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L’amore mio non muore: la storia di un sentimento totalizzante in cui risiede l’unico senso della vita

“L’amore mio non muore” (Einaudi) di Roberto Saviano è un romanzo che non si legge. Si vive; e voglio intendere che il lettore resta disperatamente aggrappato alla storia. Non trova la forza di lasciare Rossella al rifugio di Francuzzo. E sta lì, indossa un paio di occhiali e fissa l’uscita. E poi, colto dallo stesso pathos, cerca di capire che cosa pensa Francesco. Dove guardano i suoi occhi.

E come tutti coloro che cercano una spiegazione, torna pure indietro alle pagine precedenti. Più volte. Ma la verità è che la storia è perversa, contorta. Non finisce, si frattura. Errare. Dal greco èrrein vagare o perdere la vita o ingannarsi o sbagliare. Per odio o per amore.

È il 1977: un’Italia scossa dalle piazze “calde”, dai movimenti, dai tafferugli, eppure, in questa storia, non esiste altro frastuono che quello dell’amore. Ed esso arriva improvviso ad agitare le vite di Rossella Casini, studentessa fiorentina e Francesco Frisina, studente calabrese fuori sede.

Pensa, Rossella, che l’amore – quello che lei intende come amore – “è uno strano magnetismo che si dispiega con tutti e cinque i sensi” (cfr. p. 155). E nessuno può restarne fuori. L’amore è un suono. E questo è un romanzo d’amore. Soprattutto d’amore.

E anche se la narrazione riguarda un fatto di cronaca, di ‘Ndrangheta, non sono la ‘Ndrangheta e i ‘ndranghetisti i protagonisti. Ma è “l’amore di Rossella”, il protagonista. E l’amore di Rossella non muore.

Semmai si intreccia con la tragedia di Nina, le vite di Salvatore, Claudio Diego, Domenico e Francuzzo, la gelida e nera anima di Cettina, la disperata rassegnazione dei Clara e della nonna. L’amore di Rossella chiede salvezza, per sé e per il suo Francesco. Ma non chiede senza dare. Da’ tutto quello che ha: sè stessa, quando Francesco annuisce che si, va bene, “Salvami”.

Lo stile di Saviano resta inconfondibile: asciutto, preciso, giornalistico, addirittura inclemente in alcuni punti salienti del racconto. Da una parte la ricostruzione di cronaca: una foto, l’unica, le fonti, poche. Dall’altra il flusso narrativo che scava dentro gli animi, ne scardina le paure, le convinzioni, i drammi, i desideri, il coraggio, il tradimento, l’ingenuità, i legami, il rispetto, la fedeltà. La giovinezza di belle speranze e l’infausto destino dei predestinati. Saviano fa un lavoro di restituzione di queste vite eccellente, senza lasciare nulla di poco inteso, nemmeno le storture dei “malacarne”.

C’è in questo romanzo la lotta intestina, ancestrale fra Eros e Thanatos. L’uno la pulsione di vita (Eros), l’altro pulsione di morte (Thanatos). Due forze opposte: una per la creazione, l’altra per la distruzione, la disgregazione. E la ‘Ndrangheta conduce a questo, al ritorno allo stato inorganico. Uomini e donne. Senza pietà.  

Leggere “L’amore mio non muore”  è stato come trovarsi nel pieno di una tragedia greca. Perché l’amore sa essere tragico, anche quando è travolgente, bello. Negli occhi di un eroe. E sa essere forte, di una forza incredibile. Che non teme distanze né buio né ombra né arma. Nello sguardo di una donna, di lacrime, tremante ma non arrendevole.

Questo romanzo è anche una vendetta nella forma nobile della scrittura come dovere, di informazione, di conoscenza, di verità, di giustizia. E poi una riflessione sul senso della vita, delle scelte che si compiono e sulle vite delle vittime. Di tutte le vittime.

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