), una verità che finalmente dissigilla i segreti della mamma e una spiegazione che a lui può bastare per conservare memoria del padre e del suo essergli stato comunque figlio.

“La nuotatrice notturna” è un intenso romanzo. Adrián N. Bravi si è dato una cifra stilistica che lascia intendere un consistente bagaglio di buona letteratura (ama citare Borges affermando di vantarsi assai più dei libri che ha letto, che di quelli che ha scritto) e soprattutto mostra di saper mettere a frutto una sensibilità cui viene facile tradursi in poesia.

***

Quando Jacopo Bordignola quella mattina sentì squillare il telefono e dall’altro capo una donna che non conosceva, ma che diceva di chiamarsi Ingrid, gli comunicò che la notte prima suo padre era morto annegato in un fiume, in un punto, specificò con voce accorata, in cui le acque ristagnano e diventano impraticabili, la prima cosa che pensò di fare fu di andare a prendere l’armonica che proprio suo padre gli aveva regalato in un tempo ormai lontano. La custodiva da sempre in un cassetto del comò, avvolta da un vecchio fazzoletto di seta. Allora si lasciò cadere sul divano con l’armonica in mano, soffiando appena sui fori e pensando all’ultima volta che aveva visto quell’uomo, tanti anni prima.

Portava a quei tempi un cappello bianco a falde larghe su di una chioma riccia che gli cadeva sulle spalle, i sandali, le basette risorgimentali e un paio di pantaloni, bianchi anche questi, a zampa di elefante. Sua madre, poco più che ventenne, lo guardava asciugandosi le lacrime dagli occhi con il dorso delle mani: “Dai, Tintarella, non fare così”, aveva detto lui accarezzandole i capelli lisci e lunghi che le sfioravano la vita, “tornerò presto, lo sai, è solo questione di tempo”. Non era la prima volta che si assentava, ma questa, a differenza di tutte le altre, lei lo sapeva bene, non sarebbe più tornato. Le manfrine e quei vezzeggiativi erano solo un modo per blandire l’addio o per renderlo meno drastico. Lei aveva stretto con rabbia e delusione un fazzoletto bagnato, mentre lui si era tirato un po’ indietro il cappello (gesto destinato a entrare nell’archivio dei ricordi da rispolverare ogni volta che suo figlio avrebbe parlato di lui). Sulla strada, di fronte alla loro abitazione, c’era parcheggiata una Citroën due cavalli arancione con un uomo dentro, le mani appoggiate sul volante, gli occhiali da sole e una sigaretta che gli pendeva dalle labbra. Guardava in avanti, senza girarsi verso di loro, che si trovavano sulla soglia d’ingresso e provavano a illudersi che quella partenza fosse ‘solo questione di tempo’, che da lì a poco l’uomo di casa sarebbe tornato e tutto sarebbe ricominciato da capo, in maniera forse imperfetta ma ugualmente rassicurante. Sui sedili dietro c’erano due o tre ragazze che somigliavano alla madre di Jacopo, parlavano e ridevano tra di loro, con i finestrini abbassati, come se si trovassero lì per caso. “E tu, piccolo”, lo aveva esortato suo padre abbassandosi quel tanto che bastava per guardarlo diritto negli occhi, “prenditi cura della mamma in mia assenza… Me lo prometti?”. Sapeva, erano gli occhi di sua madre a confermarglielo, che quell’uomo sarebbe sparito dalla loro vita, ed era per questo – ricordava ora Jacopo seduto sul divano – che non aveva risposto, era solo riuscito a fare un cenno di assenso con la testa per farlo contento e per non ostacolare la sua partenza, anche se era l’ultima cosa che avrebbe desiderato. Prima di tirarsi su, il padre aveva pescato dalla tasca un’armonica, piccola, sopra c’era scritto il nome della marca o del modello: preludium, e l’aveva messa in mano al figlio: “Tienila tu, era di mio padre, tuo nonno, è l’unica cosa che ho di lui. Conservala bene, è giusto che ora la tenga tu”. Jacopo l’aveva presa, l’aveva guardata un po’ e l’aveva messa in una tasca dei pantaloncini che portava. Il padre gli aveva spettinato i capelli e lo aveva baciato sulla testa. “Ti amo, lo sai”, aveva detto poi a sua madre, avvicinandosi per baciare anche lei, ma lei si era ritratta, voltandosi appena dall’altra parte, asciugandosi le lacrime che le scendevano su quella spruzzata di lentiggini che il tempo, da lì a poco, si sarebbe incaricato di levare. Quando era salito in macchina, sul sedile anteriore, aveva alzato una mano per salutarli ancora e poi, rivolgendosi all’uomo con la sigaretta in bocca e gli occhiali da sole, aveva detto qualcosa del tipo ‘vamos’ e né lui, il conducente, né le ragazze che erano sui sedili posteriori si erano degnati di voltarsi verso di loro che erano rimasti sul marciapiedi immobili a guardarli svanire nel nulla.

E mentre Jacopo ricordava l’immagine di quella macchina che si allontanava sulla strada, facendosi largo tra i fantasmi dell’infanzia, Ingrid si sentì in dovere di specificare, intercalando molte parole straniere, alcune quasi incomprensibili, che a ogni stagione il fiume reclamava una quota di vite umane: “Jacopo, l’água è implacabile, non perdona le persone quando nuotano la notte. Il fiume è muito pericoloso. Sembra calmo ma sotto è tempestoso ed è difficile nuotare con l’água così”.

 

[da La nuotatrice notturna di Adrián N. Bravi, Nutrimenti, 2025]

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